Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 04/11/2009, a pag. 17, l'articolo di Blake Hounshell dal titolo " La politica del dialogo di Barack finora ha prodotto solo fumo ". Da LIBERO, a pag. 23, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Al tavolo palestinese Barack gioca con le carte truccate ". Pubblichiamo inoltre l'articolo di Piera Prister dal titolo " Obama diserta la celebrazione della caduta del Comunismo ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Blake Hounshell " La politica del dialogo di Barack finora ha prodotto solo fumo "

Nel campo della politica estera, il fatto che le strategie del predecessore di Obama si siano rivelate un disastro, non vuol certo dire che l'alternativa sia oggi molto migliore. Vi sono alcuni problemi a livello mondiale ai quali è impossibile dare risposte semplicistiche. Così non deve sorprenderci se Barack Obama, acclamato in tutto il mondo come una boccata d'aria fresca dopo la presidenza di George W. Bush, abbia finora raccolto pochi risultati di cui potersi vantare, a quasi un anno dalla sua entrata in carica. Obama ha avuto l'incarico di ripulire e di rimettere in ordine un'enorme confusione.
Prendiamo, per esempio, il programma nucleare dell'Iran. Bush è stato giustamente criticato per aver rifiutato di coinvolgere nel dibattito l'Iran, dando così modo alla pubblica opinione di continuare a pensare che non la prevaricazione messa in atto da Teheran, bensì l'intransigenza di Washington, rappresentasse il vero ostacolo.
Barack Obama ha fatto del dialogo intransigente e duro con la Repubblica islamica uno dei punti centrali della sua agenda di politica estera, e come minimo è riuscito a mettere in chiaro che la parte non interessata a intavolare trattative è l'Iran, non gli Stati Uniti. Tuttavia, l'Iran continua imperterrito a produrre uranio arricchito, e non si riesce a intravedere una soluzione a breve termine.
Ancora. Consideriamo l'apertura di Obama nei confronti dei russi, con i quali il segretario di Stato Hillary Clinton ha letteralmente «premuto il pulsante di reset», dopo che le relazioni bilaterali tra i due paesi, negli anni di Bush, avevano raggiunto il nadir, il punto più basso degli anni del dopo-guerra fredda. La squadra di Obama ha riconosciuto correttamente che Bush si era messo senza alcuna necessità in totale antagonismo con la Russia su qualsiasi argomento, dai trattati per il controllo della proliferazione delle armi allo scudo missilistico, dall'espansione della Nato alla guerra in Irak. I colloqui avviati in merito alle scorte nucleari sembrano promettenti, ma i russi si sono dimostrati finora solo un poco più disponibili a collaborare con Obama sulla questione nucleare iraniana di quanto non lo fossero stati con Bush, mentre d'altro canto continuano ad agire impunemente come «bulli» nei confronti degli ex Paesi satellite.
Per quanto riguarda Israele e i Territori palestinesi, non dimentichiamo che Obama è entrato in carica dopo una mini-guerra brutale a Gaza, che ha lasciato dietro di sé solo le rovine fumanti di un cosiddetto «processo di pace» che l'amministrazione Bush era riuscita a raffazzonare in qualche modo all'ultimo minuto. Malgrado, o forse proprio a causa della sua presa di posizione - moralmente sana, ma politicamente discutibile - sugli insediamenti, il presidente americano è stato quasi ogni volta o raggirato da Benjamin Netanyahu o deluso dalla traballante e continuamente in calo autorità di Abu Mazen. A George Mitchell, l'inviato personale di Obama in Medio Oriente, è stata affidata una missione impossibile: quella di promuovere i colloqui tra due parti che non vogliono e non sono in grado di fare alcuna concessione significativa.
Poi c'è la questione della Corea del Nord, che apparentemente Obama ha messo in secondo piano, continuando sostanzialmente la strategia messa in atto invano da Bush di cercare di convincere con le buone Kim Jong Il a tornare al tavolo dei colloqui a sei, nella speranza che gli alleati putativi di Pyongyang a Pechino riescano a dare una mano facendo pressioni su Kim perché rinunci al suo sogno nucleare una volta per tutte. Ma finora Obama non ha ottenuto un bel nulla su questo fronte. Per ultimo, e certamente il fatto più grave: Obama ha ereditato una situazione esplosiva in Afghanistan e in Pakistan. Obama ha cercato di individuare una qualche strategia per riuscire a gestire il regime recalcitrante e corrotto di Hamid Karzai a Kabul e lo sciagurato governo di Asif Ali Zardari a Islamabad. Con il rifiuto di adottare l'abitudine di Bush a tenere video conferenze con Karzai, l'approccio passivo messo in pratica da Obama sembra essere riuscito soltanto ad aggravare le paranoie del leader afghano e a consolidarne le tendenze peggiori.
