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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.10.2009 Condanne a morte in Iran. l'Occidente con il cappello in mano
Cronaca di Viviana Mazza e commento di Paolo Conti

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 ottobre 2009
Pagina: 14
Autore: Viviana Mazza-Paolo Conti
Titolo: «Repressione in Iran, la parola passa la boia-Pena di morte e diritti negati, è la falsa democrazia iraniana»

In Iran continuano le condanne  a morte nel silenzio colpevole dei paesi democratici, Peggio del silenzio, è la sostanziale connivenza di quei governi che continuano a presentarsi con il cappello in mano. Sul CORRIERE della SERA di oggi, 11/10/2009, a pag.14 e 8 la cronaca di Viviana Mazza e il commento di Paolo Conti:

Viviana Mazza- " Repressione in Iran, la parola passa la boia "

la morte per chi dissente

Sei lettere, tre vite. «M.Z., A.P., M.E.». Tre iraniani sono sta­ti condannati a morte in Iran per «coinvolgimento» nelle pro­teste contro la vittoria di Ahma­dinejad alle elezioni del 12 giu­gno. Il ministero della Giustizia li ha identificati così: solo con le iniziali. Due sono accusati di le­gami con la Anjoman-e Pede­shahi , associazione monarchica definita «terrorista» da Teheran; il terzo d’essere membro dei Mujahedin del popolo, gruppo che ha condotto la lotta armata contro il regime e che anche gli Usa inseriscono nella lista nera del terrorismo (depennato da quella dell’Ue). M.Z. potrebbe es­sere Mohammed-Reza Ali Zama­ni (nome rivelato da siti riformi­sti) che è davvero membro del gruppo monarchico (ma secon­do la portavoce lavorava alla ra­dio, non ad attentati pianificati dalla Cia). Sono i primi dimo­stranti condannati a morte. Ma altri verdetti sono stati emessi, dice il ministero, senza dare det­tagli: «18 hanno fatto ricorso». Le condanne sono coerenti con il modo in cui le autorità hanno presentato le proteste: non co­me un movimento spontaneo di milioni di iraniani che accusano il governo di brogli, ma come un complotto guidato da agenti stranieri.

L’annuncio arriva in occasio­ne
della Giornata mondiale con­tro la pena di morte. Quest’anno vi sono state in Iran almeno 277 esecuzioni (confermate dai me­dia ufficiali) per narcotraffico, omicidio, stupro o aver «genera­to insicurezza nella società»; tra loro, tre minorenni. «Sono mol­te di più dell’anno scorso», dice da Oslo Mahmood Amiry-Mo­ghaddam, portavoce di Iran Hu­man Rights che nel 2008 ne con­tò 350. «Il numero è aumentato molto dopo le proteste. Dal 1˚ luglio ne sono state rese note 132». Non sono legate alle prote­ste.

Ma è difficile identificare i condannati, indicati spesso solo con le iniziali. «Un afghano è sta­to impiccato come narcotraffi­cante ma per la famiglia è stato arrestato durante una protesta». È difficile avere notizie. «Dopo le elezioni le autorità iraniane hanno lanciato una campagna contro i movimenti della socie­tà civile», dice Amiry-Moghad­dam. Durante il processo ai di­mostranti del 1˚ agosto, le auto­rità hanno accusato difensori dei diritti umani come Shirin Ebadi d’essere parte del «com­plotto ». L’avvocato Mohammad Mostafaei, che difende i mino­renni nel braccio della morte, è stato rinchiuso a Evin per «com­plotto contro lo stato». «I diritti umani sono visti come una que­stione di sicurezza. Le esecuzio­ni non sono usate contro il cri­mine, ma per diffondere paura nella società».

Mostafaei si recherà a Evin oggi alle 4 del mattino. Un suo assistito, Behnoud Shoojaee, 21 anni, verrà impiccato per un omicidio che avrebbe commes­so a 17 anni. Si dice innocente. Il 18 giugno 2005, Behnoud pas­seggiava a Parco Vanak, Tehe­ran. Il ventenne Omid lo avreb­be attaccato e minacciato col col­tello. Behnoud lo colpì al petto con un frammento di vetro rac­colto a terra, una volta, e fuggì.
Mostafaei lo ha incontrato dopo la condanna: punta sulla legitti­ma difesa e sull’autopsia che par­la di ferite multiple da coltello. Behnoud ha sfiorato l’esecuzio­ne 5 volte, poi è stata rimanda­ta. Può ottenere il perdono se pa­ga una somma ai familiari di Omid, proibitiva per lui orfano di madre, padre tossicodipen­dente. Gli artisti iraniani hanno lanciato una campagna, raccolto 100 milioni di toman (70mila eu­ro), convinto la famiglia di Omid. Ma il tribunale li ha con­vocati: «Nuocete all’atmosfera politica del Paese». La famiglia si è tirata indietro. La Ue ha pro­testato. «Non basta protestare prima e condannare dopo, sen­za conseguenze — dice Ami­ry- Moghaddam —. Non si tratta di imporre valori occidentali: c’è un movimento interno che ha bisogno di appoggio».

Paolo Conti- " Pena di morte e diritti negati, è la falsa democrazia iraniana "

Ad ogni contestazione che arriva dall’Occidente sulla qualità a dir poco dubbia del suo mo­dello democratico, l’Iran puntualmen­te risponde citando le cifre sull’af­fluenza alle urne nelle elezioni presi­denziali e parlamentari. Formalmen­te e sulla carta, l’Iran sarebbe dunque una democrazia, persino il sostegno popolare lo confermerebbe. Ma natu­ralmente l’assenza di qualsiasi dibatti­to politico e il filtro che la struttura del regime impone sulle candidature (basta il sospetto di essere «cattivi fe­deli musulmani» per essere esclusi, e in un regime religioso solo la lealtà al «sistema» è una garanzia di affidabili­tà) sottraggono ogni credibilità a quella pseudodemocrazia.

Non bastasse un simile, ovvio ar­gomento, eccone un altro. Nessuna democrazia al mondo punisce con la morte chi organizza una manifesta­zione di opposizione a un governo, a un presidente. Ieri l’Iran lo ha fatto con tre cittadini colpevoli di aver gri­dato in piazza contro Ahmadinejad e il suo governo, soprattutto contro una rielezione che presenta mille la­ti oscuri. Non esiste alcun Paese do­tato di un libero Parlamento che pos­sa accusare qualcuno di «essere sta­to coinvolto nei fatti post-elettora­li », quando quei «fatti» sono non un complotto o un tentativo di golpe or­chestrato chissà dove e all’oscuro, ma manifestazioni pubbliche, tenu­te coraggiosamente all’aperto. Cioè il sale di ogni democrazia veramente compiuta.

Adesso Stati Uniti ed Europa sem­brano aver trovato un serio canale di comunicazione con Teheran sul no­do nucleare. Sarebbe un atteggiamen­to molto colpevole se, nel nome della Realpolitik, si abbandonassero le pressioni internazionali sulla questio­ne molto ampia dei diritti umani in Iran. Tre vite umane per una manife­stazione sono un peso insostenibile per qualsiasi trattativa che voglia es­sere eticamente corretta.



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