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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.11.2009 Iran : ' Continueremo ad arricchire uranio perchè i nostri diritti non sono negoziabili '
E il regime confisca tutti i beni di Shirin Ebadi. Cronaca di Guido Olimpio, intervista di Alessandra Farkas

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 novembre 2009
Pagina: 18
Autore: Guido Olimpio - Alessandra Farkas
Titolo: «Iran, il monito dell’Onu: Vogliamo chiarimenti - Shirin Ebadi: Mi hanno sequestrato il Nobel»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2009, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Iran, il monito dell’Onu. «Vogliamo chiarimenti» " e l'intervista di Alessandra Farkas a Shirin Ebadi dal titolo " Shirin Ebadi: «Mi hanno sequestrato il Nobel» ". Ecco gli articoli:

Guido Olimpio - " Iran, il monito dell’Onu. «Vogliamo chiarimenti» "

 
Logo dell'AIEA

WASHINGTON — Il con­fronto sul nucleare iraniano non promette nulla di buono. Ieri l’Aiea ha sollecitato Tehe­ran a fornire «maggiori chiari­menti » sull’impianto di For­dow, a Qom. Per tutta risposta il regime ha alzato il tono: l’Agenzia «è ripetitiva» nelle sue richieste — è stata la rea­zione — «continueremo ad ar­ricchire l’uranio» perché «i nostri diritti non sono negozia­bili ». Uno scambio che pone in luce come gli ayatollah non ab­biano alcuna intenzione di ri­nunciare ai sogni atomici.
Il nuovo braccio di ferro se­gue l’ispezione da parte dei funzionari Aiea nel centro di Fordow. Alla fine di ottobre gli specialisti sono entrati nell’im­pianto, la cui esistenza è emer­sa solo qualche settimana fa, per capire di cosa si tratta. E al loro rientro han­no compilato un rappor­to
diffuso ieri. Secondo le foto satellitari in possesso del­l’Agenzia la realizzazione del­l’impianto è cominciata tra il 2002 e il 2004, quindi, dopo una pausa, è ripresa nel 2006. Attività tenute segrete che co­stituiscono, come ha sottoline­ato l’Aiea, «una violazione». La visita all’impianto, però, non è stata ritenuta soddisfacente, così come la versione delle au­torità iraniane per le quali il centro non sarà operativo pri­ma del 2011. L’Aiea ha così chiesto nuove informazioni in quanto vuole comprendere perché lo hanno costruito e co­me si colloca all’interno del pia­no di Teheran. L’Agenzia inter­nazionale non esclude, a que­sto punto, che gli iraniani ab­biano un programma segreto.
Informazioni sulle ricerche clandestine sarebbero state rac­colte dall’intelligence occiden­tale che si è avvalsa di satelliti spia e fonti interne. Una di que­ste potrebbe essere il generale Alì Asgari scomparso nel 2007 durante un viaggio in Siria. Una tesi sostiene che si sia con­segnato agli americani o agli israeliani, un’altra — rilanciata in questi giorni da Teheran — accusa il Mossad di averlo rapi­to. Una guerra di ombre che si salda a forti pressioni diploma­tiche
sull’Iran. Ieri è stato an­nunciato un ritardo nel com­pletamento del reattore di Bu­shehr, impianto che viene rea­lizzato con l’assistenza deter­minante dei russi.
Mosca, forse, ha rallentato volutamente i lavori per lancia­re un messaggio al suo «clien­te ». E tra pochi giorni, è previ­sto il cambio della guardia al vertice dell’Aiea. L’egiziano Mohammed El Baradei, accusa­to di essere troppo morbido con i mullah è alla fine del mandato. Al suo posto arriverà il giapponese Yukiya Amano.

Alessandrea Farkas - " Shirin Ebadi: «Mi hanno sequestrato il Nobel» "


