Sul GIORNALE di oggi, 08/11/2009, a pag. 16, Fiamma Nirenstein analizza le dimissioni di Abu Mazen, con uno sguardo d'insieme alle ereazioni internazionali. Sullo stesso tema, sull' UNITA', Umberto De Giovannangeli intervista Shulamit Aloni, che, naturalmente, dà tutta la colpa a Israele. La foto scelta per illustrare il pezzo è tipica dello "stile" del quotidiano ex PCI, raffigura una donna palestinese mentre dal buco di una grata porge un documento per ricevere aiuti alimentari dalle Nazioni Unite. L'ennesima bufala di Gaza affamata, elemento sempre utile per la disinformazione del giornale del PD.
Eccoli:
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Lezioni di suicidio politico, il caso Abu Mazen "
Addio ! ma sarà poi vero ?
Fine settimana piuttosto luttuosa per le politiche di conciliazione internazionale, di cui il patrono è Barack Obama. Da una parte, il rifiuto ormai chiaro dell’Iran a seguire il piano occidentale che doveva portare a un rallentamento della costruzione del suo nucleare, con immediata e ossequiosa sostituzione del piano da parte di El Baradei e entrata in scena della Turchia; dall’altra parte lo sconcerto occidentale di fronte al ritiro di Abu Mazen dalla competizione elettorale da lui stesso fissata per il 24 gennaio. Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francesi è il più disperato e chiede a Abbas di ripensarci: il suo abbandono è una minaccia non solo per la pace, dice, ma «per tutti noi». Anche Hillary Clinton spera di continuare con Mahmoud Abbas «qualsiasi sarà la sua posizione».
Tutti, anche gli israeliani, fra cui Ehud Barak, sperano di recuperare le vecchie abitudini, e quindi che Abu Mazen scenda dall’albero sui cui si è arrampicato. Ma la verità è che la decisione di Abu Mazen riguarda l’onda nera che si eleva e si arrotola all’orizzonte, e il modo in cui egli stesso e il resto del mondo stanno cercando di affrontarla, ovvero, debolmente, amatorialmente. L’unica maniera che forse avrebbe Abu Mazen di tornare sulla scena sarebbe di rimandare quelle elezioni che ha appena convocato e mettersi a nuotare contro corrente, e non è detto che alla fine non lo faccia. Tornare a competere sarebbe suicida, ed è difficile che possa tornare a farlo. Abu Mazen è fra l’incudine del moderatismo e quella dell’estremismo. È stato oggetto dell’incauto gioco pacifista degli Usa e dell’aggressione di Hamas, e invece di rifiutare ambedue le dannose relazioni, ha cercato di navigare in due fiumi. Obama gli ha chiesto di essere l’uomo della trattativa e gli ha però di fatto posto un ostacolo insormontabile nel momento in cui, per la prima volta nella storia del processo di pace, ha chiesto a Israele il completo e immediato stop delle costruzioni negli insediamenti e anche a Gerusalemme. Abu Mazen, che non poteva certo essere da meno, ha messo a sua volta questa altissima asta davanti a Netanyahu, da saltare prima di sedersi al tavolo.
Ma Bibi voleva una prova: quella che Fatah riconoscesse l’esistenza di Israele come stato ebraico. Abu Mazen però doveva contenere la concorrenza con Hamas, sempre più sprezzante e aggressivo nei suoi confronti, e ha adottato toni oltranzisti lanciando una campagna per il diritto al ritorno e per la negazione del diritto storico degli ebrei a Gerusalemme e a Israele in generale. Però, attenzione, quando Obama alcune settimane fa lo ha invitato insieme a Bibi a New York, è andato mitemente all’appuntamento e ha accettato di non spingere all’Onu la relazione Goldstone che vuole Israele di fronte al tribunale internazionale per crimini di guerra a Gaza. Con il risultato di doversi ben presto rimangiare questa posizione sotto le pressioni di Hamas che lo accusava in piazza di alto tradimento.
Di fatto, Abbas si è rimangiato la concessione a Obama, la risoluzione Goldstone è passata all’Onu; e il divieto a Israele di difendersi ha messo Netanyahu in una posizione poco agibile per accordi preventivi con Abu Mazen. Ma intanto anche l’accordo con Hamas sponsorizzato dal Cairo è andato a pezzi. Si chiamerebbe una gioco «loose-loose», di perdita e ancora perdita per Abbas. Intanto Hamas, col plauso popolare, compiva lanci di nuovi missili Fajar forniti dall’Iran che possono arrivare fino a Tel Aviv. Questa è la propaganda che ha più presa, e Abu Mazen ha capito di non avere chance alle elezioni con la sua pallida e impossibile richiesta di smetterla con le costruzioni negli insediamenti: Israele certo non può accettarla mentre Hamas si prepara a alzare il tono dello scontro.
