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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.11.2009 Abbiamo perduto la Turchia ? Beh, non è una novità
Il commento di Antonio Ferrari, la cronaca di Monica Ricci Sargentini

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 novembre 2009
Pagina: 10
Autore: Antonio Ferrari-Monica Ricci Sargentini
Titolo: «A Istambul Bashir e Ahmadinejad, abbiamo perduto la Turchia ?- Il ricercato Bashir a Istambul, l'UE protesta con la Turchia-»

Abbiamo perduto la Turchia ? Se lo chiede Antonio Ferrari sul CORRIERE della SERA di oggi, 08/11/2009, a pag. 10. Una domanda retorica, supponiamo, in quanto è da mo' che la Turchia ha scelto la strada dell'islamismo. L'unico vantaggio è che adesso il no al suo ingresso in Europa non è più in discussione. E' vero che così si abbandona metà del paese, certamente laico, nelle mani di Erdogan, ma non c'è altra via d'uscita. O almeno ci sarebbe, un colpo di stato dei militari, da sempre garanzia dell'eredità laica di Ataturk, che però tacciono. Al commento di Ferrari segue la cronaca di Monica Ricci Sargentini a pag 12.

Antonio Ferrari: " A Istambul Bashir e Ahmadinejad, abbiamo perduto la Turchia " ?

 Recep Erdogan

Parlare di imbarazzo è voler mi­nimizzare. Perché la luna di mie­le del premier turco Recep Tayyip Erdo­gan con i Paesi islamici, soprattutto radi­cali, si «impreziosisce» di un nuovo capi­tolo. A Istanbul, oggi, si riunisce il vertice dell’Organizzazione della Conferenza isla­mica (Oci), e tra gli invitati, oltre all’irania­no Ahmadinejad e al siriano Assad, vi è anche un leader inseguito da un mandato di cattura internazionale per genocidio: il presidente del Sudan Omar el-Bashir, l’uo­mo delle stragi nel Darfur.

Chiariamo subito che l’invito non è par­tito da Ankara, e il padrone di casa, il pre­sidente Abdullah Gul, si è subito schermi­to: «Questo non è un incontro bilatera­le! ». Come dire: chiedete all’Oci, noi sia­mo soltanto il Paese che ospita la confe­renza. Vero, ed è anche vero che Ankara non ha mai sottoscritto lo Statuto di Ro­ma, che stabilisce le competenze della Corte penale internazionale, l’istituzione che ha ordinato l’arresto di el-Bashir. Ma a Erdogan non può sfuggire che l’ospitali­tà al presidente sudanese, assieme a quel­la di Ahmadinejad, è quantomeno imba­razzante: preoccupa gli Usa e irrita l’Ue, dove la Turchia vorrebbe entrare. È quin­di evidente che la conferenza è un nuovo ostacolo sul cammino di Ankara.

Un ostacolo voluto dallo stesso Erdo­gan? Forse. Perché le ipotesi sono tre: la Turchia, vista la disaffezione dell’Ue, se ne allontana. Quasi un prologo al rifiuto di chi non la vuole; Ankara alza sciente­mente e cinicamente il prezzo — gelo con Israele e sorrisi ai Paesi islamici più oltranzisti — , lasciando intendere che te­nerla fuori dall’Ue diventerebbe un pro­blema molto serio; Erdogan vuole pro­porsi come l’unico leader musulmano che può piegare a più miti consigli i Pae­si più radicali. Calcolo azzardato, que­st’ultimo, che non convince gli opposito­ri interni e persino alcuni esponenti del suo stesso partito islamico moderato Akp, che ha la maggioranza dei consensi. All’estero domina l’apprensione, per non dire il fastidio.

Monica Ricci Sargentini: " Il ricercato Bashir a Istambul, l'UE protesta con la Turchia "

 Il Presidente Gul a sin. poi Omar El Bashir

Omar Hassan el-Bashir arri­verà oggi in Turchia. Ma quan­do il presidente sudanese, ricer­cato per crimini di guerra e con­tro l’umanità, atterrerà all’aero­porto di Istanbul non ci sarà nessuno ad arrestarlo. Ankara, infatti, ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di ese­guire il mandato di cattura spic­cato il 4 marzo scorso dalla Cor­te Penale Internazionale per i massacri nel Darfur. «Bashir— ha spiegato il presidente turco Abdullah Gül — verrà qui per un summit organizzato dall’Or­ganizzazione della Conferenza Islamica (Oci), non è un incon­tro bilaterale, questo dovrebbe­ro capirlo tutti».

L’Unione Europea, però, non ha gradito e ha invitato Ankara a tornare sui suoi passi. Un rap­presentante dell’ambasciata svedese, che ha la presidenza di turno dell’Unione, si è recato ie­ri al ministero degli Esteri per manifestare le preoccupazioni di Bruxelles. Negli ambienti di­plomatici si vocifera anche di una nota diplomatica, firmata Ue, finita sul tavolo del mini­stro degli Esteri Ahmet Davuto­glu. L’interessato smentisce ma il presidente Gül reagisce stizzi­to alle pressioni europee: «Per­ché mai stanno interferendo?». Nonostante le promesse di Er­dogan, la Turchia non ha mai ra­tificato lo Statuto di Roma che definisce la giurisdizione e il funzionamento della Corte del­­l’Aja, ma un Paese candidato a diventare membro dovrebbe co­munque rispettare gli accordi internazionali siglati dalla Ue.

L’arrivo al vertice dell’Oci di Bashir (insieme a quello di Ah­madinejad) va ad alimentare le preoccupazioni dell’Occidente sulla politica estera del gover­no di Erdogan che, il mese scor­so, ha impedito all’aviazione israeliana di prendere parte a un’esercitazione della Nato in territorio turco, ha intensifica­to le relazioni con la Siria e ha difeso la politica di Teheran sul nucleare. Le relazioni tra Anka­ra e Gerusalemme sono così te­se che, per due giorni di segui­to,
l’ambasciato­re di Gerusalemme, Gabby Levy, è stato accolto da cittadini che urlavano «Israele assassino» e gli lanciavano uo­va. Un clima impensabile solo qualche mese fa in un Paese membro della Nato, considera­to un fedele alleato dell’Occi­dente. Ma Erdogan ha liquidato così il sospetto che il suo parti­to filoislamico stia allineando la Turchia alle posizioni dei Pae­si arabi: «Noi — ha detto — ab­biamo un oc­chio che guarda ad Ovest e uno ad Est». Washin­gton e Bruxelles, spiegano fonti del ministero degli Esteri turco, dovrebbero considerare «una grande risorsa che il nostro Pae­se abbia buoni rapporti con tut­ti i suoi vicini».

Fatto sta che per Bashir quel­la di oggi sarà la terza visita in Turchia negli ultimi 18 mesi, la prima da quando è diventato un ricercato. Il presidente suda­nese
non sembra aver paura di essere arrestato. Da marzo ad oggi è volato in Eritrea, in Li­bia, in Egitto, in Qatar, dove si è seduto a pochi metri dal se­gretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, e ha compiuto un pel­legrinaggio alla Mecca. Persino gli Stati Uniti, con la presidenza Obama, hanno cambiato politi­ca nei confronti del Sudan av­viando un dialogo con il gover­no. «Accogliere o no Bashir è una scelta che spetta alla Tur­chia », ha commentato ieri il portavoce del dipartimento di Stato Usa Ian Kelly. E Ankara ha buoni motivi per aprirgli le braccia: i suoi interessi econo­mici e petroliferi in Sudan sono molto solidi.

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