Iran alla ribalta oggi, 23/11/2009. Sulla STAMPA, a pag.14, in un articolo di Marina Verna che riporta le minacce di Teheran, e su REPUBBLICA, l'articolo di Vincenzo Nigro, sulla repressione del regime dei mullah.
La Stampa- Marina Verna: " Se ci attaccano bombarderemo Tel Aviv "

Tel Aviv
Se attaccato, l’Iran risponderà. Per questo ieri sono cominciati cinque giorni di esercitazioni militari in difesa dei siti nucleari di tutto il Paese. «Domenica daremo il via a grandi manovre di difesa aerea che dureranno cinque giorni e si estenderanno su 600 mila chilometri quadrati», aveva dichiarato la settimana scorsa il generale Ahmad Mighani, comandante dell’unità di difesa antiaerea, citato dall’agenzia iraniana Fars.
Queste manovre puntano a contrastare la minaccia aerea di un potenziale nemico contro i siti nucleari, oltre che a migliorare la cooperazione fra le diverse unità dell’esercito. «La nostra unità sarà incaricata delle manovre ma ci saranno anche unità dei Guardiani della Rivoluzione e dei Bassiji - aveva spiegato il generale -. A causa delle minacce che gravano sui nostri siti nucleari, è nostro dovere difendere le vitali installazioni della nazione e di conseguenza queste manovre militari interesseranno Bushehr, Fars, Isfahan, Teheran e le province occidentali». Cioè la centrale atomica di Bushehr, ancora in costruzione, lo stabilimento di conversione dell’uranio di Isfahan e il cantiere della centrale per l’arricchimento dell’uranio vicino a Qom, la cui esistenza fino a settembre era ignota. Quest’ultimo impianto, il secondo dell’Iran, è stato concepito come un ripiego qualora il complesso di Natanz, molto più grande, venisse bombardato da nemici come Israele. Secondo gli ispettori dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, potrebbe essere solo il primo di tutta una serie di segreti siti nucleari iraniani.
La questione dell’arricchimento dell’uranio è al centro del braccio di ferro fra l’Iran e il gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) che temono che Teheran utilizzi l’uranio a fini militari, e non solo civili, come sostiene in tutte le sedi. Stati Uniti e Israele non hanno escluso operazioni militari, ma la Repubblica islamica non si piega alle minacce: «Risponderemo a eventuali attacchi contro i nostri siti nucleari colpendo gli interessi israeliani e americani nella regione».
In un’intervista al settimanale tedesco «Der Spiegel» oggi in edicola, l’ambasciatore iraniano presso l’Aiea, Ali Asghar Soltanieh, ha detto ancora una volta che il suo Paese «è pronto ad arricchire da solo il suo uranio» e che «non accetterà ricatti»: «Se all’estero non ci aiutano, saremo costretti a farlo da soli, l’uranio arricchito ci serve per far funzionare le macchine radiologiche dei nostri ospedali».
Intanto a Teheran continua la mano pesante del potere contro gli oppositori: l’ex vicepresidente riformatore iraniano Mohammad Ali Abtahi, arrestato dopo le manifestazioni seguite alle controverse elezioni presidenziali dello scorso 12 giugno e accusato di «attentato alla sicurezza nazionale e propaganda contro il regime islamico», è stato condannato a sei anni di carcere. In attesa dell’appello è stato scarcerato dietro pagamento di una cauzione astronomica: 7 miliardi di rial, l’equivalente di 500 mila euro. Al ritorno in Israele da unamissione al Cairo, il Capo dello Stato Shimon Peres ha confermato ieri sera la esistenza di progressi nelle trattative indirette con Hamas per uno scambio di prigionieri. «C’è un progresso reale nella questione di Ghilad Shalit...», il soldato israeliano rapito da Hamas nel giugno 2006, «ma non posso fornire dettagli - ha spiegato Peres - perché ogni dichiarazione potrebbe compromettere la questione». Secondo la emittente al-Arabiya, domani al Cairo si recherà una delegazione di Hamas per esaminare una lista di detenuti palestinesi che Israele accetta di liberare in cambio di Shalit.
La Repubblica-Vincenzo Nigro: " Iran, la repressione va avanti, sei anni all'ex vice di Khatami "

Ali Abtahi, prima e dopo la detenzione
LA BATTAGLIA politica fra il regime iraniano e gli oppositori che da quest´estate sfidano Mahmoud Ahmadinejad continua senza sosta, durissima. Ieri Mirhossein Moussavi, il candidato sconfitto da Ahmadinejad che guida il movimento di protesta contro i brogli elettorali, ha provato a lanciare un avvertimento al regime. «Il governo non può continuare ad intimidire, a minacciare il popolo perché cambi le proprie scelte», dice l´ex candidato, «il nostro movimento continuerà con la sua azione politica, ed è pronto a pagare qualsiasi prezzo».
Per la prima volta dopo giorni di relativo silenzio Moussavi reagiva al continuo, progressivo giro di vite del governo Ahmadinejad: l´ultimo segnale, il più prepotente, è la condanna che ieri ha dovuto subire l´ex vicepresidente Alì Abtahi. L´uomo che fu prima capo di gabinetto e poi vice del presidente riformista Khatami è stato condannato a 6 anni di galera con l´accusa di aver provocato i disordini di quest´estate dopo le elezioni del 12 giugno. Abtahi, 51 anni, è un religioso impegnato in politica da anni, un uomo in prima linea nel movimento riformista iraniano, conosciutissimo non solo nel Paese ma in tutta la regione e fra le decine e decine di giornalisti internazionali che hanno sempre avuto possibilità di discutere con lui della situazione politica iraniana.
Dal 1997 al 2005 è sempre stato al governo accanto a Khatami, in vari ruoli; ma anche dopo l´uscita dei riformisti dalle stanze del potere è rimasto impegnato in politica. Per esempio ha continuato a lavorare al suo blog, il primo aperto da un ministro iraniano. E proprio sul suo blog, dopo il velocissimo e sospetto annuncio della vittoria di Ahmadinejad, Abtahi aveva scritto che quel risultato era «un grande imbroglio». Mentre i giovani dell´"onda verde" iniziavano a scendere in strada per protestare, Abtahi scompariva dalla circolazione, arrestato in segreto dalla polizia. Dimagrito, chiaramente scosso per le settimane trascorse in carcere, Abtahi ricomparve in pubblico il primo agosto, durante il processo di massa in cui 100 oppositori di ogni livello furono costretti in diretta televisiva a fare autocritica, a sostenere che le elezioni erano state regolari e che essi avevano agito in combutta con «potenze straniere» per creare disordini nelle strade dell´Iran.
Dimagrito, chiaramente impaurito, Abtahi lesse una lunga "confessione" che immediatamente la famiglia denunciò come frutto delle violenze subite in carcere: sua moglie, Fahime Mousavinejad, accusò apertamente la polizia di averlo drogato. Adesso la condanna a 6 anni: Abtahi è stato rilasciato dopo aver pagato una cauzione di 700mila dollari. Ci sarà un processo d´appello, ma sarà solo l´ennesima mossa nella partita di un regime che vorrebbe riconquistare il controllo di una nazione che gli sfugge.
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