Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ahmadinejad in visita a Caracas. Come benvenuto gli suonano l'inno dello Scià Ma i rapporti con Chavez restano idilliaci. La Colombia, invece, guarda agli Usa
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: La redazione della Stampa - La redazione del Foglio Titolo: «A Caracas per Ahmadinejad suonato inno sbagliato - Il nuovo fronte contro talebani e pasdaran taglia il Sudamerica»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/11/2009, a pag. 21, la breve dal titolo "A Caracas per Ahmadinejad suonato inno sbagliato ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Il nuovo fronte contro talebani e pasdaran taglia il Sudamerica ". Ecco gli articoli:
La STAMPA - " A Caracas per Ahmadinejad suonato inno sbagliato "
Come da cerimoniale, quando il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è arrivato all’aerporto di Caracas, in Venezuela, è stato accolto dall’inno nazionale (foto). Ma per un errore imbarazzante, non quello della Repubblica islamica dell’Iran, bensì il «Sorood e Shahanshahe» dell’era Pahlavi, in uso dal 1933 al 1979, quando la rivoluzione cacciò lo scià.
Il FOGLIO - " Il nuovo fronte contro talebani e pasdaran taglia il Sudamerica "
Hugo Chavez e Alvaro Uribe
Roma. Tremilacinquecento specialisti colombiani di controguerriglia in alta montagna pronti a partire per l’Afghanistan e una minaccia aerea diretta alle installazioni nucleari “di riserva” che l’Iran vorrebbe stabilire in Venezuela. Indiscrezioni raccolte dal Foglio in ambienti colombiani a contatto con alte sfere di Bogotá permettono di inserire in un quadro mondiale la tensione tra il colonnello venezuelano, Hugo Chávez, e il presidente colombiano, Alvaro Uribe. Da tempo la Colombia sta formando poliziotti afghani e iracheni alla lotta antinarcotici. Ma Chávez ha precipitato le cose, quando ha spinto il suo sodale Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, a sfrattare la base statunitense di vigilanza antinarcos che era situata nel porto ecuadoriano di Manta. A quel punto, gli Stati Uniti hanno chiesto alla Colombia di prendere il posto dell’Ecuador. Con il Plan Colombia contro le Farc, Bogotá è già oggi il secondo destinatario di aiuti statunitensi, dopo Israele. Da tempo è in discussione un Trattato di libero commercio che George W. Bush aveva a lungo cercato di far ratificare: scontrandosi però con la resistenza del Congresso, e in particolare dei democratici. A quel punto Chávez ha risposto alla “minaccia” con un’offensiva non soltanto mediatica e politica (dall’appello agli altri paesi latinoamericani alle invettive tv), non soltanto militare (dall’interruzione di ponti all’arrivo di 300 carri armati appena comprati dalla Russia), ma soprattutto economiche. Poiché da sempre il Venezuela è il secondo partner commerciale, la Colombia ha visto per effetto del blocco di Chávez il proprio intercambio ridursi dei due terzi, e si prevede che già all’inizio dell’anno prossimo il boicottaggio sarà totale. In questo modo Chávez ha ulteriormente rafforzato i legami tra Washington e Bogotá, che ormai ha un bisogno disperato del Trattato di libero commercio. L’accordo sulla messa a disposizione di sette basi è stato dunque siglato. Oltre a fare da sponda navale alla ricostituita Quarta Flotta, permetterà agli Stati Uniti, dal punto di vista aereo, di tener d’occhio il Sudamerica fino alla Patagonia. In cambio, il presidente americano Barack Obama ha garantito il suo appoggio alla sospirata ratifica del Trattato di libero commercio, vincendo le residue resistenze del suo partito. Nel pacchetto complessivo, sarebbe compreso anche l’invio di 3.500 elementi delle unità di controguerriglia di alta montagna, temprati da anni di lotta contro le Farc, e che andrebbero anch’essi nel fondo truppe che Obama sta cercando di creare per sostenere lo sforzo afghano. Secondo quanto riferito al Foglio, per evitare polemiche interne o esterne questi militari non rientrerebbero in nessuna quota ufficiale, ma sarebbero impiegati e remunerati come “contractors”. Che sarebbe anche una congrua buonuscita, per veterani che in Colombia continuerebbero a rischiare la vita, ma certo non pagati oltre certi livelli. Quest’alleanza naturalmente rafforza l’ostilità di Chávez. Oltre all’opportunità che la tensione gli offrirebbe per militarizzare gli stati di confine di Zulia e Táchira esautorando così gli oppositori che sono stati lì eletti governatori, ci sono le relazioni speciali con l’Iran: soprattutto in materia nucleare. Che non consistono soltanto nell’appoggio politico al nucleare iraniano, ribadito nella visita in corso di Mahmoud Ahmadinejad a Caracas. Dall’asse Caracas-Teheran da tempo filtrano informazioni sulla possibilità che Chávez abbia messo a disposizione della Repubblica islamica le ingenti riserve di uranio ancora da valorizzare nel Venezuela orientale. Adesso fonti di intelligence aggiungono che il programma nucleare di Ahmadinejad punterebbe a realizzare in Venezuela installazioni nucleari di riserva: come controassicurazione, nel caso quelle in Iran fossero all’improvviso colpite da un blitz. Ma con le sette basi americane in Colombia, anche le installazioni di riserva sarebbero agevolmente alla portata di un secondo blitz. Oltretutto, in questo momento la Colombia è un crocevia di servizi, non soltanto statunitensi e israeliani. A quanto affermano le fonti di queste notizie, benché molto meno pubblicizzata, la presenza inglese sarebbe nei fatti anche più importante. Sarebbero stati i servizi inglesi, in particolare, i veri mallevadori del colpo in territorio ecuadoriano ai danni del numero due delle Farc, Raúl Reyes. E sarebbero stati anche i servizi inglesi all’origine dell’altro colpo che ha portato alla liberazione di Ingrid Betancourt: sia pure all’interno di un coordinamento cui hanno partecipato anche americani, israeliani e, sembrerebbe, anche un colonnello dei nostri carabinieri. Nella lotta a Uribe, Chávez potrebbe schierare anche ciò che resta delle Farc, che ormai in gran parte è già oltre il confine venezuelano. Ma soprattutto si parla di un impiego massiccio di risorse per orientare le prossime campagne elettorali in Colombia. La sinistra colombiana, per la verità, si mostra abbastanza allergica alle direttive cháviste, ma in Venezuela c’è una massa critica di tre milioni e mezzo di emigrati colombiani che potrebbe essere ammansita con la semplice minaccia di espulsione o altre rappresaglie. In compenso, dal fronte anticolombiano si è sfilato l’Ecuador di Rafael Correa, che dopo la lunga tensione seguita all’uccisione di Reyes nel suo territorio ha ora deciso di normalizzare le relazioni. Ufficialmente, il premio è stata un’importante fornitura di elettricità colombiana, visto che anche l’Ecuador si trova in questo momento con un problema di black-out simile a quello del Venezuela. Ma sembra che sotto banco abbiano operato gli Stati Uniti, minacciando conseguenze negative per l’export ecuadoriano di banane.
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