mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Giornale - Libero - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2009 L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo
Chi è a favore e chi contro. Le opinioni di Fiamma Nirenstein, Alberto Giannone, Andrea Morigi, Paolo Ferrero, Gian Enrico Rusconi, Amos Luzzatto

Testata:Il Giornale - Libero - Il Foglio - La Stampa - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Alberto Giannoni - Andrea Morigi - Gian Enrico Rusconi - Alessandro Longo
Titolo: «L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo - Ecco cosa insegnano ai bambini islamici - Ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro dell´altro»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 20/10/2009, a pag. 11, l'articolo di Alberto Giannoni dal titolo " L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo ". Da LIBERO, a pag. 16, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Ecco cosa insegnano ai bambini islamici ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ferrero contro ". Dalla STAMPA, a pag. 1-31, l'articolo di Gian Enrico Rusconi dal titolo " L'islam e l'identità nazionale ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 19, l'intervista di Alessandro Longo ad Amos Luzzatto dal titolo " Ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro dell´altro ". Ecco gli articoli, preceduti dalle dichiarazioni di Fiamma Nirenstein.

Fiamma Nirenstein : " Troppe controindicazioni all'ora di religione "

 Fiamma Nirenstein

L'idea dell'ora di religione islamica a scuola va soppesata con molta cautela. Nonostante la lodevole ispirazione democratica che muove una proposta di questo genere, chi si occupa da anni di Islam non ne può ignorare le possibili controindicazioni.

La presenza islamica è variegata, priva di una organizzazione unitaria, divisa in correnti in contrasto e talora persino in guerra fra loro; quindi, per esempio, sarebbe quasi impossibile identificare un professore valido sia per i sunniti che per gli sciiti. Guardando alla realtà delle scuole italiane, inoltre a meno di non assumere un insegnante per uno o due bambini, si dovrebbero formare delle piccole madrasse, con il rischio di creare delle piccole squadre iperidentitarie. Ciò non aiuterebbe l'integrazione.

Soprattutto, la critica dell'Islam alla nostra società si radica spesso in una lettura del Corano che non si sottomette all'esegesi critica, che non ha intenzione di essere messa a confronto con le altre religioni monoteiste, ma che se ne ritiene un superamento. Anche il modo in cui l'Islam si occupa di questioni socialmente determinanti quali la condizione della donna è assoluto e difficilmente compatibile con la cultura di parità ed emancipazione che abbiamo faticosamente costruito nei secoli. Inoltre, la tendenza molto rilevante nell'Islam moderno a considerarsi immerso in una sfida e in una dimensione di conquista rappresenterebbe un rischio per la nostra scuola, in cui, non dimentichiamolo, solo fino a pochi anni fa esistevano le classi maschili e quelle femminili. L'insegnamento dottrinale dell'Islam a scuola ha svariate controindicazioni, mentre la storia dell'Islam nel contesto più esteso dello studio della storia delle religioni, è un insegnamento affascinante e talora persino meraviglioso.

Il GIORNALE - Alberto Giannoni : " L’ora di islam a scuola? Una lezione di antisemitismo "