Il clima è di guerra, e lo dicono anche le enormi esercitazioni militari compiute da Israele con gli americani nei giorni scorsi. Abu Mazen ha voluto essere insieme la colomba che tutti desideriamo e l’uomo che non si siede al tavolo delle trattative se non si parte da dove dice lui. Ora si parla di successori impossibili, come Barghouti, che è in carcere con cinque ergastoli, e che perse le elezioni, da capolista, nel 2006. Lui stesso ha detto che le elezioni sceglierebbero solo il capo di metà dei palestinesi, impotente a gestire qualsiasi trattativa.
www.fiammanirenstein.it
L'Unità- Umberto De Giovannangeli: " Colpa di Israele le dimissioni di Abu Mazen "
Shulamit Aloni
No, la rinuncia di Abu Mazen non è un affare interni ai palestinesi, come ipocritamente affermano i governanti del mio Paese. La sua rinuncia a candidarsi per le elezioni presidenziali del 24 gennaio è anche, direi soprattutto un “affare” di Israele, perché sono stati i “nostri” governanti ad affossare la sua leadership, con la loro politica scellerata, irresponsabile, che ha svuotato di ogni significato concreto la parola “negoziato””. A denunciarlo è una delle figure storiche della sinistra laica e pacifista d’Israele: Shulamit Aloni, scrittrice, fondatrice di Gush Shalom (Pace Adesso), più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres. “Unaffareinternoai palestinesi”.Così il vice ministro degliEsteri israeliano, Dany Ayalon, ha commentato la decisionedelpresidenteMahmudAbbas (Abu Mazen) di non ricandidarsi alle elezioni del 24 gennaio. «Trovo di una ipocrisia ributtante questa affermazione di Ayalon. Israele c’entra e come in questa decisione di Abu Mazen. C’entra perché ha sabotato ogni possibilità di giungere ad un compromesso accettabile con i palestinesi. C’entra perché la colonizzazione dei territori occupati, lo strangolamento di Gaza, i crimini commessi nel corso dell’operazione “Piombo Fuso” nella Striscia, hanno tagliato le gambe ad una dirigenza palestinese che ha provato a raccontare alla sua gente che poteva esistere un’alternativa alla lotta armata e al terrorismo per veder riconosciuti e realizzati i propri diritti. Israele ha ucciso questa speranza. Ma d’altro canto cosa ci si poteva attendere da un governo che ha scelto come ministro degli Esteri,unpericoloso oltranzista, un estremista di destra come Avigdor Lieberman? Un governo inconsiderano Barack Obama un nemico di Eretz Israel (la Terra d’Israele, ndr)?». In un suo recente scritto, lei ha lanciato un grido d’allarme sullo stato della democrazia in Israele, che ha scatenato un mare di polemiche. «Non recedo di una virgola da quell’atto di accusa. L’ho maturato con la morte nel cuoremaa ragion veduta. Ho combattuto nell’Haganah per avere uno Stato ebraico in Palestina, ed ora mi ritrovo con uno Stato colonialista, con una democrazia scivolata sempre più verso una chinapericolosa: quella diuna etnocrazia. Non ci sto, ho vergogna di questi governanti che, in nome della sicurezza, distruggono vite e ogni nostro valore umano. Oggi, nello Stato di Israele, la democrazia esiste solo in senso formale: ci sono partiti ed elezioni e unbuon sistema giudiziario. Ma c’è anche un esercito onnipotente il quale ignora le decisioni legali che limitano il furto di terra posseduta e coltivata da gente che durante gli ultimi 42anni ha vissuto sotto occupazione. D’altro canto, quando si comincia a parlare di “guerra giusta”, il razzismo dilaga e la rapina viene chiamata “restituzione di proprietà. L’amara verità è che oggi Israele è ostaggio del fanatismo religioso e da un ultranazionalismo che pensa di poter risolvere con la forza la questione palestinese. È straziante, ma lo Stato di Israele non è più una democrazia. Noi viviamo in una etnocrazia soggetta a un ordinamento “ebraico e democratico”». Isuoicontestatori lerisponderebbero che Israele è una “democrazia in trincea”echeècostrettoadusare la forza per tutelare la propria sicurezza”. «Non si può essere al sicuro opprimendo un altro popolo. Questa è una tragica, oltre che vergognosa, illusione per un Paese che si vuole democratico. Tutto questo ha tanto a che vedere con la decisione di Abu Mazen». Lesuedenuncesiavvicinanoaquelle dell’ex presidente degli Stati Uniti, JimmyCarter,cheperlesueposizioni è stato aspramente criticato dalle autorità israeliane. «L’attacco dell’establishment ebraico a Carter si fonda sul fatto che questi ha osato dire la verità che è nota a tutti: tramite l’esercito, il governo di Israele pratica una forma brutale di apartheid nel territorio che occupa. L’esercito hatrasformato ogni villaggio ed ogni cittadina palestinese in un campo di detenzione recintato o bloccato; tutto questo per tenere d’occhio gli spostamenti della popolazione, e rendere loro la vita difficile in Cisgiordania, e impossibile a Gaza».
Per inviare la propria opinione a Giornale e Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti.