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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-La Repubblica Rassegna Stampa
28.11.2009 Continua il doppio gioco dell' Aiea
mentre in Iran si tortura e uccide

Testata:La Stampa-La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari-Francesca Caferri
Titolo: «L'Aiea a Teheran: Chiudete Qom-Torture e minacce di morte, il mio inferno in carcere per aver sfidato il regime»

Continua il comportamento double-face dell'Aiea. Adesso fa la voce grossa, mentre in realtà tutta la politica di El Baradei non ha fatto altro che coprire di fronte al mondo le attività iraniane per la costruzione degli impianti nucleari.
Israele diplomaticamente apprezza la dichiarazione, ma aspetta che facciano seguito atti concreti.
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/11/2009, a pag.16, il servizio di Maurizio Molinari. Da REPUBBLICA, quello di Francesca Caferri, che ha intervistato un giornalista iraniano, rinchiuso e torturato nel carcere di Evin per 118 giorni.
Una riflessione: tutto il mondo conosce il nome Guantanamo. Quanti conoscono quello di Evin ? Eppure in quest'ultimo avvengono torture e uccisioni imparagonali a quello cubano. Ma su Evin i media tacciono.

La Stampa-Maurizio Molinari: " L'Aiea a Teheran: Chiudete Qom "

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a sin. la centrale di Qom, a destra picchiatori basiji

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Con l’avallo di Mosca e Pechino l’Agenzia atomica dell’Onu chiede a Teheran il blocco del programma nucleare. E la Casa Bianca ammonisce l’Iran: «La nostra pazienza è limitata».
Il consiglio dell’Aiea approva la più dura risoluzione nei confronti di Teheran degli ultimi tre anni: chiede la «sospensione immediata» della costruzione dell’impianto di Qom rivelato in settembre, critica il mancato rispetto delle risoluzioni Onu sulla fine delle attività nucleari e afferma che il direttore Mohammed El Baradei «non può escludere la natura militare del programma».
Ciò che più pesa sono i voti: 25 i favorevoli, inclusi Russia e Cina, 4 astenuti e un assente con solo Venezuela, Cuba e Malaysia a opporsi. In occasione di un analogo voto nel 2006 Mosca e Pechino si erano astenuti: il cambiamento di posizione lascia intendere che stanno maturando le condizioni per più rigide sanzioni del Consiglio di Sicurezza. Il pronunciamento dell’Aiea implica un deferimento dell’Iran all’Onu ed è per questo che la Casa Bianca sottolinea la svolta con un comunicato del portavoce Robert Gibbs nel quale si legge: «La pazienza nostra e della comunità internazionale è limitata, il tempo sta scadendo, se l’Iran rifiuta di far fronte agli obblighi sarà responsabile del proprio crescente isolamento e delle conseguenze».
Al fine di puntellare l’intesa con Mosca e Pechino, Gibbs non parla di «sanzioni» e mette l’accento sugli aspetti positivi dell’offerta a Teheran: «Riconosciamo il diritto dell’Iran al nucleare pacifico e sosteniamo la proposta di fornire carburante al reattore per la ricerca». Proprio per sostenere quest’offerta - ideata da Mosca - l’Aiea ha approvato un’altra risoluzione per una «banca internazionale del combustibile nucleare» sotto la supervisione Aiea.
