Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Hooligan ed eroe nazionale. L'altro figlio del faraone Mubarak Cronaca di Francesco Battistini
Testata: Corriere della Sera Data: 27 novembre 2009 Pagina: 19 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Hooligan ed eroe nazionale. La rivincita di Alaa Mubarak»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/11/2009, a pag. 19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Hooligan ed eroe nazionale La rivincita di Alaa Mubarak ".
Gamal e Alaa Mubarak
GERUSALEMME — È diventato Alaagan, adesso. Alaa l’hooligan. Zitto da una vita. E da una vita a farsi i silenziosi milioni suoi con gli albergoni di Sharm el Sheikh. Sempre all’ombra di papà Hosni, il Faraone che regna da quasi trent’anni. Sempre nella scia del fratello più piccolo, Gamal, il cocco di mamma Suzana, l’erede designato. Alaa Mubarak era uno che non compariva quasi mai. Fino al 18 novembre, in Sudan, la sera dello spareggio con l’Algeria. Quando l’Egitto è stato buttato fuori dalle qualificazioni per il Mondiale. E Alaagan s’è precipitato dalla tribuna vip agli spogliatoi, per convocare i microfoni e dichiarare guerra agli algerini «ladri, mercenari e terroristi ». Una guerra del pallone. Coi disordini di piazza. I morti. L’ambasciatore richiamato per consultazioni. Le opere algerine rifiutate dalla Biennale d’Alessandria. E la mediazione di Gheddafi, del presidente sudanese, dell’emiro del Kuwait... Da quella sera, l’Egitto ha perso una partita e probabilmente l’amicizia d’un Paese vicino, ma s’è ritrovato un leader.
Alaagan for President. L’ultima settimana è stata la sua. Il primogenito del Presidente, una volta così schivo, non ha schivato una comparsata. Su Dream Tv. Su Al Beit Beitak. L’altra sera ha telefonato in diretta al popolare programma di Khalid El-Gandor e ha urlato come al Processo di Biscardi. «L’Egitto deve prendere posizione!». «Rispondere al terrore e alle ostilità!». «È impossibile che noi egiziani sopportiamo tutto questo! ». «Dobbiamo alzarci e dire basta!». «Se insultate la mia dignità, vi prendo a mazzate in testa!». Le sue parole hanno infiammato le folle, suscitando sospetti (come mai i disordini sono stati nei quartieri cairoti più controllati dalla polizia?), scatenando dietrologie (il regime ne ha approfittato per fare sfogare una piazza sempre sull’orlo della rivolta?) e spazzando via mesi di pissipissi sulle presidenziali del 2010 e su chi sarà il futuro Faraone: Gamal, così chiacchierato dopo la storiaccia di un’attrice trovata uccisa? Il capo dei servizi segreti Suleiman, così potente? El Baradei, il Nobel così impegnato a ispezionare l’Iran nucleare? L’eterno Amr Moussa, così inutile con la sua Lega araba? L’oppositore Ayman Nour, così fuorigioco dopo gli anni passati in galera? «12 motivi per amare Alaa», l’ha ufficialmente candidato con un editorialeAl Destour, giornale dell’opposizione: «È molto più amato di Gamal. Parla col linguaggio della strada. Ha un impatto mediatico molto forte...». Alaa aveva già commosso l’Egitto qualche mese fa, quando suo figlio di 12 anni era morto di malattia e lui era rimasto piegato sulla bara: «Piange e prega — scrisse una cronista —. È dura essere padre in questi momenti, anche se ti chiami Mubarak». Quella tragedia ha cambiato Alaa, dice chi lo conosce. Viveva solo di business, non s’è mai occupato di politica, e ora è l’Alaagan che genera i gruppi su Facebook («Ti vogliamo presidente!»), fa cinguettare Twitter, anima il dibattito sui blog. Con qualche sarcasmo: «E poi ammettiamolo: è ora d’avere un presidente un po’ più sexy...».
Ci sono due o tre argomenti di cui la stampa egiziana sa che è meglio non occuparsi troppo, e uno di questi è la famiglia Mubarak. Ci sono due o tre argomenti di cui la famiglia Mubarak permette che ci si occupi, e uno di questi è il calcio. Alaa-Alaagan promette che il suo è stato solo uno sfogo, «montato da Al Jazeera», e che non ha alcuna intenzione di buttarsi in politica. Quanto al calcio... «È la seconda religione del Paese. E in questo, i Mubarak sono uguali a tutti gli egiziani», certifica Marco Tardelli, che è stato citì della nazionale e al Cairo è ancora ricordato con nostalgia per una storica vittoria sul Camerun, i brasiliani d’Africa: «Alaa non lo conosco, ma Gamal veniva spesso a vederci. Non è un ultrà, è uno che se ne intende. E un paio di volte ha voluto anche incontrarmi. In Egitto, le partite sono un momento collettivo fortissimo. Io ci sono stato molto bene, la gente mi trattava con affetto. Salvo quando perdevamo. Allora cambiava tutto: la mattina dopo la partita, scendevo a far colazione e i camerieri dell’hotel si voltavano dall’altra parte».
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