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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
22.11.2009 Rete terrorista islamica a Brescia, centro dei finanziamenti internazionali
Chi dà la notizia, chi la nasconde

Testata:Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: Claudio Del Frate-Guido Olimpio-la redazione di Repubblica
Titolo: «Da Brescia i soldi per gli attentati di Mumbai-La rete dei finanziatori che unisce Usa e Lombardia»

Su molti quotidiani oggi, 22/11/2009, le cronache e i commenti dettagliati sul ritrovamento a Brescia di una cellula terrorista. Riprendiamo i due articoli del CORRIERE della SERA, a pag. 16, più una breve di REPUBBLICA, che commentiamo a fondo pagina.


Mumbai, l'albergo in fiamme

Claudio Del Frate: " Da Brescia i soldi per gli attentati di Mumbai "

BRESCIA — I paletti della questione li fissa il sostituto pro­curatore Antonio Chiappani: «A Brescia non c’è una cellula terro­ristica, ma un ambiente di collu­sione e contiguità sì». Tradotto in soldoni fanno 400 mila euro che, transitando da un negoziet­to di via Garibaldi, cuore della Brescia multietnica, sono finiti, fuori da ogni regola sulla traspa­renza finanziaria, nelle tasche di persone implicate negli attenta­ti che il 26 novembre 2008 in In­dia avevano provocato 195 mor­ti. Gli inquirenti bresciani conte­stano la movimentazione di quel denaro ai due titolari della Madina Trading, uno dei tanti money transfer gestiti dalla fol­ta comunità pachistana locale.

Mohammad Yaqub Janjua e suo figlio Aamer sono stati arre­stati ieri mattina dalla Digos e dalla Guardia di Finanza; due lo­ro connazionali residenti in cit­tà sono finiti in carcere nella me­desima operazione ma «solo» per aver favorito l’immigrazio­ne clandestina, facendo arrivare in Italia persone assunte fittizia­mente in aziende della zona. Un quinto pachistano è sfuggito al­la cattura perché si trova nel suo Paese d’origine. Il «cuore» del­l’indagine sono comunque i Janjua. Di Mohammad si era già parlato circa un anno fa: un rap­porto della polizia aveva rivela­to che da via Garibaldi era stata pagata l’attivazione dei telefoni (cinque linee Voip che utilizza­no la rete internet) usati dagli at­tentatori di Mumbai.

Poi Rehman Malik, ministro dell’Interno pakistano, il 12 feb­braio scorso aveva rivelato: «I soldi degli attentatori sono arri­vati dall’Italia». Infine la scoper­ta più importante: tra il 20 set­tembre e il 25 dicembre 2008 (cioè a cavallo della strage in In­dia) il negozio dei Janjua aveva effettuato ben 300 trasferimenti di denaro verso il Pakistan e ver­so persone (in particolare tre, già identificate nel Paese asiati­co) indagate per attività terrori­stiche. Tutti quei trasferimenti portano la firma di un certo Iq­bar Javaid. E chi è costui? Tutti e nessuno, perché quel nome e quel cognome corrispondono a Mario Rossi in Italia. Sarebbero insomma generalità di comodo usate dalla Madina Transfer per occultare i veri procacciatori del denaro.

Basta questo per iscrivere Mohammad e Aamer Janjua nel
libro nero del terrorismo islami­co? Secondo la procura di Bre­scia sì, tanto che ai due era stato contestato l’articolo 270-ter del codice penale (fiancheggiamen­to dell’attività terroristica inter­nazionale); il gip di Brescia ha invece ordinato la cattura sulla base del favoreggiamento sem­plice, non convinto che i due avessero la piena consapevolez­za di appoggiare una multinazio­nale del terrore. «L’interpretazio­ne dei fatti è fluida — così il pm Chiappani smorza la polemica — ma il fatto che a Brescia sia presente l’humus del fondamen­talismo islamico è certo. Nessu­no stava progettando attentati, ma siamo convinti che qui ci sia­no persone che diffondono una dottrina jihadista e di non inseri­mento degli immigrati nella so­cietà italiana».

Guido Olimpio: " La rete dei finanziatori che unisce Usa e Lombardia "

WASHINGTON — Un network esteso, con diramazioni in Europa, nel Golfo, negli Usa. Una filiera in supporto — con denaro e uomini — al gruppo di fuoco autore del massacro di Mumbai. Un mo­saico dove gli ultimi tasselli hanno i no­mi di David Headley, un pachistano di 49 anni che una volta si chiamava Dao­od Gilani, e di un paio di suoi connazio­nali fermati a Brescia.