 Il Corano nell'edizione di Hamza Piccardo

Un Corano «fai-da-te». O «principi di antisemitismo». Sembrerebbe questo il destino dell’ora di islam, a giudicare dalle «lezioni» prevalenti nelle moschee italiane o milanesi, quei centri islamici che da una settimana sono nell’occhio del ciclone per l’attentato del kamikaze libico alla caserma Perrucchetti.
La comunità islamica di quella che il ministro dell’Interno Roberto Maroni considera come una sorta di «capitale del terrore jihadista», Milano, è una realtà esemplare. Ora sono in gran parte imam discussi e incontrollati a gestire, insieme al proselitismo, l’insegnamento ai fedeli - vecchi e nuovi - dei rudimenti della religione musulmana. E metodi e strumenti «didattici», si potrebbe dire, sono «tutto un programma». Circola ormai in 400mila copie - lo annuncia la casa editrice Newton Compton - il Corano tradotto in Italia da Hamza Piccardo. Fra i fondatori e poi portavoce dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, Piccardo ha firmato un’edizione «musulmana-italiana» del libro sacro dell’islam. Un’edizione contestata per passaggi antisemiti e antiebraici contenuti anche nelle note. Passaggi come «i figli d’Israele fecero una scelta miope e meschina, ingrati verso il loro Signore». O «ipocriti ed ebrei non cessarono di accusare il profeta».
Accenti che lo stesso autore ha ammesso in seguito alle polemiche seguite all’ennesima ristampa, quella del 2003-2004, fino a doverli emendare ed edulcorare. «L’errore di cui sinceramente mi vergogno - questa fu la sua autocritica ripresa dai giornali - fu quello di avvalorare l’ipotesi secondo cui i comportamenti negativi degli ebrei nascessero dall’essere appunto ebrei». La casa editrice conferma che il volume è continuamente ristampato per venire incontro alle enormi richieste. «L’ultima ristampa - aggiungono dalla casa editrice - viaggia già sulle 40mila copie». Ma quelle edizioni hanno già inondato i centri islamici di tutta Italia. «L’Ucoii le mandava a pacchi, anche in dono», ricorda oggi Gabriele Mandel Khan, capo dei Sufi italiani (i «frati dell’islam»). Docente universitario, poeta, artista, psicologo, Mandel è il curatore dell’altra versione del Corano tradotta in italiano da un musulmano. «Il mio Corano ha versione letterale in italiano, versione in arabo e apparati teologici, filologici e storici, che sono indispensabili per capire» dice oggi Mandel. «I centri islamici seguono i loro interessi anche economici - spiega Mandel - e la versione di Piccardo è stata introdotta in molti di questi centri. Ma Piccardo non conosce l’arabo. La sua versione contiene molti errori». «Nel Corano ci sono dei passaggi antiebraici - riflette Mandel - ma il Corano va letto nella sua totalità, non un versetto alla volta. Il problema è l’ignoranza». Certo, al di là del valore filologico, è il contenuto che può risultare inquietante, se inserito in un contesto in cui alcuni centri islamici possono risultare come «l’acqua in cui nuota» il fondamentalismo islamico. «In Piccardo ci sono passaggi antiebraici - ammette Paolo Branca, islamista dell’università Cattolica di Milano - ma anche le altre sono apologetiche. Non si può dire che abbiano un’impostazione critica, capace di evidenziare gli aspetti ambigui, contraddittori e oscuri delle Scritture, di tutte le Scritture. Si tratta di un insegnamento tradizionale, che ha come obiettivo una lettura apologetica». «La scuola dovrebbe obbedire a parametri diversi - osserva Branca - ma credo che i musulmani italiani siano i primi a sapere che non sono in grado di gestire un insegnamento scolastico. Non hanno gli strumenti, i metodi, le persone». Nella Casa della cultura islamica di via Padova, il centro moderato della città, il Corano «preferito» dal direttore Mahmoud Asfa è quello tradotto in italiano dall’orientalista Alessandro Bausani. Invece i responsabili della «moschea» di via Stadera, sistemata in un capannone dentro un cortile condominiale, ammettono che loro usano «solo il Corano in arabo». Proprio come in viale Jenner, l’Istituto più discusso della città, quello che negli ultimi tempi frequentava Mohamed Game, il libico che si è fatto esplodere nella caserma, e che partecipava al servizio d’ordine nel corso del Radaman al teatro Ciak. «C’è un solo Corano - dice il direttore Abdel Hamid Shaari - il testo è arabo. Noi parliamo arabo e usiamo quello. Degli italiani uno vale l’altro». Anche Ali Abu Shwaima, giordano fondatore della moschea di Segrate, non ha esitazioni: «Il Corano lo abbiamo tradotto noi, non usiamo certo le versioni curate da preti e nemici dell’islam. Non conosco la versione di Mandel, di sicuro non usiamo la sua».