In sintesi, il fatto che il modo maldestro e inutilmente antagonistico di condurre la diplomazia di Bush si sia rivelato un miserevole fallimento, non significa certo che un atteggiamento contrario possa aver successo. Ma siamo ancora agli inizi, e Obama, che è un leader intelligente, acuto e ricettivo, è ancora in grado di poter cambiare rotta e di capovolgere la situazione.
LIBERO - Angelo Pezzana " Al tavolo palestinese Barack gioca con le carte truccate "
Barack Obama, Benjamin Netanyahu, Abu Mazen
Sui rapporti Israele-Usa dell’era obamiana aleggia il fantasma di un piano che il nuovo presidente starebbe per annunciare, grazie al quale il conflitto israelo-palestinese dovrebbe trovare finalmente la strada giusta per giungere al termine. Se ne parla, ma il fatto che non ne sia trapelata nessuna indiscrezione sul contenuto rafforza l’ipotesi che, se c’è, la sua cottura non è ancora arrivata al punto di ebollizione . Viene spesso evocato, ma la parola d’ordine è ancora e sempre quella che si richiama al processo di pace, esattamente come è avvenuto con Bush e Clinton. E con gli stessi risultati. Arafat sostituito da Abu Mazen, Sharon e Ehud Barak da Bibi Netanyhau, qualche incontro alla Casa Bianca con il nuovo inquilino, le solite strette di mano per i fotografi, la buona volontà riconfermata nelle comuni promesse, e poi tutti a casa. Con i problemi di sempre, aggravati dal fatto che l’interlocutore palestinese non si è ancora accorto che il potere di Hamas a Gaza gli sta sottraendo, giorno dopo giorno, quella autorevolezza che forse Abu Mazen non ha mai avuto. Israele, che pure riconferma la soluzione dei due stati, si trova nell’imbarazzante situazione di discutere di un progetto pur sapendo che al tavolo delle trattative siede qualcuno che non è in grado di fornire la merce della quale si discute. L’imbroglio palestinese è tale, che è impossibile capire quale sarà la relazione futura fra l’entità Gaza e i territori governati dall’Anp, essendo chiara la decisione di Hamas di non voler arrivare ad alcun accordo in vista delle prossime elezioni di gennaio. In mezzo a questa confusione, il solo progetto serio in discussione è quello presentato dal premier dell’Anp Salam Fayyad, il quale ha annunciato che intende auto-proclamare lo stato palestinese entro due anni, impiegando questo tempo nella realizzazione delle infrastrutture. Istituzioni pubbliche, banche, scuole, strade, tribunali, esercito, industrie, ecc., che oggi mancano, soprattutto a causa della corruzione che ha deviato i finanziamenti che pure erano arrivati a questo fine dagli aiuti internazionali. Fare, in sostanza, ciò che fecero gli israeliani prima della proclamazione dello Stato ebraico nel 1948, quando l’unico atto che mancava era il riconoscimento internazionale. L’impresa presenta enormi difficoltà, vista l’arretratezza della società palestinese, abituata da sempre ad un regime autoritario, privo di quelle minime regole democratiche, senza le quali nessuno stato moderno può essere costruito.
Forse Barack Obama, dopo un anno speso a declamare quelle buone intenzioni che avrebbero dovuto risolvere il conflitto, e magari non avendo nulla di nuovo da proporre, si sta accorgendo che il rapporto con il mondo arabo musulmano è molto più complicato di quanto pensava, e che la questione palestinese è soltanto un piccolo ingranaggio in un sistema di relazioni tra stati democratici e stati dittatoriali. E che non basta porgere la mano accompagnata da un sorriso per ottenere dei risultati soddisfacenti. Il discorso all’università del Cairo aveva lusingato i suoi interlocutori, ma dopo solo alcuni mesi il bilancio mediorientale è drammaticamente negativo. In Iraq nessun miglioramento, con il terrorismo sempre più aggressivo; la Siria ha mantenuto stretti i legami con Hamas e Hezbollah, incrementando anche quelli con Iran e Turchia, ormai alleati in funzione anti-occidentale, mentre il Libano non è ancora riuscito a darsi un governo. In Egitto, la successione tra Mubarak e il figlio Gamal è tutt’altro che automatica, e sul paese domina l’incognita della forte presenza dei Fratelli Musulmani.
