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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - L'Opinione - Il Foglio Rassegna Stampa
27.10.2009 Erdogan prende le difese dell'Iran e attacca Israele
Intanto Obama taglia i fondi agli istituti per la democrazia nel mondo islamico. Cronache e analisi di Dimitri Buffa, Antonio Ferrari, Redazione del Foglio

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione - Il Foglio
Autore: Antonio Ferrari - Dimitri Buffa - La redazione del Foglio
Titolo: «La difesa di Erdogan per l'amico Iran: trattato ingiustamente - Fare presto con l'Iran o Israele attaccherà. Lo dice Kouchner - Dissidenti a secco»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/10/2009, a pag. 17, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " La difesa di Erdogan per l'amico Iran: trattato ingiustamente ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Fare presto con l'Iran o Israele attaccherà. Lo dice Kouchner ", preceduto dal nostro commento. Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Dissidenti a secco ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " La difesa di Erdogan per l'amico Iran: trattato ingiustamente  "

 Recep Erdogan

L'Iran ha trovato un prestigioso avvocato internazionale pronto a difenderlo e a proteggerlo. Non è un estremista, anche se ritiene affidabile il presidente Mahmoud Ahmadinejad. E non è neppure un ingenuo, perché in quanto a scaltrezza può tenere dotte lezioni. L'arringa viene da un paese islamico moderato, alleato dell'occidente, che aspira ad entrare nell'Ue. A indossare la toga è il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Forse ispirato dalla strategia dialogante del presidente americano Barack Obama, che non ha certo intenzione di avventurarsi in altri conflitti, o forse turbato dalle difficoltà interne, con i laici in crescente offensiva, Erdogan, in visita a Teheran, si è fatto precedere da un'intervista al Guardian, nella quale accusa l'Occidente di trattare l'Iran in maniera «scorretta e ingiusta» sui suoi programmi nucleari. Pensare che, sotto l'occhio degli ispettori della Aiea, voglia dotarsi dell'atomica «è soltanto un gossip». Come dire un dozzinale pettegolezzo. Non solo. Il premier turco bacchetta, senza nominarli, i cinque membri permanenti del Consiglio cli sicurezza dell'Onu (che hanno arsenali nucleari), accusandoli in sostanza d'essere farisaici, e non manca di lanciare un duro segnale a Israele, che possiede l'atomica, sostenendo che il ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Avigdor Lieberman, avrebbe minacciato di usarla a Gaza.
Ora, che Lieberman pensi quello che dice non è impossibile ma assai improbabile, perché usare la bomba sulla Striscia significherebbe mettere in pericolo lo stesso Israele. Per non è questo il punto. La ben nota veemenza di Erdogan, accentuata negli utimi mesi, nasconde in realtà serie difficoltà nel suo Paese, dove il premier sta cercando di compiacere lo zoccolo duro ed oltranzista del suo partito islamico moderato Akp. Fino a pochi mesi fa Israele era (e formalmente rimane) un partner strategico della Turchia, ma le relazioni tra i due Paesi continuano a peggiorare. L'offensiva di dicembre, cioè l'operazione «Piombo fuso» contro gli integralisti di Hamas, ha irritato Erdogan, e l'irritazione è esplosa a Davos in gennaio, con le sprezzanti critiche al presidente Shimon Peres. Per diventare gelo con la cancellazione della visita a Gerusalernme del ministro degli Esteri turco, al quale non era stato permesso di entrare a Gaza, e con il mancato invito a Israele a manovre aeree programmate da tempo. Certo, Erdogan, per placare la tensione è intervenuto per far togliere da un serial televisivo le scene più cruente delle violenze subite dai palestinesi. Ma la «serenata» al regime degli ayatotlah ha riportato la tensione con il governo di Netanyahu al culmine. Un attacco militare all'Iran sarebbe un atto «folle», è l'ammonimento di Erdogan, che non ha certo ascoltato i suoi cauti e sperimentati diplomatici, dalle colonne del Guardian. L'uomo che, dopo aver criticato il laicismo del fondatore della repubblica, ora si fa un punto d'onore di presentarsi accanto alla gigantografia di Ataturk, quasi ne voglia diventare l'erede, seppur in versione islamica, non ha certo imparato la lezione del rigore. Sembra piuttosto abbandonarsi ad una politica pendolare. Favorisce l'accordo con l'Armenia, ma poi stende tappeti rossi agli azeri, che con Erevan hanno il pesante contenzioso dell'enclave cristiana Nagorno-Karabach. Si offre di mediare tra Pakistan e Iran, dopo le L'ingresso reII'Ue Negoziato complesso: l'Ue (soprattutto  Francia e Germania) chiede più rispetto dei diritti umani e libertà di espressione accuse di quest'ultimo per l'attentato alla Guardia repubblicana. E ora blandisce Teheran. Spera forse in un successo da portare al presidente Obama tra qualche settimana?

