Gli attentatori del 9/11 saranno in parte processati a New York. Anche se la decisione sta generando aspre discussioni, siamo sicuri che assisteremo ad un processo dal quale verranno fuori tutte le responsabilità. La democrazia americana è troppo forte per lasciare spazio a dubbi. Pubblichiamo i commenti del FOGLIO e LIBERO, dalla STAMPA la cronaca.
Il Foglio- " Il paradosso dello Sheikh a New York "
Khaled Sheikh Mohammed
La decisione di processare cinque terroristi di al Qaida davanti alla Corte federale di New York non è la soluzione brillante che scioglierà l’impasse costituzionale di Guantanamo Bay, ma rischia invece – e soltanto – di intorbidare ancora di più le acque (e infatti ieri senza clamore si è dimesso Gregory Greg, il consigliere legale nominato apposta da Obama). Non si applicano le leggi di pace in tempo di guerra, come ha detto ieri il senatore Joe Lieberman. “Terroristi accusati di avere commesso l’atto odioso e codardo di colpire civili ignari e senza difese – dice il senatore riferendosi al più celebre dei prossimi imputati newyorchesi, il saudita Khalid Sheikh Mohammed, ideatore delle stragi dell’11 settembre – dovrebbero essere giudicati da una negli Stati Uniti”. Certo, c’è un irresistibile significato simbolico nel trascinare davanti a una giuria di New York, vicino alla ferita ancora aperta a otto anni di distanza di Ground Zero, il terrorista che quella ferita l’ha aperta con il suo piano. Una tentazione tanto più irresistibile perché cade durante il mandato di un’Amministrazione che per ora stravince sul piano dell’immagine ma realizza poco – il Nobel per la Pace ricorda qualcosa? Ma Khalid Sheikh Mohammed non è il colpevole di un reato: è il pianificatore di un attacco militare a sorpresa contro gli Stati Uniti, in stile Pearl Harbor, e appartiene a una schiatta così pericolosa che quella stessa Amministrazione che ora s’ammanta di progressismo illuminato fulmina con i missili i complici dell’imputato dalla Somalia al Pakistan.commissione militare piuttosto che da corti civili

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Guantanamo non chiuderà il 22 gennaio come Obama aveva promesso, ma non è colpa sua. Il responsabile del ritardo pare sia Greg Craig, consigliere giuridico della Casa Bianca, la sua testa è già rotolata e non è detto che non ne rotolino altre nei prossimi giorni. Di fatto, almeno su questo punto, Obama ha mantenuto la parola, Guantanamo chiuderà, non ci sono dubbi. I detenuti saranno sparpagliati un po’ per il mondo, quelli accusati per gli attentati dell’11 settembre finiranno a New York, processati a due passi dal Ground Zero. Le loro teste non rotoleranno simbolicamente come quella di Craig, ma le loro vite si spegneranno probabilmente su un lettino bianco di un carcere di massima sicurezza statunitense, stroncati da un’iniezione letale. Per i benpensanti progressisti di tutto il mondo giustizia è fatta, non ci sarà più una Guantanamo infame, in quell’angolo di Cuba rubato a Fidel. È stato Obama, incoronato dell’alloro della pace, a liberare il Pianeta dall’incubo delle tute arancioni, dei soprusi e delle torture. Poco importa che almeno cinque di loro salteranno a piè pari nella brace che scaldava la padella in cui si trovavano. Nessuna ipotesi o supposizione, è quello che si augura uno dei più stretti collaboratori di Barack, il procuratore generale (ministro della Giustizia), Eric Holder: «Chiederemo la pena di morte per i responsabili dell’11 settembre - ha detto -, porteremo avanti questi processi con determinazione». Eric Holder, primo procuratore generale di pelle nera negli Stati Uniti, ai tempi di Bill Clinton sostenne più volte di essere contrario alla pena di morte. «Sono contrario ma mi adeguo» disse nel 1997. Mentre qualche anno più tardi si scagliò contro il Patriot Act e le tecniche di interrogatorio adottate contro i terroristi accusando lo stesso Bush «di mancanza di rispetto per lo Stato di diritto». Una volta vestiti i panni di procuratore generale Holder sembra aver perso tutta quella attenzione che aveva dimostrato per i diritti umani, il ruolo evidentemente lo richiede. Il waterboarding? «Non è un problema» ha detto ieri rispondendo alle domande dei giornalisti. Ai fini del risultato dei processi il fatto che uno degli imputati sia stato ripetutamente torturato con la tecnica dell’annegamento simulato non conta: «Se non fossi fiducioso del loro esito - ha detto - non avrei autorizzato il via a questi processi». Qualcuno ricorda che Holder in realtà non è nuovo a queste uscite: nel 2002, fresco di 11 settembre, aveva sostenuto che i detenuti di Guantanamo non sono «tecnicamente protetti dal diritto di protezione della Convenzione di Ginevra».