LIBERO - Andrea Morigi : " Ecco cosa insegnano ai bambini islamici "

 Un libro delle edizioni Al-Hikma, il titolo è Nakba

Si insegna già il catechismo islamico. Non ancora a scuola, ma in moschea, con tanto di libri di testo (tradotti) in italiano dalle edizioni Al-Hikma di Imperia. Si trovano sussidi didattici per bambini a 5 euro, come “Il libro della preghiera” e “Il libro dell’abluzione”, album a colori e da colorare per insegnare ai bambini come si eseguono la salat (l’orazione islamica) e gli atti precedenti di purificazione. Per chi intende saperne di più, dovrebbe bastare il Corano. Lo si legge, lo si recita, magari lo si impara anche a memoria, ma non lo si interpreta. Se qualcuno poi è interessato ad acquisire le basi e i preamboli della fede, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia adotta dal 1995 un manuale di maggior spessore ma accessibile a tutti, “Il cammino verso l’Islàm” di Muhammad Sulaiman Al-Ashqar, nella versione di Abduljalil Randellini. L’operetta dispensa le conoscenze più elementari della rivelazione di Maometto e gli sviluppi successivi, fra i quali i famosi cinque pilastri. Così, quando si arriva al sedicesimo capitolo, Zakat, che tratta del diritto dei poveri e della purificazione dei beni, ci si imbatte in una definizione della tassa per il culto che recita: «La Zakat viene pagata per i musulmani poveri e bisognosi, i pellegrini, per la propagazione dell’Islàm o per i preparativi di guerra». Tutto nel rispetto del dettato del Corano a cui, nella versione italiana a cura dell’Ucoii, viene aggiunto un commento che riguarda «le cosiddette “spese segrete” effettuate per ottenere qualcosa di non immediatamente divulgabile». In mancanza di precisazioni ulteriori, un fedele poco accorto potrebbe considerare un atto di devozione la raccolta di elemosine per procurarsi 120 chilogrammi di nitrato d’ammonio, per esempio. Soprattutto se, a caccia di maggiori dettagli, si imbattesse nel sito islam.huda.it, che specifica: «L’espressione “sul sentiero di Dio” include ogni sorta di carità e i giuristi non hanno esitato a cominciare dall’equipaggiamento militare per la difesa dell’Islam, poiché lotta unicamente per stabilire il Regno di Dio sulla terra». Del resto, l’acquisto di ingredienti per confezionare esplosivo non compare tra le proibizioni nel “Cammino verso l’Islàm”, fra le quali invece Al-Ashqar elenca il vino e la carne di animali immondi, tipo l’aquila e l’avvoltoio, il maiale, l’asino e il leone. Non sono divieti particolarmente preoccupanti, almeno non quanto gli altri che seguono. È grave «essere disubbidienti verso i nostri genitori» e ne sanno qualcosa Hina Saleem, Sanaa Dafani e un’altra quarantina di ragazze, finite piuttosto male, figlie di musulmani. Per chi le ha uccise, potrebbe sempre valere la regola che impedisce di uccidere «a meno che non ricorrano motivi legali». Anche perché, fra i peccati, ce n’è uno, in particolare, da non commettere: «Disertare il campo di battaglia nella lotta sulla via di Allah», suscettibile di letture estensive o riduttive, almeno tanto quanto il termine jihad o guerra santa. Per quanto sia più specificamente un dominio maschile, la vita di preghiera nell’islam svolge un ruolo preponderante, spiega “Il Ricordo e l'Invocazione di Allah” di Sadik Mohammed Sharaf, sempre a cura dell’Ucoii. Vi si trovano perfino le formule, rigorosamente in arabo e in italiano, da recitare entrando in una toilette: «O mio Signore! Mi rifugio in Te contro i demoni maschi e femmine». Scampati a quelle pericolose frequentazioni, si esce con un’altra giaculatoria: «Sia lodato Allah che mi ha permesso di sbarazzarmi di ciò che è nocivo e mi ha concesso la buona salute». Precetti generali a parte, ve ne sono alcuni che riguardano direttamente «la donna musulmana», a cui è dedicato il 27° capitolo del “Cammino verso l’Islàm”. Che non sia considerata alla pari dell’uomo, è evidente già dalle raccomandazioni che è tenuta a rispettare: «Veste un abito completo che le copre tutto il corpo eccetto il volto e le mani in presenza di estranei», inoltre «nel suo periodo (di mestruazione) si astiene dalla preghiera, dal digiuno, dalla recitazione del Corano e dal frequentare le moschee». Tuttavia, «quando il periodo si esaurisce, deve fare il Ghusl (Abluzione completa) e recuperare il digiuno ma non le preghiere». A confermare la condizione di totale sudditanza della femmina, «non le è permesso sposare un non musulmano (cristiano, ebreo o altro) a meno che non si converta all’islam». E pensare che, poco sopra, era proprio “Il Cammino verso l’Islàm” a ricordare discriminatoriamente la norma secondo la quale «un musulmano può sposare una musulmana, una cristiana o un’ebrea». Chissà se siano questi gli insegnamenti auspicati, nella scuola pubblica, dal viceministro Adolfo Urso, dal cardinale Renato Raffaele Martino, dall’on. Massimo D’Alema e dal presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini che, nella loro corsa verso la modernità, sembrano aver imboccato il vicolo cieco del fondamentalismo.