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : "Fare presto con l'Iran o Israele attaccherà. Lo dice Kouchner"

Anche noi, come Kouchner, siamo convinti che si debba trovare al più presto una soluzione che blocchi il programma nucleare iraniano, ma non per evitare un possibile attacco dello Stato ebraico. Una bomba atomica in mano agli ayatollah, infatti, non è pericolosa solo per Israele, ma per l'occidente intero. A preoccuparci non è un possibile intervento israeliano, quanto un attacco iraniano. Ecco l'articolo:

 Bernard Kouchner

Israele non starà a guardare una nazione come l’Iran che si dichiara da anni così ostile (al punto che il proprio raiss afferma ripetutamente di volere cancellare lo stato ebraico dal mondo) dotarsi di un’arma atomica mentre il resto del mondo intavola trattative che sembrano minuetti. Lo dice il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner in un'intervista al quotidiano britannico 'Telegraph', in cui ha sottolineato la necessità di arrivare in tempi brevi a un accordo con le autorità iraniane in merito al programma nucleare della Repubblica Islamica. Kouchner non è un Frattini qualsiasi, ma una persona molto addentro agli interna corporis di Israele ed è anche uno di quei ministri degli esteri europei che spingono sull’accelleratore del chiudere la questione con l’Iran il prima possibile piuttosto che omologarsi alle parole d’ordine di Obama. Gli israeliani, secondo Kouchner, “non tollereranno che l'Iran abbia la bomba”. “Lo sappiamo, lo sappiamo tutti. Pertanto questo è un altro rischio - ha aggiunto - ed è per questo che dobbiamo ridurre le tensioni e risolvere il problema”. Le dichiarazioni di Kouchner arrivano mentre la comunità internazionale attende una risposta delle autorità iraniane in merito alla bozza di accordo per l'arricchimento dell'uranio iraniano all'estero, presentata a Vienna. Secondo il capo della diplomazia francese, che ha rilasciato l'intervista durante la sua visita a Beirut, in Libano, “Israele reagirà appena saprà con certezza che c'è una minaccia”. “La speranza - ha proseguito - è che si riesca a fermare questa corsa al confronto.” Ma chi vive sperando, come dice il noto adagio, muore…c… eccetera eccetera. Ciò detto allora quale potrebbe essere la maniera migliore per fronteggiare, sic stantibus rebus, la minaccia iraniana? Kouchner non ha dubbi: l’ora della carota è fuggita, resta il bastone. In merito, però, alla strategia di sanzioni fin qui seguita contro la Repubblica Islamica, Kouchner è scettico e ritiene che un loro inasprimento andrebbe solo ai danni della popolazione iraniana, indebolirebbe l'opposizione e non raggiungerebbe l'obiettivo di fare pressioni sul governo. “Certamente i vertici del governo non soffrirebbero per le sanzioni. Ma la gente dei mercati e della strada, le donne e i giovani, ne pagherebbero tutti le conseguenze - ha detto il ministro - questo è un problema. Non è una scoperta. Ho assistito agli effetti delle sanzioni nel mondo e colpiscono sempre i poveri più dei ricchi”. Pertanto, stando a Kouchner, la priorità deve essere quella del “dialogo”. Ma un dialogo dinamico, non un semplice effetto annuncio. “Non vorremmo imporre sanzioni e, come ho detto, la mia esperienza personale non è quella di imporre misure che danneggino la gente. C'è un'opposizione - ha aggiunto - la gente manifesta e con molto coraggio scende in strada. Perché prenderla di mira? Non so..” Sullo sfondo però c’è una presa di posizione netta contro l’attendismo di Obama e contro la sua strategia fatta di sorrisi e annunci che sin qui ha combinato solo guai nella regione. E infatti oltre al ritorno alla grande del terrorismo pre elettorale in Iraq e all’incasinamento totale della situazione in Pakistan e Afghanistan, sembra essere alle porte una terza Intifda palestinese che, con hamas e hezbollah nell’area, potrebbe assumere la forma della guerriglia permanente. Tutto ciò con le apparizioni agli show di Lettermann non si risolve di certo.  