Tra i non protetti c’è appunto anche il pluriomicida e pluritorturato Khalid Sheik Mohammed, considerato il capo operativo di Al Quaeda, la mente degli attentati dell’11 settembre, di Bali e di tanti altri. Simbolo del male da una parte e di Guantanamo dall’altra, reo confesso dopo 183 waterboarding. Nessun dubbio sulla sua colpevolezza, ma la confessione estorta tramite tortura sotto l’amministrazione Bush è magicamente diventata un “non problema” sotto l’amministrazione Obama. Quando ci fu da giudicare il “20esimo kamikaze” (Zacharias Moussaoui) i repubblicani non osarono mandarlo a morte per paura di farne un martire, i democratici probabilmente lo faranno, e senza problemi. D’altronde la regola sempre valsa anche da noi, un governo di sinistra può fare ciò che alla destra è proibito.
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Guantanamo
Saranno giudicati in un tribunale di Manhattan, poco distante dal World Trade Center, dove otto anni fa morirono oltre 2500 persone nel corso degli attentati aerei di cui furono le menti. È questo il destino che attende Khalid Sheikh Mohammed e altri quattro detenuti del carcere di Guantanamo, che saranno processati da una corte federale.
Rischiano la pena capitale. Lo ha detto il ministro della Giustizia Eric Holder, che ufficializza il trasferimento dei cinque in contemporanea all’annuncio delle dimissioni di Gregory Craig, guru legale della Casa Bianca. Episodi dalle connessioni certe che mettono in luce dissidi tutti interni all’amministrazione sul nodo di Gitmo. «L’11/9 abbiamo subito gli attacchi peggiori della nostra storia, e la priorità assoluta è portare i responsabili davanti alla Giustizia», dice Holder. Oltre a Mohammed considerato la mente degli attacchi, ci sono Ali Abd al Aziz Ali, Mustafa Ahmed al Hawsawi, Ramzi bin al Shibh, Walid bin Attash. «Spero che i procuratori chiederanno la pena di morte», sferza Holder mentre Obama da Tokyo si dice «assolutamente certo» che gli accusati saranno sottoposti all’esame più rigoroso possibile: «Lo vuole il popolo americano, lo vuole la mia amministrazione».
Il trasferimento è il test legale e politico più delicato per l’amministrazione che si è dovuta già scontrare con le difficoltà giuridiche e pratiche nel tentativo di chiudere Gitmo. Holder ha ammesso che non sarà possibile rispettare la scadenza del 22 gennaio 2010, come promesso da Obama. Per questo si è dimesso Gregory Craig, il consigliere legale della Casa Bianca cui era stato assegnato il compito di lavorare alla chiusura del supercarcere militare, missione che si è rivelata più difficile del previsto anche per la diversa veduta rispetto ad altri esponenti dell’esecutivo, tra cui lo stesso Holder. «Greg è un caro amico e un consigliere fidato, lo ringrazio per il suo contributo», dice Obama che in realtà incassa un duro colpo: Craig è il più alto esponente del governo a lasciare.
Intanto piovono critiche sull’amministrazione dai repubblicani che considerano il trasferimento un «rischio non necessario», mentre per i familiari delle vittime è «un errore enorme concedere ai terroristi i diritti costituzionali propri dei cittadini americani». Mohammed e gli altri, in realtà, non sono i primi ad arrivare in Usa. A precederli è stato Ahmed Ghailani, il terrorista ragazzino accusato di aver partecipato agli attentati in Kenya e Tanzania del 1998.
Inoltre esiste il rischio che si riproponga la questione del ricorso al waterboarding. Holder dice di non ritenerlo «un problema» ai fini del processo anche se nel caso di Mohammed si è ricorsi per 183 volte all’annegamento simulato. Il trasferimento nelle carceri della City richiede comunque settimane visto che formalmente le accuse da parte dei procuratori federali non sono ancora state notificate. Saranno invece processati dalle corti militari di Gitmo altri cinque detenuti di alto profilo che avendo operato fuori dal territorio Usa e contro obiettivi militari - spiega Holder - non possono essere giudicati da una corte federale americana.
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