Il FOGLIO - " Ferrero contro "

 Paolo Ferrero

Roma. “L’idea che nell’ora di religione a scuola si possa e si debba insegnare solo la religione cattolica è assurda e incostituzionale. Ma la soluzione non è certo la moltiplicazione delle ore di religione diverse da quella cattolica, tantomeno quella islamica”. Così Paolo Ferrero, segretario del Prc, laico integrale eppure profondamente religioso (“prima sono valdese poi comunista”). “La proposta di Urso – dice l’ex ministro della Solidarietà sociale – prefigura un modello all’inglese, nel quale ognuno sta nel suo giardino protetto: ai cattolici viene insegnato il cattolicesimo, agli islamici il Corano e così via. E’ una strada pericolosa perché favorisce la ghettizzazione e la nascita di enclavi che rischiano di entrare in conflitto. Allo stesso modo è pericolosa la via del laicismo esasperato francese, che nelle scuole predica una sorta di religione laica di stato che impedisce la manifestazione dei simboli religiosi, una strada che ha prodotto il ritorno alla religione come fattore identitario con effetti deflagranti sulla tenuta sociale. Fenomeno diffuso nelle seconde e terze generazioni di immigrati, cioè tra quegli individui cresciuti, paradossalmente, nelle scuole pubbliche”. La soluzione? “Scuola aconfessionale e insegnamento di ‘storia delle religioni’”. Roma. “Sarebbe un grave errore culturale inserire l’insegnamento della religione islamica nelle scuole”, dice Paolo Ferrero, il segretario del Prc, l’ex ministro della Solidarietà sociale che una volta, intervistato dal Corsera, spiegò di essere “prima valdese e soltanto dopo comunista”. Alla proposta avanzata dal viceministro finiano Adolfo Urso di affiancare l’insegnamento del Corano a quello della religione cattolica, Ferrero riconosce il coraggio di una posizione “non islamofoba in tempi di islamofobia”. Ma è “sbagliata”, sostiene l’ex ministro, perché contrasta apertamente con il principio “che la scuola pubblica debba essere aconfessionale”. Profondamente religioso, Ferrero è tuttavia un laico integrale, allievo della scuola di Raniero Panzieri e dei Quaderni Rossi, quella genìa di marxisti eterodossi che nella Torino operaia degli anni Settanta mescolarono il Capitale con la fede valdese. Spiega il segretario di Rifondazione comunista: “L’idea che nell’ora di religione a scuola si possa e si debba insegnare solo la religione cattolica è assurda e incostituzionale. Ma non è certo la moltiplicazione delle ore di religione, diverse da quella cattolica, tantomeno quella islamica, la soluzione. Sarebbe una specie di risibile lottizzazione della fede”. Eppure l’area finiana del Pdl lo considera uno strumento utile a favorire l’integrazione. “Non credo sortirebbe questo effetto – obietta Ferrero – se la questione è individuare una via all’integrazione degli immigrati musulmani se ne discuta, ma in altri termini: bisogna, per esempio, garantire luoghi di culto decorosi che non siano dei sottoscala e così via. Bisogna impedire che il fattore religioso crei separatezza. Ma che c’entra la scuola? Nella scuola pubblica semplicemente non si dovrebbe insegnare nessuna religione, diverso è il discorso per le scuole private che, in quanto tali, fanno quello che vogliono. E poi chi dovrebbe garantire o scegliere gli insegnanti di religione coranica? La