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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.11.2009 Hooligan ed eroe nazionale. L'altro figlio del faraone Mubarak
Cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 novembre 2009
Pagina: 19
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Hooligan ed eroe nazionale. La rivincita di Alaa Mubarak»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/11/2009, a pag. 19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Hooligan ed eroe nazionale La rivincita di Alaa Mubarak ".

 
Gamal e Alaa Mubarak

GERUSALEMME — È diventato Alaa­gan, adesso. Alaa l’hooligan. Zitto da una vita. E da una vita a farsi i silenziosi milioni suoi con gli albergoni di Sharm el Sheikh. Sempre all’ombra di papà Ho­sni, il Faraone che regna da quasi trent’anni. Sempre nella scia del fratello più piccolo, Gamal, il cocco di mamma Suzana, l’erede designato. Alaa Muba­rak era uno che non compariva quasi mai. Fino al 18 novembre, in Sudan, la sera dello spa­reggio con l’Al­geria. Quando l’Egitto è stato buttato fuori dalle qualifica­zioni per il Mon­diale. E Alaagan s’è precipitato dalla tribuna vip agli spoglia­toi, per convoca­re i microfoni e dichiarare guer­ra agli algerini «ladri, mercenari e terro­risti ». Una guerra del pallone. Coi disor­dini di piazza. I morti. L’ambasciatore ri­chiamato per consultazioni. Le opere al­gerine rifiutate dalla Biennale d’Alessan­dria. E la mediazione di Gheddafi, del presidente sudanese, dell’emiro del Ku­wait... Da quella sera, l’Egitto ha perso una partita e probabilmente l’amicizia d’un Paese vicino, ma s’è ritrovato un leader.

Alaagan for President. L’ultima setti­mana è stata la sua. Il primogenito del Presidente, una volta così schivo, non ha schivato una comparsata. Su Dream Tv. Su Al Beit Beitak. L’altra sera ha tele­fonato in diretta al popolare program­ma di Khalid El-Gandor e ha urlato co­me al Processo di Biscardi. «L’Egitto de­ve prendere posizione!». «Rispondere al terrore e alle ostilità!». «È impossibile che noi egiziani sopportiamo tutto que­sto! ». «Dobbiamo alzarci e dire basta!». «Se insultate la mia dignità, vi prendo a mazzate in testa!». Le sue parole hanno infiammato le folle, suscitando sospetti (come mai i disordini sono stati nei quartieri cairoti più controllati dalla po­­lizia?), scatenando dietrologie (il regi­me ne ha approfittato per fare sfogare una piazza sempre sull’orlo della rivol­ta?) e spazzando via mesi di pissipissi sulle presidenziali del 2010 e su chi sarà il futuro Faraone: Gamal, così chiacchie­rato dopo la storiaccia di un’attrice tro­vata uccisa? Il capo dei servizi segreti Su­leiman, così potente? El Baradei, il No­bel così impegnato a ispezionare l’Iran nucleare? L’eterno Amr Moussa, così inutile con la sua Lega araba? L’opposi­tore Ayman Nour, così fuorigioco dopo gli anni passati in galera? «12 motivi per amare Alaa», l’ha ufficialmente can­didato con un editoriale Al Destour, giornale dell’opposizione: «È molto più amato di Gamal. Parla col linguaggio della strada. Ha un impatto mediatico molto forte...». Alaa aveva già commos­so l’Egitto qualche mese fa, quando suo figlio di 12 anni era morto di malattia e lui era rimasto piegato sulla bara: «Pian­ge e prega — scrisse una cronista —. È dura essere padre in questi momenti, anche se ti chiami Mubarak». Quella tra­gedia ha cambiato Alaa, dice chi lo cono­sce. Viveva solo di business, non s’è mai occupato di politica, e ora è l’Alaagan che genera i gruppi su Facebook («Ti vo­gliamo presidente!»), fa cinguettare Twitter, anima il dibattito sui blog. Con qualche sarcasmo: «E poi ammettiamo­lo: è ora d’avere un presidente un po’ più sexy...».

Ci sono due o tre argomenti di cui la stampa egiziana sa che è meglio non oc­cuparsi troppo, e uno di questi è la fami­glia Mubarak. Ci sono due o tre argo­menti di cui la famiglia Mubarak per­mette che ci si occupi, e uno di questi è il calcio. Alaa-Alaagan promette che il suo è stato solo uno sfogo, «montato da
Al Jazeera», e che non ha alcuna inten­zione di buttarsi in politica. Quanto al calcio... «È la seconda religione del Pae­se. E in questo, i Mubarak sono uguali a tutti gli egiziani», certifica Marco Tardel­li, che è stato citì della nazionale e al Cai­ro è ancora ricordato con nostalgia per una storica vittoria sul Camerun, i brasi­liani d’Africa: «Alaa non lo conosco, ma Gamal veniva spesso a vederci. Non è un ultrà, è uno che se ne intende. E un paio di volte ha voluto anche incontrar­mi. In Egitto, le partite sono un momen­to collettivo fortissimo. Io ci sono stato molto bene, la gente mi trattava con af­fetto. Salvo quando perdevamo. Allora cambiava tutto: la mattina dopo la parti­ta, scendevo a far colazione e i camerieri dell’hotel si voltavano dall’altra parte».

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