Che Obama si stia accorgendo che qualcosa nel suo piano delle buone intenzioni non funziona, l’abbiamo verificato nelle dichiarazioni di Hillary Clinton all’inizio del tour mediorientale, quando ha riconosciuto che il governo israeliano collabora con l’amministrazione americana al proseguimento delle iniziative di pace, mentre i palestinesi sono capaci soltanto e sempre di dire no. Forse si rende conto che dare sempre la colpa a Israele per i fallimenti generati esclusivamente dal rifiuto arabo, è alla base dell’instabilità della regione, e che è giunto il tempo di richiamare alle loro reponsabilità despoti e tiranni, invece di lisciargli il pelo. Sono loro che devono andare a lezione di democrazia da Israele. Se Obama l’ha capito, si affretti a metterlo in pratica, i primi a trarne benificio saranno i popoli musulmani.
INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister " Obama diserta la celebrazione della caduta del Comunismo "

ll presidente Barack Obama non andra´ a Berlino il 9 novembre per partecipare alla celebrazione dell´anniversario ventennale della caduta del Muro di Berlino e della caduta del Comunismo Sovietico come anche non e´ andato a Ground Zero per la commemorazione dell´11 settembre nel suo primo anno di presidenza. Ormai ha declinato ufficialmente l´invito che gli fece il Cancelliere Tedesco, Angela Merkel nel giugno scorso. Meglio cosi´, altrimenti sarebbe stato veramente imbarazzante qualora se ne fosse uscito di nuovo con il chiedere scusa, magari per quel che fece il presidente J. F. Kennedy (in cui Obama pur si identifica) -che svento´ una guerra nucleare intervenendo militarmente contro Cuba nella baia dei Porci, perche´ Fidel Castro aveva puntato missili nucleari sovietici contro la Florida -o per quel che fece Ronald Reagan di fronte alla porta di Brandemburgo a Berlino quando disse: "Mr. Gorbaciov, tear down this wall"( butti giu´ questo muro).
E´ una data importante di titaniche proporzioni quella del 9 novembre 1989, la data della caduta del Comunismo, quell´ideologia del male nata dalla rivoluzione di Ottobre del ´17 contro l´Impero Zarista e che con la prospettiva di un´allettante giustizia sociale e promesse di ridistribuzione di ricchezza, e´ sfociata poi in una delle peggiori dittature della Storia e che a suon di carestie, di massacri e di gulag ha eliminato milioni e milioni di persone. Della ferocia del Comunismo se n´era accorto sin dagli anni venti, lo scrittore italiano, Ignazio Silone -su cui proprio quest´anno e´ stato pubblicato qui negli Stati Uniti, un libro biografico di Stanislao G. Pugliese di 341 pagine, dal titolo "Bitter Spring", ossia "Fontamara"- che si oppose alla condanna del dissidente Leone Trosky -che sara´ poi assassinato in Messico- gia´ decisa da Stalin, quando come delegato, ando´ a Mosca per partecipare ad una riunione internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista; come anche se n´era accorto George Orwell, socialista e combattente in Spagna fra i repubblicani, autore di "Omaggio alla Catalogna" e la "Fattoria degli Animali" che e´ una satira arguta contro la dittatuta stalinista. Inoltre il Comunismo e´ anche un´ideologia antisemita, come e´ emerso dagli archivi di Stalin, dalla disamina attenta dei documenti e dalle testimonianze di perseguitati e di sopravvissuti. Non a caso i sovietici collaborarono con i nazisti nel massacro di milioni di ebrei durante l´Operazione Barbarossa decisa da Hitler nel 1941. I romani poi sicuramente ricorderanno l´esodo di tanti ebrei russi negli anni settanta e ottanta che, fuggiti in massa dall´Unione Sovietica, popolavano il mercato di Porta Portese a Roma, dalla parte di Trastevere a Ripa, e che disperati vendevano le loro povere cose, orologi, matrioske ed ambre del Baltico pur di racimolare i soldi per potersi comprare il biglietto e assicurarsi un volo verso la liberta´, in America o in Israele e vivere come uomini liberi.
