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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Giornale Rassegna Stampa
06.11.2009 Gli arabi contrari ai due Stati. Gli Usa più vicini a Israele. Abu Mazen si dimette
Analisi di Angelo Pezzana, R. A. Segre

Testata:Libero - Il Giornale
Autore: Angelo Pezzana - R. A. Segre
Titolo: «I palestinesi dicono no ai due stati. Sconfitta la linea pacifista di Obama - Washington più vicina alle ragioni di Israele»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 06/11/2009, a pag. 24, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " I palestinesi dicono no ai due stati. Sconfitta la linea pacifista di Obama ". Dal GIORNALE, a pag. 15, l'articolo di R. A. Segre dal titolo "Washington più vicina alle ragioni di Israele ". Ecco i due articoli:

LIBERO - Angelo Pezzana " I palestinesi dicono no ai due stati. Sconfitta la linea pacifista di Obama "

L’atteggiamento leale ma non succube di Bibi Netanyahu nei colloqui americani con Barack Obama e le richieste non esaudite di Hillary Clinton ad Abu Mazen per la ripresa dei colloqui di pace, hanno costretto la dirigenza palestinese, frazione Anp, a gettare la maschera. I reiterati no a Israele non erano tanto un rialzo del prezzo con l’accusa allo Stato ebraico di non avere seguito quanto prescritto dalla “Road Map”, quanto piuttosto l’impossibilità di continuare a nascondere una verità che ormai era evidente a chi volesse guardare alla realtà mediorientale senza le abituali ipocrisie. I palestinesi, o meglio la loro leadership frazione Cisgiordania, non è che non avesse più l’obiettivo dello Stato indipendente, più semplicemente era diventato impossibile non tenere conto del colpo di stato di Hamas, che ha strappato con violenza la striscia di Gaza dalle mani di Fatah, dividendo in due il territorio palestinese.

Nel frattempo Abu Mazen ha deciso di non ripresentarsi per le elezioni del prossimo gennaio. In ogni caso i pronostico danno per favorita Hamas. «Non è una manovra. Spero che tutti capiscano questa mia scelta e farò di tutto per farla comprendere», ha detto il leader “dimezzato” dell’Anp.

Capiamo l’imbarazzo del povero Mahmoud Abbas, a doversi sedere con Bibi al tavolo dei colloqui, senza sapere esattamente che cosa reclamare. Se ne è accorto per primo il premier Salam Fayyad che ha chiesto due anni di tempo per realizzare le sovrastrutture del futuro stato, ma Hamas non concede dilazioni, vuol sapere, e in fretta, chi è che comanda sui palestinesi.

Ecco allora che i giochi cominciano a diventare chiari, ci pensa il capo negoziatore Saeb Erekat, il quale si è accorto che l’unico argomento dietro al quale può nascondere la sua impotenza è la solita accusa a Israele, «i palestinesi potrebbero dover abbandonare l’obiettivo di uno Stato indipendente, se Israele dovesse continuare ad estendere le proprie colonie senza che gli Stati Uniti lo fermino» ha dichiarato all’agenzia Reuters l’altro ieri. Una introduzione che ha permesso subito dopo ad Abu Mazen di «dire al suo popolo la verità, che con le attività di insediamento che proseguono, la soluzione “due stati” non è più un’opzione». Finalmente, le carte si scoprono e la parola misteriosa esce allo scoperto, eccolo lo Stato Binazionale, lo Stato unico, che dovrebbe unificare Gaza, Israele e Cisgiordania, a maggioranza musulmana, con gli ebrei ritornati alla condizione di “dhimmi”, sotto la protezione “benevola” di un potere che la storia di questi ultimi secoli ci ha già fatto conoscere. Altro che «due stati, l’uno accanto all’altro in pace e in sicurezza», come ce l’hanno sempre menata da Arafat in poi, e l’Occidente a chiedersi come mai i palestinesi non si decidevano mai ad accettare le offerte - tranne che nel ritorno dei profughi, identiche alle richieste - che i vari governi israeliani avevano sempre messo sul tavolo delle trattative. No di Arafat, no di Abu Mazen, no di Hamas, che almeno, sui primi due, ha sempre avuto il vantaggio di parlare chiaro, Israele deve sparire, a qualunque prezzo. Adesso lo dice anche l’Anp, gettandone la responsabilità su Israele, che in tutto questo rimestar di carte non può far altro che prendere atto che lo Stato che i palestinesi vogliono non è più quello indipendente ma binazionale. Una proposta che troverà estasiati tutti gli antisionisti - che sta per antisemiti, come ricorda sempre il presidente Napolitano - i quali staranno a brindare, con a capofila Barbara Spinelli, che da sempre appoggia questa soluzione, così buona e utile per Israele, che però si ostina a rifiutarla, ma si sa, Israele è uno stato oppressore, come potrebbe continuare ad esserlo se gli ebrei diventassero nel nuovo stato una minoranza?