Shirin Ebadi

NEW YORK — «Ho invitato il se­gretario generale dell’Onu a visita­re l’Iran per vedere coi propri occhi il tragico deterioramento delle li­bertà nel mio Paese». Alla vigilia della risoluzione contro le violazio­ni dei diritti umani in Iran che l’As­semblea generale Onu si appresta a votare in settimana, Shirin Ebadi abbandona i toni soft per attaccare il regime «che uccide i minorenni, perseguita donne e minoranze reli­giose e mette all’indice la libertà di parola».
Lei manca dal suo Paese dalle contestatissime elezioni dello scorso giugno.
«Vivo in uno stato di esilio effet­tivo », spiega l’attivista 62enne, pre­mio Nobel per la Pace nel 2003, in un incontro col Corriere all’Hotel Tudor, a due passi dall’Onu. «Mi hanno confiscato l’appartamento, la pensione che ricevo dal ministe­ro della Giustizia e il conto in ban­ca mio e dei miei famigliari, ormai sotto costante minaccia. E se non bastasse mi hanno sequestrato tut­ti i premi, incluso il Nobel e la Le­gion d’Onore».
Ha paura di tornare in Iran?
«Nulla mi spaventa più, anche se minacciano di arrestarmi per eva­sione fiscale al mio rientro. Sosten­gono che debbo al governo 410 mi­la dollari in tasse arretrate per il No­bel: una fandonia visto che la legge fiscale iraniana stabilisce che i pre­mi siano esentasse. Se trattano così una persona ad alto profilo come me, mi chiedo come si comportano di nascosto con uno studente o cit­tadino
qualunque».
Quando ha intenzione di rimpa­triare?

«Tornerò, forse accompagnata
da Ban Ki-moon, quando avrò fini­to il mio lavoro all’estero e sarò più utile nel mio Paese. Sono stati i miei colleghi di Teheran a chieder­mi di restare: 'Adesso ci sei più uti­le fuori', hanno detto. Uno dei miei compiti è perorare la risoluzione Onu che i partner commerciali ira­niani vorrebbero bloccare in quan­to 'politicizzata'. Un’accusa falsa come dimostra l’ultimo rapporto di Ban Ki-moon: un uomo che non si può certo accusare di parzialità».
A cosa serve una risoluzione pu­ramente simbolica?
«A mettere in guardia il governo di Teheran e a dare al popolo che soffre la conferma che l’Onu è con lui. Bisogna riportare la calma nel Paese e io sento il dovere di interve­nire per fermare l’escalation di vio­lenza » .
Teme che i media internaziona­li abbassino la guardia?
«Sì. Migliaia di prigionieri lan­guono in carcere, torturati e stupra­ti. Nessuno conosce il vero numero delle vittime».
La commissione Onu per i dirit­ti umani a Ginevra fa la sua parte?

«Cerca di farla ma la composizio­ne del consiglio è tale da legargli le mani. Vorrei spingerlo a fare di più perché, lo ripeto, la violazione dei diritti umani nel mio Paese è diven­tata sistematica e diffusissima. Se la Comunità internazionale tace, il popolo sarà dimenticato ed è pro­prio ciò che vuole il governo».
L’amministrazione Obama sta facendo abbastanza?
«Non ho ancora incontrato il pre­sidente Obama né i membri della sua amministrazione ma la mia po­sizione è ben chiara: nel dialogo con l’Iran non si può parlare solo di nucleare, ignorando la questione ben più pressante dei diritti umani. Le due sono interdipendenti».
È ottimista sulla ripresa del dia­logo tra Washington e Teheran?
«Obama ha inaugurato un nuo­vo corso rispetto all’ostile sbarra­mento di Bush, ma bisogna aspetta­re per vedere quali decisioni in con­creto verranno prese».
È ancora in contat­to con i suoi famiglia­ri in Iran?
«Parlo tutti i giorni con mio marito e con i miei colleghi del Cen­tro per la difesa dei di­ritti umani. No, non so­no in contatto con gli esuli iraniani in Ameri­ca e nel resto del mon­do: non sono un lea­der politico né un lea­der del movimento d’opposizione né loro mi riconoscono come tale. Sono solo un di­fensore dei diritti uma­ni, un semplice avvo­cato che difende pro bono i perseguitati po­litici » .
Quando tornerà in Iran avrà molto da fare.
«Ne sono certa e mi preparo già ad accettare tutti i casi che mi capi­teranno, coadiuvata da una ventina di illustri colleghi, la maggior parte delle quali donne».
È vero che la rivoluzione estiva è stata guidata dalle donne? « Ba­sta andare su Youtube per capirlo. Non a caso Neda ne è diventata il simbolo. Tantissime donne sono dietro le sbarre mentre ogni sabato sera il comitato delle Madri in Lut­to dell’Iran si riunisce in un parco. Protestano in silenzio, vestite di ne­ro e con le foto dei figli imprigiona­ti o uccisi. Molte città, tra cui Firen­ze e Venezia, hanno creato comitati di solidarietà analoghi e io mi ap­pello a tutte le donne del mondo perché facciano lo stesso».

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