Ma Barack Obama a Berlino e´ gia´ andato l´anno scorso come candidato presidenziale alla Casa Bianca quando senza far riferimento ai suoi due predecessori Kennedy e Reagan, dichiaro´ di fronte ad una folla oceanica d´essere "cittadino del mondo" in nome di un messianesimo cosmopolita che ci ricorda molto il movimento dei "figli dei fiori" degli anni sessanta e le note musicale di "mettete i fiori nei vostri cannoni" oppure le parole dell´allora presidente Sandro Pertini nei suoi messaggi alla nazione di fine anno, "riempite i granai e svuotate gli arsenali". Quando invece lo stesso si accingeva a ricevere in Parlamento un Arafat armato fino ai denti seguito dalle sue guardie del corpo, i cosiddetti "amici della resistenza palestinese" che gia´ dalla strage all´aeroporto di Fiumicino - scorribbandavano in Italia da Nord a Sud "flirtando amorosamente con le Brigate Rosse" e seminando il terrore. Anzi all´indomani di cotanto abbraccio e di cotanto bacio sugellatore tra Pertini e Arafat scoppio´ la bomba palestinese assassina nel ghetto ebraico di Roma, dove strano, proprio strano, quel giorno del 9 ottobre 1982 non c´era, a quotidiana difesa, l´abituale volante della polizia; due anni prima era scoppiata nel giugno 1980, un´altra bomba piazzata nell´aereo Itavia, partito da Bologna ed esploso nei cieli di Ustica; e poi, a solo due mesi di distanza il 2 agosto 1980 un´altra bomba sempre a Bologna, alla Stazione Centrale, tutte e due ad opera dei soliti ignoti, tuttora impuniti purtroppo. Era questa la pace che la sinistra ci prometteva! Dietro c´era la macchina di propaganda dei telegiornali di stato contro Israele, oleata dai signori del petrolio dai rubinetti d´oro massiccio e affamatori dei loro stessi popoli. Un apparato mediatico a livello internazionale che disinformava e seguita a manipolare l´informazione, e che ricorre anche alla frode fino ad assemblare ritagli di fotografie in fotomontaggi, come quella di Al-Dura trasmessa su France 2; o come quella diffusa nel 2000 da "Associated Press" e riportata dalla stampa americana sul NY Times che ha fatto credere a milioni di lettori che quel poliziotto israeliano -che in verita´ stava soccorrendo un giovane ebreo-americano, Tuvia Grossman, pestato a sangue dai Palestinesi- fosse un poliziotto cattivo che stesse infierendo contro un giovane palestinese. O come le menzogne dell´ONU o le imposture del Consiglio dei Diritti Umani, organizzazioni che dovrebbero essere delegittimate, visto che con tutti gli stati canaglia che ci sono in giro, si accaniscono unidirezionalmente solo e sempre contro Israele. E´ il gioco mediatico sporco di far sembrare il colpevole innocente, e l´innocente colpevole e di fronte al quale lo stesso Israele e´ ingenuo e disarmato sin dai tempi della falsa accusa di deicidio, la piu´ grossa e la piu´ turpe manipolazione della verita´, che e´ durata millenni fino al Concilio Vaticano II. Nessuno ha il coraggio di spezzare questo circolo vizioso che incolpa sempre e solo Israele. La sinistra, quella che ancora non ha ripudiato il Comunismo e´ proprio quella che ancora sta dalla parte sbagliata, accanto ai tiranni affamatori dei popoli che chiudono la bocca al dissenso, come ieri nei gulag in Siberia cosi´ oggi nelle carceri di Evin a Teheran. E anche accanto ai terroristi palestinesi e ai loro capi contro lo stesso popolo palestinese che e´ indottrinato e pagato per suicidarsi con dinamite assassina. La storia del connubio tra la sinistra e l´antisemitismo islamico continua e chissa´ quali altre calamita´ partorira´. Il suo compendio che e´ poi quello della storia italiana dal dopoguerra in poi, e´ tutto racchiuso in tre eloquenti istantanee rivelatrici, scattate in ordine cronologico: quella dell´appassionato bacio di Sandro Pertini ad Arafat, quella di Massimo D´Alema, l´ex ministro degli Esteri del governo Prodi, in allegra brigata sottobraccio al necrofilo Nasrallah e & e quella recente di Romano Prodi mentre "flirta appassionatamente" con Ahmadinejad a Teheran per caldeggiare l´entrata dell´Iran nel consiglio di sicurezza dell´ONU.
Ci vorrebbe proprio che in un periodo di menzogna universale come questo, il presidente degli Stati Uniti, traendo ispirazione dal suo libro "The audacity of Hope" avesse l´audacia di un atto rivoluzionario nel promuovere le tanto promesse e disattese sanzioni economiche per mettere in ginocchio l´Iran, la grande minaccia alla pace mondiale. O distruggere finalmente i suoi arsenali atomici, cosi´ come fece J. F. Kennedy quando, compreso il pericolo rappresentato dai missili nucleari sovietici, ordino´ un intervento militare contro Cuba. In ultima analisi Barack Obama dimostri pragmaticamente d´essere all´altezza del suo ruolo di presidente e di meritare il premio Nobel per la pace!
Perche´ i grandi uomini e i grandi presidenti sono passati alla Storia non perche´ appartenenti alla destra o alla sinistra ma perche´ in tempi ferali e al momento opportuno, si sono schierati dalla parte giusta.
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