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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.10.2009 Sette cristiani crocifissi in Sudan, ieri
Cronaca di Gian Guido Vecchi

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 ottobre 2009
Pagina: 17
Autore: Gian Guido Vecchi
Titolo: «Vescovo del Sudan: 'Sette cristiani crocifissi'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/10/2009, a pag. 17, l'articolo di Gian Guido Vecchi dal titolo "Vescovo del Sudan: sette cristiani crocifissi".

 Al Bashir, presidente del Sudan, condannato per crimini contro l'umanità dal tribunale dell'Aja, e invitato quale ospite d'onore in Turchia dal premier Recep Erdogan.

CITTÀ DEL VATICANO — Si parla di crocifissione dei cri­stiani, al Sinodo per l’Africa che si sta riunendo in Vatica­no. E non è una metafora: «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parroc­chia ed hanno preso tante per­sone in ostaggio. Mentre fug­givano nella foresta, ne han­no uccise sette: li hanno croci­fissi agli alberi». Monsignor Hiiboro Kussala è vescovo del­la diocesi di Tombura Yam­bio, nel Sud del Sudan. Il suo racconto a Radio Vaticana , la voce dolente e ferma, testimo­nia come l’odio e i massacri non siano certo finiti con l’in­criminazione del presidente Al Bashir decisa in marzo dal Tribunale internazionale del­l’Aja per crimini contro l’uma­nità, il genocidio nel Darfur. Le violenze continuano anche su un altro fronte, quello che divide «un Nord prevalente­mente arabo che ha imposto la legge coranica», il governo di Al Bashir a Khartoum, «e un Sud cristiano animista», riassume l’emittente della Santa Sede. Le elezioni politi­che, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, men­tre nel 2011 si attende il refe­rendum per l’autodetermina­zione del Sud. Appuntamenti messi in pe­ricolo dai «ripetuti attacchi contro i cristiani», violenze «perpetrate da gruppi ribelli legati a Khartoum»: non sol­tanto «stanno ricevendo aiuti dal governo del Nord», accu­sa il vescovo, ma «alcuni di lo­ro sono stati istruiti da Al Qae­da in Afghanistan: sono con­tro la Chiesa, il progetto è inti­midire i cristiani».
La crocifissione dei sette parrocchiani di monsignor Kussala non è un orrore isola­to, «si verificano tanti dram­mi come questo», e d’altra parte «tutti questi gruppi han­no fucili, armi: credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Su­dan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum». Quando gli si chiede se te­stimoniare il Vangelo, in Su­dan,
significhi rischiare il martirio, il vescovo non ha esitazioni: «Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, per­ché stanno uccidendo la gen­te, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio». An­dare in parrocchia, partecipa­re alla messa, sono cose che fanno paura: «Paura, sì: per­ché i ribelli continuano ad uc­cidere la gente. Ma noi non vogliamo morire: tutto que­sto rafforza la fede della gen­te, la gente continua a venire in chiesa».
Del resto la situazione non nasce ora, spiegava al sinodo il cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khar­toum: «Il problema tra il Sud e il Nord del Sudan è vecchio quanto il Sudan stesso: una re­te di questioni complesse, dal­le
disuguaglianze nello svilup­po alle disparità nelle oppor­tunità concesse dal governo centrale, cui si aggiungono le differenze etniche e religiose tra i due popoli».
La stessa complessità del Darfur, raccontava la settima­na scorsa ai vescovi Rodolphe Adada, già rappresentante congiunto Onu-Unione africa­na della missione di pace: «La situazione è cambiata radical­mente rispetto al 2003-2004. Ma questo non significa asso­lutamente che il conflitto, as­sai più complicato della de­scrizione manichea comune­mente diffusa, sia concluso». E pensare che l’assemblea per l’Africa, fino al 25 ottobre, riu­nisce 244 padri sinodali «a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Non è facile. Monsignor Kussala allarga le braccia: «Questo è il nostro motto. Do­po sei secoli, il cristianesimo è stato praticamente distrutto nel Nord del Sudan, e noi ne soffriamo in nome del Signo­re » .
Certo, ieri i vescovi esorta­vano l’Africa a «prendere in mano il proprio destino». Ma lo stesso Benedetto XVI si ri­volgeva agli «uomini e don­ne » della Terra perché «volga­no i loro occhi all’Africa». Co­sì il vescovo di Tombura Yam­bio sospira: «Vogliamo i Buo­ni Samaritani: i nostri fratelli, i nostri amici nella comunità internazionale possono veni­re in nostro aiuto. Ma più an­cora di questo, chiediamo pre­ghiere,
tante».

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