Dietro il pronunciamento dell’Agenzia atomica c’è la mediazione dell’amministrazione Obama tesa a coinvolgere Mosca e Pechino in ogni passo diplomatico per scongiurare il rischio di veti all’Onu. «Quello di oggi è il più forte e definitivo passo compiuto dalle nazioni preoccupate dalle ambizioni nucleari dell’Iran», commenta il premier britannico Gordon Brown. La reazione di Teheran arriva con Ali Ashgar Soltanieh, delegato all’Aiea, che parla di «voto inutile» perché «niente può bloccare il nostro programma nucleare né le risoluzioni dell’Aiea né quelle dell’Onu, né le sanzioni né gli attacchi militari». L’Iran in ottobre si era detto a favore della proposta di arricchire all’estero il proprio uranio, ma poco dopo ci ha ripensato. Da lunedì avrà come interlocutore il giapponese Yukiya Amano, successore di El Baradei che dopo 12 anni lascia la guida dell’Aiea. Washington preme anche sui diritti umani: chiede la liberazione dell’accademico americano Kian Tajbakhsh, arrestato durante le proteste post-elettorali, definendo «senza fondamento» le accuse di spionaggio.Guai con il fisco per il governatore della California, Arnold Schwarzenegger. Secondo i documenti della Corte di Los Angeles, pubblicati dal sito «Tmz», Schwarzy ha un debito con lo Stato di quasi 80 mila dollari (53 mila euro) per tasse non pagate e interessi tra il 2004 e il 2005. Lo scorso aprile, il governatore aveva deciso di far pubblicare on-line la lista degli evasori fiscali.BERLINO
Il Merkel-bis parte col piede sbagliato. Appena quattro settimane dopo la nascita del nuovo esecutivo tra Cdu/Csu e liberali, la cancelliera ha dovuto annunciare ieri il primo rimpasto di governo: fuori il ministro del Lavoro Franz Josef Jung, che si è dimesso dopo la scoperta che il Ministero da lui guidato nella scorsa legislatura, quello della Difesa, tentò di nascondere la presenza di civili tra le vittime del raid ordinato a settembre a Kunduz da un ufficiale tedesco; al suo posto la popolarissima Ursula von der Leyen, che cede il dicastero della Famiglia alla deputata Cdu Kristina Köhler. Due record in un colpo solo: Jung è il ministro rimasto in carica per meno tempo in Germania (aveva giurato il 28 ottobre); la Köhler, 32 anni, diventa il ministro più giovane della Repubblica federale, un primato che strappa al collega della Sanità, il 36enne Philipp Rösler. Favorita, accusa l'opposizione, non dalle sue competenze ma dalla sua provenienza: Frau Köhler, un'esperta di estremismo e integrazione finora quasi sconosciuta, è originaria dell'Assia, lo stesso Land da cui arriva Jung. Il quale si è assunto la «responsabilità politica» dello scandalo, che è già costato il posto al capo di Stato maggiore Wolfgang Schneiderhan e al sottosegretario alla Difesa Peter Wichert. Per giorni l'allora responsabile della Difesa negò che tra le vittime del bombardamento di due autocisterne sequestrate dai taleban (fino a 142 i morti) ci fossero dei civili; i vertici militari, invece, furono informati ben presto del contrario. E Jung ci mise del suo, evitando di leggere un rapporto riservato sul raid.

