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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.10.2009 La Turchia continua a non riconoscere il genocidio degli armeni
E denuncia Orham Pamuk che ne ha scritto nel 2006

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 ottobre 2009
Pagina: 17
Autore: Dino Messina
Titolo: «Turchia, i giudici danno via libera ai nemici di Pamuk»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/10/2009, a pag. 48, l'articolo di Dino Messina dal titolo " Turchia, i giudici danno via libera ai nemici di Pamuk ".

 Orhan Pa­muk

La scena si ripete. Alla vigi­lia di una importante usci­ta pubblica in Italia, lo scrittore turco Orhan Pa­muk, premio Nobel per la Lettera­tura nel 2006, viene raggiunto da una notizia giudiziaria che lo ri­guarda. Quasi cinque mesi fa, il 14 maggio, mentre era in viaggio per una conferenza alla Fiera del libro di Torino, apprese la decisione del­la Corte di cassazione che aveva an­nullato la sentenza assolutoria di primo grado per una sua frase che riconosceva il genocidio degli ar­meni e il massacro dei curdi. Ieri la replica, alla vigilia dell’incontro pubblico che si terrà questa sera al­le 18 al teatro Franco Parenti di Mi­lano con Alessandro Piperno, per la presentazione del nuovo roman­zo appena edito da Einaudi, Il mu­seo dell’innocenza : un flash del­l’agenzia turca Anadolu comunica che «la Suprema Corte d’appello ha dato luce verde a tutti quei citta­dini che, sentendosi offesi dalle di­chiarazioni di Pamuk, intendesse­ro intentargli causa per chiedergli un risarcimento danni».
Come in un incubo la discussio­ne verte sempre attorno a quella coraggiosa dichiarazione fatta da Pamuk a un giornalista svizzero nel giugno 2006: «Noi turchi abbia­mo ucciso trentamila curdi e un mi­lione di armeni e nessuno, tranne me, osa parlarne in Turchia». Tan­to è bastato per incorrere nelle ma­glie dell’articolo 301, che prevede pene per chi offende la nazione. Pa­muk,
il più puro degli scrittori, che ha fatto della letteratura la sua pri­ma ragione di vita, continua così a essere imputato di «lesa turchità», con il rischio di dover pagare milio­ni di nuove lire turche (la nuova li­ra turca equivale a circa metà di un euro) a tutti quei cittadini che in­tendessero citarlo per danni mora­li.
«La peggiore condanna che pote­vano infliggermi — disse Pamuk a Torino in apertura di una splendi­da conferenza letteraria — è farmi diventare un personaggio politi­co ». Ma prima di passare a parlare di Italo Calvino, Carlo Emilio Gad­da, Lev Tolstoj e Fëdor Dostoe­vskij, con tono pacato ma deciso accusò: «La giustizia in Turchia è politicizzata, non c’è vera giustizia senza libertà di espressione». Chis­sà se stasera lo scrittore di Istan­bul, città cui ha dedicato un libro di straordinaria profondità ed eru­dizione e dove sta costruendo un museo in cui sono riprodotti tutti gli oggetti citati nel suo nuovo ro­manzo, vorrà commentare la deci­sione della Corte d’appello. O se vorrà farlo sabato mattina quando visiterà un gioiello della cultura mi­lanese, la casa museo Bagatti Val­secchi.
In questo momento ci vengono in mente le parole di un’amica di Pamuk, la scrittrice Perihan Ma­gden, autrice del romanzo
In fuga, condannata per incitamento alla di­serzione per aver difeso le ragioni di un obiettore di coscienza gay, e condannata anche per aver accusa­to i fanatici che inneggiavano all’as­sassinio del giornalista Hrant Dink, che scontò il carcere e poi fu ucciso per aver sostenuto quanto diceva Pamuk nell’intervista al giornale svizzero. In Turchia il ve­ro pericolo, ci disse Perihan Ma­gden nel maggio scorso, «non vie­ne dall’islamismo ma dall’estremi­smo nazionalista e kemalista, dai discendenti di quell’élite che realiz­zò la rivoluzione laica e che domi­nano la società in maniera burocra­tica ». E aggiunse: «Nel nostro Pae­se la differenza tra critica e diffama­zione viene stabilita da un giudice in base a criteri molto soggettivi». Criteri soggettivi. Così viene colpito non soltanto chi è accusa­to di offendere la nazione turca, ma anche chi come lo scrittore Ne­dim Gürsel non parla in termini corretti dell’Islam. A fine giugno il lungo processo contro Gürsel, istruito in base all’articolo 216 del codice penale (incitamento al­l’odio di razza, di classe o di reli­gione) si concluse con un’assolu­zione. Un tribunale stabilì che il suo romanzo Le figlie di Allah non aveva offeso l’Islam.
I giudici che in Turchia mettono sotto accusa gli scrittori non dan­no certamente una mano alle aspi­razioni
europee di questo grande e splendido Paese.

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