Il FOGLIO - " Dissidenti a secco "

Roma. L’Amministrazione Obama sta tagliando i fondi ai principali istituti per la democrazia nel mondo islamico. Dopo il discorso del Cairo sull’islam, la Casa Bianca aveva interrotto il settanta per cento dei programmi per la democrazia in Egitto. Stessa sorte per l’Iran Human Rights Documentation Center, che dal 1979 a oggi ha sempre fornito nomi, numeri e dati sugli abusi del regime iraniano. Obama ha tagliato i fondi a Freedom House, fondata sessant’anni fa da Eleanor Roosevelt per combattere il nazismo e il comunismo e che oggi è la principale fucina di report sulla libertà a sostegno di dissidenti in giro per il mondo. Obama ha ridimensionato anche l’International Republican Institute, che con George W. Bush era stata una preziosa rete di trasmissione fra i dissidenti iraniani e gli attivisti per la democrazia in occidente. L’Amministrazione Obama sta tagliando, uno dopo l’altro, i fondi ai principali istituti di ricerca per la democrazia e la libertà nel mondo islamico. La prima vittima sono stati i riformisti egiziani. Dopo il magniloquente discorso al Cairo sull’islam, la Casa Bianca ha tagliato del settanta per cento i programmi per la democrazia in Egitto. La seconda vittima è stato l’Iran Human Rights Documentation Center (Ihrdc) che, grazie al finanziamento del dipartimento di stato, aveva sempre fornito nomi, numeri e dati sugli abusi del regime dal 1979 a oggi. L’Ihrdc stava entrando nel vivo di un’indagine sulla repressione delle manifestazioni della scorsa estate. Per la prima volta dalla sua fondazione, i previsti 2,7 milioni di dollari per i prossimi due anni non arriveranno e i rubinetti stanno per chiudersi per molte altre organizzazioni pro libertà. L’Ihrdc chiuderà a maggio se i donatori privati non riusciranno a sopperire alla mancanza dei fondi federali. Secondo Michael Rubin dell’American Enterprise Institute, la fine dei fondi è motivata dall’appeasement dell’Amministrazione Obama verso l’Iran e i regimi islamici: “Non vogliono che queste informazioni li ostacolino in questo percorso”. Siamo lontanissimi dalla gestione dell’ex segretario di stato Condoleezza Rice, che stanziò 75 milioni di dollari per la società e la democrazia iraniana. Mentre le proteste in Iran hanno lasciato il passo a torture, esecuzioni, processi sommari ed epurazioni, Obama ha interrotto i fondi a Freedom House, il celebre istituto di ricerca che più di altri negli anni ha inchiodato il regime di Teheran alle proprie responsabilità, ai propri crimini e alle proprie efferatezze di massa. Freedom House venne fondata circa sessanta anni fa da Eleanor Roosevelt, Wendell Willkie, e altri attivisti americani preoccupati per le minacce crescenti alla pace e alla democrazia poste dal nazismo e poi dal comunismo. Principale fucina di idee e report a sostegno di dissidenti e di forze liberali in giro per il mondo, Freedom House è stata un’aperta sostenitrice del Piano Marshall e della Nato, del Movimento per i diritti civili americano negli anni Sessanta, dei boat people del Vietnam, di Solidarnosc in Polonia e dell’opposizione democratica filippina e delle molte democrazie che sono emerse in tutto il mondo negli anni. Freedom House è stata presente contro l’apartheid in Sud Africa, la soppressione della Primavera di Praga, l’invasione sovietica dell’Afghanistan, il genocidio in Bosnia e Ruanda e poi Cuba, Birmania, Cina e Iraq. Fra le più antiche ong americane animata dai cosiddetti “falchi neocon”, James Woolsey e Jeane Kirkpatrick, dal teorico della nonviolenza Peter Ackermann e dal decano della diplomazia americana John Palmer, oltre ad analizzare la diffusione dei principi liberali e democratici nel mondo nel rapporto annuale “Freedom in the World”, Freedom House si occupa di sostenere i gruppi locali che promuovevano la nascita di istituzioni democratiche o le difendono da attacchi autoritari. Senza i fondi federali, Freedom House non potrà più pubblicare il noto Gozaar, il primo news network in inglese sull’Iran che dal 2006 a oggi ha scoperto numerose violazioni di diritti umani a Teheran e denuncia la soppressione del dissenso. Come se non bastasse, Obama ha tagliato i fondi all’International Republican Institute, che sotto George W. Bush era stato un prezioso collegamento fra i dissidenti iraniani e gli attivisti per la democrazia in occidente.

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