La Repubblica-Francesca Caferri: " Torture e minacce di morte, il mio inferno in carcere per aver sfidato il regime "


Maziar Bahari

ROMA - A volte capita che fuori dall´Inferno ti aspetti il Paradiso. È successo a Maziar Bahari, 42 anni, reporter irano-canadese di Newsweek e collaboratore di altri media internazionali: pochi giorni dopo essere stato rilasciato dal carcere di Evin, dove è stato rinchiuso per quasi quattro mesi nelle settimane successive alla contestata rielezione di Mahmud Ahmadinejad alla presidenza dell´Iran, sua moglie Paola ha dato alla luce la loro prima figlia, Marianna Maryam. «È bellissima - racconta lui - per ora non fa altro che mangiare e dormire». Sarà la bambina, sarà la libertà ritrovata, ma la voce di Bahari è serena. Non è scontato per uno che ha passato 118 giorni nelle mani dei Guardiani della rivoluzione con l´accusa di essere una spia.
Signor Bahari, come è cominciato il suo incubo?
«Era il 21 giugno. Si sono presentati a casa mia in quattro. Mia madre ha aperto e le hanno detto che avevano una lettera per me. Hanno perquisito la mia stanza e poi mi hanno portato via. "Lei è nostro ospite", mi hanno detto. C´erano cinque macchine fuori dalla porta. Quando ho visto la strada ho capito che andavamo ad Evin».
Si aspettava una cosa simile?
«Sono stato interrogato parecchie volte in passato e rimproverato per quello che scrivevo: mi aspettavo che potesse succedere di nuovo. Ma mai, neanche nei mie sogni più disperati, avrei pensato di essere accusato di cose che non ho mai commesso. Picchiato. Torturato. Minacciato di morte».
Cosa è successo quando è arrivato in carcere?
«Mi hanno bendato e portato davanti al mio accusatore. Non l´ho mai potuto guardare in faccia: lo chiamavo Mr. Acqua di Rose, dal profumo che portava addosso. Mi ha accusato di essere una spia: per la Cia, il Mossad e per Newsweek. Sono iniziate sedute di interrogatorio lunghissime. Volevano i nomi dei miei supposti complici. Ma io continuavo a dire che ero innocente».
Ed è iniziata la tortura?
«All´inizio non mi hanno picchiato. Poi, da un giorno all´altro, è iniziata la violenza. Botte in testa, con le mani, con la cinghia. E questo non è nulla rispetto alle torture psicologiche: le persone che dirigono Evin oggi sono le stesse che sono state torturate lì dentro ai tempi dello Scià. Sanno bene cosa può piegare una persona. Mi hanno detto che mi avrebbero ucciso senza preavviso: che mi avrebbero svegliato nel cuore della notte per ammazzarmi. Il mio torturatore mi diceva che sarebbe stato lui stesso a mettermi il cappio intorno al collo, a farmi salire su una sedia e poi toglierla, in modo che morissi impiccato. Ci ho creduto, perché so di molte persone a cui è successo».
Per questo ha confessato?
«Una notte mi hanno detto che erano pronti ad accusarmi ufficialmente di spionaggio: in Iran un´accusa simile implica necessariamente la colpevolezza. Mi hanno spiegato che le indagini potevano andare avanti per 4-6 anni e li avrei passati in isolamento. Quell´idea era insopportabile: così ho confessato. Sapevo bene che colleghi e amici non avrebbero mai creduto a quelle parole e non ho mai fatto nomi. Mi sono detto che se volevano che parlassi dell´imperialismo dell´Occidente: loro mi avrebbero creduto e non avrei fatto danni a nessuno. Così è andata».
Crede che questo abbia contribuito al suo rilascio?
«Non lo so. È difficile da spiegare. So che la pressione internazionale è stata fondamentale. Un giorno una guardia mi ha chiamato "Mr Hillary Clinton". Gli ho chiesto perché e mi ha risposto che la Clinton aveva parlato di me: è stato il momento più felice, ho capito di non essere solo. Devo ringraziare Paola, che è stata il motore della campagna. E in Italia il primo ministro Berlusconi, che dopo un appello di Paola (che è italo-inglese ndr) ha parlato di me. Ho capito che la pressione funzionava quando le guardie, dopo tanto tempo, mi hanno fatto chiamare Paola per dirle di smetterla di dare interviste. Lei ha capito di dover fare il contrario. Da quel momento, prima hanno smesso di picchiarmi, poi mi hanno spostato in una cella con altre persone, infine mi hanno liberato. Io sono stato fortunato ad avere l´attenzione dei media: ma ho ancora molti amici in quel carcere».
Prima di lasciarla andare c´è stata un´ultima richiesta?
«Mi hanno chiesto di spiare per loro. Ho finto di accettare. Mi hanno dato una mail: gli ho scritto, da casa. "Non ho mai spiato in vita mia non lo farò". Non hanno risposto, ma arrivano molte minacce: smetti di parlare, smetti di scrivere. Non lo farò. Sono un giornalista e un filmaker, continuerò a farlo».
È questo il suo progetto per il futuro?
«Sì, è questo. I Guardiani della rivoluzione vedono il mondo in bianco e nero: la miglior vittoria su di loro per me è continuare a raccontare le sfumature di grigio. E le contraddizioni di un paese come l´Iran».
Dopo la liberazione lei ha scritto che con l´Iran occorre parlare: una presa di posizione che ha stupito molti ?
«Soltanto coinvolgendo il governo in un dialogo lo si può convincere che ha molto da perdere. La guerra non può essere un´opzione. La comunità internazionale deve parlare all´Iran, non ultimo in nome della stabilità in Iraq e Afghanistan».

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