Il padre diplomatico, la mamma pro­prietaria di un ristorante, Headley vive tra Philadelphia e Chicago dove però non riesce a inserirsi. Le sue radici conta­no. E gradualmente si accosta agli estre­misti del «Lashkar-e-Toiba» e «Harakat al Jihad Islami». L’uomo viaggia moltissi­mo, studia da terrorista e i suoi protetto­ri lo preparano a dovere. Inizialmente Headley deve partecipare alla «Operazio­ne Topolino», un progetto per colpire il giornale danese che ha pubblicato le fa­mose «vignette blasfeme». Fingendosi pubblicitario, armato di videocamera, compie una ricognizione all’interno del quotidiano. È determinato, scaltro. Ma quando tutto sembra pronto per l’attac­co, il suo referente cambia idea. E invia un’email a David: «Ho bisogno di veder­ti per nuovi piani di investimento». Fra­se in codice che nasconde la volontà di organizzare attacchi, probabilmente, contro l’India. Ma Headley è catturato dagli statunitensi prima che possa agire. Fbi e servizi indiani scavano sul passa­to del militante e scoprono che ha visita­to numerose volte l’India tra il 2006 e il 2009. Insieme con lui agisce un canade­se di origini pachistane, Hussain Rana. Emerge così che Headley ha soggiornato all’Hotel Taj di Mumbai — uno degli obiettivi degli attacchi nel novembre 2008 —, quindi ha preso casa vicino al centro israelita, altro bersaglio dei terro­risti. Va in giro fingendosi ebreo e mo­stra a chi lo incontra testi religiosi. Nel contempo intreccia amicizie con alcuni attori di Bollywood: escono a cena, si in­contrano in palestra, si divertono insie­me. Per gli 007 indiani Headley si è com­portato da vero infiltrato. Adesso voglio­no capire se possa essere «l’anello man­cante » nella strage di Mumbai. Ossia se abbia fatto da «scout» per conto del com­mando che poi ha assalito gli hotel e la stazione.

Fonti di intelligence ritengono che Headley e il canadese Rana siano mem­bri della «Brigata 313», una fazione gui­data da Ilyas Kashmiri che ha la peculia­rità di reclutare giovani di origine asiati­ca ma trapiantati in Paesi occidentali. So­no gli uomini più preziosi, parlano un in­glese fluente e sono capaci di sembrare degli europei o degli americani. Li chia­mano i «soldati perfetti»: elementi a cui affidare missioni delicate nelle città de­gli infedeli. Una tattica che ha fatto scuo­la. Oltre alla rete di Kashmiri, infatti, ne esiste un’altra, composta da uzbeki, che può contare su diversi tedeschi.

La pericolosità di queste formazioni sta nella possibilità di combinare tre componenti: mujaheddin «tradizionali» (pachistani, kashmiri, arabi), estremisti «bianchi» (occidentali) e i facilitatori,
importanti per risolvere problemi logi­stici. In quest’ultima categoria rientrano le persone arrestate ieri a Brescia e gli al­gerini catturati pochi giorni fa, sospetta­ti di finanziare i qaedisti in Nord Africa. Attività legali o micro-crimine garanti­scono somme considerevoli poi girate attraverso le società di money transfer nelle tasche degli attentatori. Un flusso che trova in Italia una sponda robusta.

Accanto a questi network, definiti «ibridi», sono presenti cellule più picco­le, spesso formate da meno di sei perso­ne o addirittura da un singolo indivi­duo. Sono più amatoriali, fanno tutto o quasi in casa, hanno esperienze ridotte ma la loro volontà di colpire non è mino­re. Lo dimostra il caso di Mohammed Game, il kamikaze libico protagonista dell’attentato alla caserma Perrucchetti di Milano. A prima vista i «lupi solitari» non hanno contatti diretti con il qaedi­smo e il cordone ombelicale è rappresen­tato da un collegamento Internet. Ma la tendenza — già emersa in altre aree — è quella dello jihadista individuale teleco­mandato da un ispiratore lontano. Lui vi­ve a New York, ma chi o attiva se ne sta nascosto in Pakistan. E quello che sem­bra un fenomeno locale diventa all’im­provviso
globale.

Strabiliante la pagina 17 di REPUBBLICA di oggi, 22/11/2009, 9 righe a fondo pagina, con il titolo "Arrestati a Brescia due pachistani coinvolti nella strage di Mumbai". Mentre tutta la pagina è dedicata alla traduzione di un articolo del PAIS, nel quale la star è il terrorista Abu Omar, che racconta per l'ennesima volta la sua storia. Le 9 righe sui finaziamenti della strage di Mumbai, passati vai Brescia, riempiono invece le pagine di molti quotidiani, con cronache e analisi. Ovvio che non crediamo a connivenze o censure, forse più semplicemente è mancanza di professionalità, come quando REPUBBLICA disinforma su Israele,.
Ecco le 9 righe:


BRESCIA - La Digos di Brescia ha arrestato con l´accusa di favoreggiamento e attività finanziaria abusiva due pachistani che, attraverso pagamenti effettuati dall´agenzia di money transfer che gestivano, sarebbero coinvolti nella strage di Mumbai avvenuta in India tra il 26 e il 29 novembre 2008. Secondo gli investigatori, nell´imminenza degli attentati i due, usando l´identità di una persona ignara, avrebbero effettuato una rimessa di denaro per pagare l´account di un servizio di comunicazioni VoIP utilizzato da soggetti in contatto con i terroristi di Mumbai.

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