chiesa islamica è di per sé proteiforme e ogni comunità fa riferimento a scuole di pensiero talvolta persino inconciliabili tra loro. Come si fa? Credo che l’elemento religioso, nella vita, abbia una dimensione importante per questo sono favorevole a che, una volta cancellato l’insegnamento della religione per come è previsto oggi (considerato pure che è insegnata male), si istituisca una cattedra di ‘Storia delle religioni’ da affidare a insegnanti preparati, che abbiano studiato questa materia all’università. Una cosa è il senso del fatto religioso, un’altra è la fede confessionale. Bisogna distinguere. Fossi io al ministero dell’Istruzione farei pure in modo che gli imam che oggi predicano nei dialetti arabi venissero formati nelle nostre accademie universitarie, in lingua italiana. Non credo ne sarebbero dispiaciuti”. Ferrero fa risalire la proposta di insegnamento del Corano nelle scuole al modello sociale britannico cui affianca, contestandolo parimenti, quello francese. “La proposta di Urso – dice il segretario di Rifondazione – prefigura un modello di società all’inglese, ovvero una società nella quale ognuno sta sia territorialmente sia culturalmente nel suo giardino protetto: ai cattolici viene insegnato il cattolicesimo, agli islamici il Corano e così via. Ogni comunità etnica o religiosa sta nella società in quanto gruppo a sé stante. E’ una strada pericolosa perché favorisce la ghettizzazione e la nascita di enclavi culturali o religiose che rischiano di entrare in conflitto tra loro”. Meglio il modello francese? “No. Com’è pericoloso il modello del comunitarismo britannico, allo stesso modo, specularmente, è pericolosa la via del laicismo esasperato francese, che nelle scuole predica una sorta di religione laica di stato che impedisce la manifestazione dei simboli religiosi. Io non sono per vietare il burqa nelle aule scolastiche o per il divieto di indossare croci. Manifestare i propri orientamenti religiosi rientra nella sfera della libertà personale, guai a porvi dei limiti. Questa è la strada che ha prodotto, in Francia e altrove in Europa, il ritorno alla religione come fattore identitario con effetti deflagranti sulla tenuta sociale di questi paesi. E’ un fenomeno non a caso diffuso nelle seconde e terze generazioni di immigrati, cioè tra quegli individui cresciuti, paradossalmente, nelle scuole pubbliche. Il punto è che bisogna rispettare le identità di ciascuno”. Ma qual è il modello corretto secondo Paolo Ferrero? “La scuola italiana deve servire ai ragazzi e alle ragazze del nostro paese a crescere e acquisire conoscenze. In questo momento la scuola insegna la religione cattolica e lo fa per giunta male con insegnanti scelti dalle gerarchie ecclesiastiche e spesso risaputamente non all’altezza del compito. Nella maggior parte dei casi hanno la funzione, non certo inutile, di ascoltare i problemi degli allievi. Ma se le cose stanno così, non sarebbe meglio introdurre a scuola dei capaci psicologi professionisti? Contemporaneamente, per non trasformare la religione in un mezzo di separazione sociale, non sarebbe opportuno inserire un insegnamento non confessionale che, lungi dal disvelare una dottrina, spieghi piuttosto ai giovani il fatto religioso in quanto tale e il senso storico delle diverse religioni mondiali?”.