La proposta di Erekat ha il pregio di aver smosso le acque in casa palestinese, qualcosa dovranno pur decidere. Mentre navi cariche di armi arrivano dall’Iran per essere puntate contro Israele, accrescendo gli arsenali di Hezbollah e Hamas, Unione europea e Stati Uniti saranno obbligati a prendere atto del cambiamento di direzione.

Se così sarà, come annunciato, vedremo quale sarà la loro risposta.

Il GIORNALE - R. A. Segre " Washington più vicina alle ragioni di Israele "

 La Casa Bianca

Hillary Clinton ha lasciato Israele dopo una visita che ha soddisfatto il premier israeliano e fatto infuriare il presidente dell'Autonomia palestinese Abu Mazen. Netanyahu ha ragione di essere contento. Non ha ceduto sulla questione delle costruzioni dentro gli insediamenti; ha incassando i complimenti del Segretario di Stato per la «moratoria senza precedenti» da lui decisa in merito alla creazione di nuovi insediamenti. È sollevato dal rifiuto di Abu Mazen di riprendere i negoziati «senza condizioni» che lo libera dal bisogno di prendere iniziative. Ma la soddisfazione di Netanyahu nasce anche dal sentimento che gli americani incominciano a capire quello da lui sostenuto e negato dalla sinistra israeliana (con gli accordi di Oslo) che i palestinesi non vogliono uno Stato per convivere in pace con Israele ma come condizione per distruggerlo. Se questa è la direzione che prenderà il conflitto mediorientale quattro potrebbero esserne le conseguenze.
1. Nessuna nuova concessione territoriale israeliana ai palestinesi dal momento che l'evacuazione ordinata da Sharon dei coloni nella striscia di Gaza ha dimostrato che tanto Al Fatah quanto Hamas le userebbero per minacciare il cuore di Israele. Se è stato possibile far sgombrare con la forza 8000 coloni è impossibile farlo contro la volontà di 250mila ebrei installati in Cisgiordania.
2. La frattura fra Al Fatah in Cisgiordania e Hamas a Gaza ha messo in luce l'inesistenza di un’identità nazionale palestinese. Questa esiste solo contro Israele mentre altrove i palestinesi continuano a seguire la logica di interessi spesso contrastanti fra cristiani e musulmani, fra modernisti laici e tradizionalisti islamici, fra clan famigliari e tribali. La violenza degli attacchi che quotidianamente Hamas lancia contro l'Autorità palestinese e il suo presidente lo dimostra contribuendo al posizionamento del «moderato» Abu Mazen su posizioni sempre più rigide e anti israeliane. Allo stesso tempo e nella più tradizionale logica di «lotta di liberazione» palestinese, Al Fatah e Hamas unitamente al movimento islamico in Israele si sono accordati per coordinare - nonostante le loro differenze ideologiche - le loro tattiche a sostegno degli scontri settimanali a Gerusalemme per la «difesa delle Sante moschee dall'assalto criminale sionista».
3. Se il processo di radicalizzazione palestinese, dentro e fuori a Israele, dovesse continuare e svilupparsi, è evidente che rappresenterebbe la fine dalla strategia della «road map», mirante a creare «due Stati in Terra santa». Se ne avvantaggerebbero tutti coloro che credono nella inevitabilità dell'esistenza di «un solo stato per due popoli in Palestina». Paradossalmente è la politica in cui tanto gli islamici di Hamas quanto i sionisti laici e i religiosi della destra israeliana hanno sempre creduto. Con una importante differenza: uno Stato ebraico con due popoli significherebbe un grosso problema demografico arabo nelle proprie frontiere. Uno Stato islamico con due popoli significherebbe un grosso problema di identificazione di cimiteri sufficientemente grandi per accogliere gli ebrei.
4. Prevedere come si svilupperà il conflitto palestinese è elusivo come il tentativo di creare le condizioni di pace attraverso la diplomazia in Terra santa. Una cosa tuttavia appare certa: il conflitto fra Israele e Stati arabi è finito sia attraverso accordi di pace (Egitto e Giordania) sia attraverso la sospensione di operazioni di guerra (Siria, Irak, Libano). Il suo posto viene preso in maniera crescente dal conflitto fra ebraismo e islam nonostante tutte le dichiarazioni del contrario di leader religiosi o laici. Lo dimostra l'emergere di Hamas come Stato palestinese islamico «democratico (a suo modo) e moderno». Lo dimostra l'abbandono da parte della maggioranza degli israeliani (nonostante tutte le dichiarazione del contrario dei suoi scrittori, intellettuali e uomini della sinistra ) dell'idea di uno Stato laico sionista a favore di uno Stato ebraico democratico (a suo modo) e moderno.

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