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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.10.2009 Il no islamico alla squadra gay denota integralismo e discriminazione
Magari fosse scontro fra musulmani

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 ottobre 2009
Pagina: 14
Autore: Marco Ventura
Titolo: «No islamico alla squadra gay: il vero scontro è fra musulmani»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/10/2009, a pag. 14, l'articolo di Marco Ventura dal titolo " No islamico alla squadra gay: il vero scontro è fra musulmani ".

Marco Ventura mette in rilievo il fatto che anche l'allenatore della squadra Paris Foot Gay è musulmano. Il che torna a merito della squadra gay.
Questo  però non fa sì che l'episodio (la squadra musulmana che rifiuta di giocare contro quella gay) si trasformi in uno scontro tra islamici radicali e non. La questione non è cambiata. Il fatto che esistano musulmani più aperti non rende quelli integralisti meno colpevoli. Nessuno scontro fra islamici. Scontro fra civiltà e inciviltà. Ecco l'articolo:

 La squadra musulmana Créteil Bébel

«Siamo musulmani», dice in tv l’allenatore del «Créteil Bébel», équipe parigina di calciatori dilettanti. Sia­mo musulmani osservanti. E allora? Allora quando ho saputo che dovevamo giocare contro una squadra che difende gli omo­sessuali, il Paris Foot Gay, ho scritto al loro presidente per annullare la partita. Sono cittadino francese, aggiunge, ma sono an­che un osservante musulmano: «Le nostre convinzioni sono di gran lunga più impor­tanti di un semplice incontro di calcio». Per i nostri principi religiosi, «non possia­mo giocare contro di voi».
La storia fa il giro del mondo. Lo sche­ma interpretativo è scontato. Una fede re­trograda sfida la società aperta, gli integra­listi attaccano i secolarizzati, l’intolleranza musulmana odia l’Europa plurale. Poi com­pare su France 2 Brahim Naït-Balk, l’allena­tore del Paris Foot Gay; colorito scuro, viso affilato. Moi, je suis d’origine marocaine, proclama, sono d’origine marocchina. So­no musulmano anch’io. Allora capiamo che lo scontro non è tra un gruppo di fede­li e una società di infedeli. Il conflitto è den­tro la religione, tra musulmani; tra modi differenti di sentirsi nell’Islam. L’allenato­re barbuto del Créteil Bébel reclama il pri­mato dell’ortodossia. Conosce i principi, lui; li osserva. Ma Brahim non cede l’esclu­siva. La mia squadra è contro l’omofobia perché accetta la differenza; giocano con noi ebrei e musulmani, omosessuali e ete­rosessuali. Sono musulmano anch’io.
Ai bisticci dell’Islam parigino fanno eco i conflitti dell’Islam arabo. Il grande imam dell’Ahzar si è appena pronunciato contro l’uso del velo integrale in Egitto. L’altro ieri il re Abdullah ha rimosso un membro del Consiglio degli Ulema contrario all’apertu­ra della prima università mista, per ragazzi e ragazze, salutata dal sovrano saudita co­me «casa del sapere e luogo di tolleranza». Ribolle l’Islam; ovunque. Quelli che si rifiu­tano di scendere in campo sono «i prati­canti », i più musulmani degli altri, i custo­di della purezza e dei principi: gli osservan­ti. Gli altri sono i musulmani normali, quel­li che si identificano con l’Islam senza pre­tendersene i campioni. Per gli integralisti sono loro la vera minaccia. Perché pensa­no, come Brahim l’allenatore, che «gli uo­mini rigirano la religione come fa loro più comodo». Perché al fischio dell’arbitro
non hanno paura di stare in campo.

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