La STAMPA - Gian Enrico Rusconi : " L'islam e l'identità nazionale "

 Gian Enrico Rusconi

Le incertezze tra gli uomini di Chiesa a proposito dell’ipotesi dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole rivelano le incongruenze in cui si trova la gerarchia ecclesiastica in tema di insegnamento religioso. Ma l’intervento perentorio del cardinale Bagnasco che definisce l’ora di religione, quale oggi è praticata in Italia, «non una catechesi confessionale ma una disciplina di cultura» trasforma l’incongruenza in contraddizione.
Infatti se fosse vero quello che afferma il cardinale, allora l’ora di religione sarebbe un’espressione di cultura e di etica civile nazionale (addirittura con il richiamo al Concordato). I vescovi italiani, da cui dipendono gli insegnanti di religione, ne sarebbero i garanti. Di conseguenza gli islamici non potrebbero avanzare una rivendicazione analoga perché introdurrebbero nella scuola una cultura estranea alla scuola stessa. Con questo ragionamento si mostra in modo maldestro che la religione a scuola viene usata - impropriamente - come identikit o surrogato della cultura nazionale.
Ma lo zelo furbesco di promuovere la dottrina cattolica come esperienza culturale per radicarla nella scuola (equiparandola senz’altro alle altre discipline, voto compreso) si accompagna al suo impoverimento di contenuto teologico in senso proprio. La raccomandazione che talvolta fa Papa Ratzinger di non confondere fede religiosa e cultura viene smentita proprio a casa sua.
Chiariamo subito un equivoco. Qui non stiamo parlando di un tema che interessa i credenti o viceversa i soliti rompiscatole dei laici (pardon, laicisti). Non è neppure la chiamata alle armi dei difensori dell’identità italiana per contrastare l’islamizzazione del nostro Paese. E’ grottesco che in prima fila in questa eroica impresa ci sia la Lega che contemporaneamente mira a disfare la nazione italiana. Qui è in gioco il concetto di cittadinanza.
E’ in gioco la libertà di espressione e di fede di tutti i cittadini. E’ in gioco la libertà religiosa nella sue forme più qualificate, compreso il diritto all’educazione dei propri figli. Queste cose le sanno benissimo i cattolici quando sono in minoranza e devono combattere per i loro diritti. E’ incredibile che si debbano ricordare loro questi principi quando sono in comoda maggioranza. Ma siamo arrivati a questo punto in un Paese dove il ministro Maroni, dall’alto della sua competenza teologica, dice che l’Islam, privo di un’istituzionalizzazione dogmatica secondo i nostri criteri, non è una fede in sintonia con la nostra alta cultura religiosa. In questo si dichiara d’accordo con il cardinale Bagnasco.
Viene il sospetto (almeno per quanto riguarda il Presidente della Cei) che l’irrigidimento verso gli islamici sia una mossa cautelare per tenere testa all’altra richiesta, ben più impegnativa e per lui insidiosa, di introdurre l’ora di religione in Italia, basandola sul pluralismo delle confessioni e sull’analisi storica comparata delle religioni. In questo caso non c’è più l’alibi che la richiesta non sia solidamente fondata sulla pluralità delle tradizioni culturali dell’Europa e dell’Italia. Ma è un altro discorso.
Tornando all’ipotesi dell’ora di religione islamica, non siamo tanto ingenui da ignorarne i rischi e le difficoltà. Non soltanto a proposito della questione sempre sollevata circa il fondamentalismo religioso visto come la matrice del terrorismo. Non è un problema da prendere a cuor leggero. Tanto vale affrontarla a viso aperto.
Ma qui vorrei ricordare un punto solitamente ignorato anche nel dibattito pubblico più disponibile al confronto interreligioso. Parlo delle incompatibilità teologiche e delle sue conseguenze.
Porterò un esempio concreto raccontando molto succintamente quanto è accaduto alcuni mesi fa in Germania, una società che per molti aspetti offre un panorama estremamente positivo dei rapporti tra le diverse culture e le diverse religioni. Si doveva assegnare un premio prestigioso ad alti esponenti delle Chiese e della cultura per i loro sforzi di dialogo interreligioso. Ma qualche settimana prima della premiazione, l’esponente islamico - un noto uomo di letteratura e di poesia - scriveva su un giornale un commento al famoso quadro della crocifissione di Guido Reni, presente in una chiesa romana. Un bellissimo pezzo estetico, letterario ma anche di contenuto teologico, che esprimeva la tesi islamica per cui l’idea di Cristo Dio crocifisso è una blasfemia per un musulmano. Una tesi che dovrebbe essere nota a tutti i conoscitori del Corano. Invece nella circostanza di quel premio scoppiò come una bomba e la tesi dello studioso islamico fu intesa come un’offesa al cristianesimo. I rappresentanti delle Chiese protestarono, si ritirarono dal premio innescando una vivacissima polemica giornalistica e mediatica. Improvvisamente il grande pubblico si rese conto che si era toccata l’incompatibilità dei punti di vista teologici.
A questo punto, come si può continuare a dialogare tra le religioni? Su che cosa si può dialogare? Ci si è presto resi conto che una minima competenza teologica reciproca (anche da parte dei laici) è una premessa indispensabile per non ridurre il colloquio interculturale e interreligioso a superficiali anche se benevole dichiarazioni di reciproca buona volontà.
Quella che è una sfida tra adulti responsabili può diventare un grosso disagio e sconcerto per le giovani generazioni che vivono fianco a fianco a scuola o in altri ambienti. Ma non è alzando barriere (pseudo) culturali o tracciando confini di separazione «identitaria» che si viene a capo di questi problemi. E’ il futuro che ci attende. Quella dei Bagnasco e dei Maroni è una risposta sbagliata.

La REPUBBLICA - Alessandro Longo : " Ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro dell´altro "

Amos Luzzatto

ROMA - Amos Luzzatto, già storico presidente dell´Unione delle Comunità Ebraiche, ha una sua idea di come bisognerebbe affrontare «il fenomeno della religione». E non è quella di introdurre l´ora del Corano a scuola, suggerita da Adolfo Urso, in sintonia con Gianfranco Fini. «Ho delle grosse riserve su questa proposta - dice Luzzatto - anche se non sottovaluto l´importanza di affrontare un tema così delicato per la prima volta. Ma se ai cattolici facciamo leggere il Vangelo, ai musulmani il Corano e agli ebrei la Torah, ognuno nel suo orticello didattico, l´integrazione va a farsi friggere».
Insomma: buone le intenzioni, però la strada è un´altra. Forse lei pensa ad un insegnamento come "Storia delle religioni"?
«Nemmeno. A suo modo, sarebbe ancora riduttivo. Più di un milione di musulmani vivono in Italia e altri ne arriveranno. Non può esserci vera integrazione senza reciproca conoscenza. Penso che a scuola bisognerebbe affrontare il problema del fenomeno religioso nel suo complesso, storia, filosofia, costumi sociali. Bisognerebbe cercare di capire perché le diverse forme di religiosità coinvolgono tanta parte di umanità, e sono anche alla base di divisioni violente. Occorre chiedersi che cos´è la religione, perché e come si diffonde, quali sono le religioni più conosciute, quali quelle storicamente a noi più vicine. L´Islam lo devono studiare anche il bambino ebreo e quello cattolico. Ognuno deve poter aprire il Libro dell´altro. Questa è la vera integrazione, che è anche l´unica che ci consente di preservare la nostra società da nuovi tipi di violenza».
Obiettivo alto.
«Il più alto possibile. La gente deve imparare a stare insieme, a mescolarsi, deve accettare che, a fianco del suo modo di essere e di credere, c´è un altro modo di essere e di credere. E la scuola deve fare la sua parte, dovremo formare docenti in grado di affrontare il tema dell´interculturalità. E´ un lavoro di lungo respiro, non mi illudo di riuscire a vederlo io. Dico solo questo: attenzione, non basta concedere il minareto o il muezzin e pensare con ciò di aver assolto al nostro dovere di progressisti. Discutendo dell´ora di Corano, abbiamo fatto un passo avanti in direzione della tolleranza ma io sto parlando un´altra cosa, di integrazione».
Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni non è pregiudizialmente contrario alla proposta di Urso.
«Di Segni ha detto cose importanti, ricordando anche che, a differenza dei cattolici, noi ebrei ci paghiamo da soli l´insegnamento dell´ebraismo nelle scuole pubbliche. Mi chiedo chi pagherebbe l´ora di Corano? Se la pagano loro? Ognuno il suo orto? Ecco: questo non va bene e oltretutto non serve. Che senso ha raccontare al musulmano quello che lui sa già? Si creerebbe un puzzle, tante pezze separate, l´abito di Arlecchino. E´ davvero questo che vogliamo? Tanti ghetti culturali con diritto di autonomia interna?».
Per ora è una discussione parecchio accademica. La gran parte del centrodestra boccia senza appello l´Islam a scuola.
«Questo dà l´idea di quanto sia arretrato il dibattito in Italia».

Per inviare la propria opinione a Giornale, Libero, Foglio, Stampa, Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti


segreteria@ilgiornale.it
segreteria@libero-news.eu
lettere@ilfoglio.it
direttore@lastampa.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT