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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
06.10.2009 Souad Amiry ha trovato un'altra tribuna per la sua propaganda anti israeliana
Rai3 non era sufficiente. Ora approda anche all'Unità, intervistata da Udg

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Ho viaggiato con i palestinesi che sognano di lavorare in pace»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 06/10/2009, a pag. 25, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Souad Amiry dal titolo " Ho viaggiato con i palestinesi che sognano di lavorare in pace ", con un Udg regolarmente privo di domande opportune.

L'articolo inizia con un errore : " La vita al di là del Muro ". Non esiste alcun muro, ma una barriera difensiva (di cemento solo per il 5% della sua lunghezza totale) per proteggere gli israeliani dal terrorismo palestinese. Quando ci sarà la pace, essa non sarà più necessaria, come non lo saranno più i check point tanto criticati nel corso dell'intervista.
Amiry dice : "
Ho raccontato la quotidianità dei palestinesi che lavoravano in Israele prima della costruzione del Muro. Erano 150mila, prima che Ariel Sharon decidesse a un certo punto di non volerli più.". Ariel Sharon, lo stesso politico che, andando contro il proprio partito, ha dato la Striscia di Gaza ai palestinesi perchè facesse parte del loro futuro Stato?
L'intervista ricalca quella rilasciata al programma Faranheit criticata da IC il 04/10/2009. Un mucchio di menzogne macroscopiche che rasentano il ridicolo. Riportiamo l'intervista di Udg, seguita da quella a Farenheit :

 Souad Amiry

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Ho viaggiato con i palestinesi che sognano di lavorare in pace "

La vita al di là del Muro. Una quotidianità fatta di dolore, speranza, orgoglio, umiliazione. Una realtà che Suad Amiry ha raccontato nel suo ultimo, bellissimo, libro: «Murad Murad » (Feltrinelli). SuadAmiry è oggi la più affermata scrittrice palestinese. Ha vissuto in Siria, Giordania, Libano, Egitto, Stati Uniti e Scozia. Nel 1981 è tornata a vivere a Ramallah. Il libro in cui racconta questa esperienza, «Sharon e mia suocera. Se questa è vita» (Feltrinelli 2003) ha vinto il premio Viareggio nel 2004. Suad Amiry è stata ospite del festival di Internazionale a Ferrara, che si è chiuso domenica. Lì l’Unità l’ha incontrata. In “Murad Murad” lei ha raccontato cosa vuol dire vivere al di là del Muro edificato da Israele in Cisgiordania.
Qual è l’essenza di questa vita?
«Ho raccontato la quotidianità dei palestinesi che lavoravano in Israele prima della costruzione del Muro. Erano 150mila, prima che Ariel Sharon decidesse a un certo punto di non volerli più. Cancellati. Ho cercato di capire cosa potesse provare uno di loro, Murad Murad, il giovane protagonista del mio romanzo, in che modo trascorreva la sua vita. Una volta Murad è venuto da me è mi ha raccontato cosa significhi perun lavoratore palestinese non in regola lavorare in Israele. Io sono andata con questi lavoratori, mi sono camuffata per provare ad assomigliare a questi lavoratori, li hoseguiti in una loro giornata. Siamo andati da Ramallah a Petah Tikva, il posto d’Israele dove pensavano di poter lavorare. Una distanza di 35 chilometri: in una qualsiasi altra situazione richiede una mezzora di macchina: In quel caso ha richiesto la bellezza di 18 ore. Eravamo 24, stipati in un pulmino, abbiamo viaggiato di notte tra gli ulivi, in maniera tale si giungesse a destinazione prima dell’alba in modo che i soldati israeliani non ci individuassero. Di quei 24 che erano partiti, alla fine siamo arrivati solo in 4. Gli altri 20 sono stati arrestati dai soldati israeliani. E la stessa sorte è toccata ad altre decine di palestinesi che provenivano da altri villaggi».
Quali erano i sentimenti prevalenti tra questi lavoratori. La rabbia, il dolore, la frustrazione, l’umiliazione...?
«Era un insieme di tutte queste cose. Mala cosa più importante in assoluto per loro, era trovare lavoro. Insistevano molto su questo obiettivo. Dovevano per forza arrivare lì e trovare un lavoro. Durante quel viaggio hoavutomododi parlare con queste persone. A un certo punto ci siamo trovati di fronte una jeep israeliana che ci impediva il passaggio. Abbiamo dovuto accostarci, aspettare per quattro ore. Si erano fatte le 9 della mattina e ci trovavamoancora dal lato della West Bank. A quel punto mi sono scoraggiata e ho detto: beh, ormai la giornata sta passando perché non torniamo indietro... E ho cominciato a dialogare con queste persone e sentire cosa ne pensavano».
E cosa pensavano?
«Mi rispondevano: tornare al mio villaggio e per fare cosa? Non c’è lavoro al mio villaggio.Un altro mi diceva: torno al mio villaggio, mi metto a sedere a un tavolino di un caffè manonho neppure i soldi per pagarla una tazzina di caffè. Un altro ancora mi diceva: con che faccia affronto mia moglie, guardo i miei figli, se non ho i soldi per portare avanti la famiglia...La cosa più importante che ho capito era che l’obiettivo ultimo per loro era il lavoro. Queste persone vengono raffigurati in Occidente e in Israele come se fossero dei criminali. Non si tiene in alcun conto che queste sono persone che hanno diritto al lavoro. Murad è il simbolo di questa storia. Un ragazzo di 21 anni che per sette anni, un terzo della sua età, ha lavorato in Israele, che parlava perfettamente l’ebraico, che aveva anche avuto una tormentata storia di amore con una ragazza israeliana... Raccontandolo, mi sono resa conto che nel caso della Palestina e di Israele, questi lavoratori fungono da ponte. Da ponte al quale spesso non si pensa. Un ponte fatto di 200mila persone che parlano l’ebraico, che conoscono la vita in Israele, che conoscono quelle famiglie...Spesso diciamo che il trait-d’union tra i due popoli sono, o dovrebbero essere, gli intellettuali. Non pensiamo invece che il “ponte” migliore, più solido, è rappresentato da quelle migliaia di lavoratori che conoscono le due realtà, le due culture. Questo Muro divide due nazioni, impedendo a un israeliano di andare in Palestina e ad un palestinese di recarsi in Israele. Ed è molto difficile raggiungere la pace inuna situazione in cui si buttano fuori 200mila persone. E c’è un’altra cosa che mi ha toccato profondamente ».
Quale?
«Murad conosce Jaffa, sa dove è Tel Aviv...Quella Palestina che ioho perso, Murad l’ha trattenuta in sé. Per me è stato molto importante scoprire che c’era una parte della popolazione p a l e s t i n e s e che “apparteneva” ad entrambe le parti. Che ricordava senza essere pervasa da una bramosia di possesso assoluto. Orgogliosa della propria identità nazionale senza che questo significasse negare l’altra. C’è tanta sapienza in Murad e nei lavoratori palestinesi che ho imparato a conoscere e amare. Se fossero loro a negoziare la pace, beh, sono convinta che riuscirebbero meglio di tanti leader o presunti tali».
Così Suad Amiry conclude il suo racconto:
«Nelle occhiaie blu scuro sotto i miei occhi tristi ho visto la faccia bruciata dal sole di Murad, quella di Abu Yousef, quella di Abu Yousef, quella di Saad, diMuneer e naturalmente quella del buffo Ramzi. Sono scivolata tra le fresche e morbide lenzuola di cotone.Hochiuso gli occhi. Ho pianto col viso affondato nel cuscino. Cristo santo, chiedono solo di lavorare».
Sì, i tanti Murad, Saad, Ramzi, Muneer, chiedono solo di lavorare. In pace. Con dignità. Da uomini liberi. Un diritto negato. Non il solo.

FARENHEIT - 01/10/2009, ecco la nostra critica del 04/10/2009:
Su FARENHEIT, trasmissione culturale di Rai 3,  del 1,10.2009.una intervista a Suad Amiri, una architetta palestinese che insegna alla Bir Zeit University. riportiamo integralmente l'intervista.
http://www.radio.rai.it/radio3/podcast/lista.cfm?id=274
notando che l'univeristà Birzeit è in Cisgiordania, nel territorio palestinese governato dall'Anp, per cui le rimostranze della Amiri andrebbero rivolte ad Abu Mazen, non a Israele. Le domande del conduttore fanno il paio con le risposte. le sottolineature sono nostre. e ci siamo limitati a quelle, anche perchè, tra domande e risposte, questa conversazione contiene solo fandonie, una menzogna dopo l'altra . naturalmente risponderemo a quei lettori che volessero approfondire alcuni argomenti.

conduttore: “… insegna alla Birzeit University nella Palestina occupata”. Conduttore: “Che cosa succede quando un palestinese cerca lavoro? Prova ad attraversare il muro per andare in Israele e cercare lavoro. È proibito, è molto rischioso, è molto pericoloso si può anche rischiare la vita […] è un viaggio che dura poco meno di 18 ore …”.
Suad Amiri: “Gli israeliani hanno suddiviso la Palestina in tante piccole aree. Quindi anche per noi, all’interno del paese, è difficile sapere quello che succede agli altri. Nel 2000 Sharon ha preso la decisione secondo la quale nessun palestinese avrebbe mai potuto più lavorare in Israele. All’epoca c’erano circa 200.000 palestinesi che di punto in bianco si sono trovati disoccupati”. Conduttore: l’autrice del libro si traveste da uomo e “si unisce a questo gruppo di palestinesi che cerca di oltrepassare il muro, e comincia letteralmente questo viaggio, che è breve nel tempo ma lunghissimo. Proprio perché si passa da un mondo, che per molti versi è proprio come una specie di grande prigione, di grande gabbia e improvvisamente dall’altra parte del muro scoprono grandi strade, luci, un altro mondo”.
Suad Amiri: “Questa è la situazione. È vero che Israele continua a dichiarare di voler far parte del Medioriente …. Però più in realtà si parla di pace più ci sentiamo isolati e questo muro che è stato costruito è stato un atto veramente criminale perché ha danneggiato senz’altro il paesaggio, distrutto paesi e villaggi e, soprattutto, seppellito qualsiasi speranza che ci potesse essere la pace”.
Suad Amiri: “…. ci abbiamo messo 18 ore per andare dal Ramallah al villaggio dove i braccianti vogliono cercare lavoro. 16 di queste 18 ore sono state trascorse in Palestina dove i braccianti hanno subito ogni sorta di angheria, questa è la cosa impressionante”.
Conduttore: “Lo dicono chiaramente anche i personaggi del libro. Ma siamo a casa nostra, perché continuamente ci bloccate e ci perquisite, talvolta anche ci sparate?
Suad Amiri: “Ho conosciuto Murad un giorno quando è venuto a lavorare nel mio giardino. Mi ha raccontato ogni sorta di storia che riguardava la sua esperienza di lavoro in Israele. Mi era difficile comprendere quello che aveva vissuto. E, quindi, decisi di intraprendere questa avventura. Ma ci ho messo un mese per decidermi perché dovete capire che effettivamente i soldati israeliani sparano contro questi braccianti e li imprigionano. Se pensate che il nostro viaggio in partenza eravamo in 24 e siamo arrivati in 4 a destinazione, gli altri 20 sono finiti in prigione”.
Conduttore: “Forse non è abbastanza conosciuta questa situazione all’interno della Palestina occupata. Letteralmente ogni villaggio, ogni abitazione si trova come se ci fosse una frontiera. Continuamente c’è un posto di blocco. Come può nascere uno stato in queste condizioni?”.
Suad Amiri: “Vorrei partire da una nota positiva. Se Israele decidesse che già da domani potremmo avere lo stato palestinese le relazioni non sarebbero complicate. Il punto è che Israele vuole avere tutta la terra. Se oggi smettesse di costruire gli insediamenti e se si ritirasse da quel che rimane dal territorio della Palestina così come ha fatto nel passato dal Libano, già domani potrebbe nascere lo stato della Palestina. Il problema è che gli israeliani continuano ad appropriarsi della nostra terra. L’amministrazione Obama sta cercando di convincere gli israeliani a smettere di costruire su quello che rimane della Palestina, che è il 22% di quello che era il territorio originale. Il resto, il 78%, è Israele. Io provengo da Jaffa che oggi è Israele”.
Suad Amiri: “Cerco di descrivere la situazione della Cisgiordania perché pensate che in realtà questa è una zona piccolissima grande forse quanto l’isola d’Elba. Eppure in quest’area così limitata vi sono 500 posti di blocco. Nell’area di 35 Km di cui parlo nel libro ci sono un’infinità di posti di blocco ed è proprio per questo che abbiamo effettuato una buona parte del viaggio attraversando le montagne. Perché se avessimo voluto percorrere le strade non saremmo mai e poi mai arrivati a destinazione. Voi potrete immaginare quanto possa essere difficile muoversi e vivere in una situazione di questo tipo”. Conduttore: “Cosa cercano i personaggio del suo libro? Cercano lavoro. C’è lavoro in Palestina per tutti questi giovani?”.
Suad Amiri: “Il lavoro non c’è, naturalmente. L’occupazione che dura ormai da 43 anni ha completamente devastato la nostra economia. E dall’oggi al domani Sharon ha deciso che nessun palestinese avrebbe mai più lavorato in Israele. Per questo 200.000 lavoratori non l’hanno più potuto fare, e questo ha danneggiato di riflesso la bellezza di un milione di persone. La nostra economia non si può sviluppare, non possiamo esportare, non c’è movimento di persone né di prodotti. Nel libro cerco di descrivere la situazione di quelle persone che non si arrendono a questa situazione. Sono persone che hanno famiglia e che devono trovare lavoro. Sono disposte ad iniziare a lavorare alle 2 di mattino, a lavorare la notte per non farsi trovare dai soldati israeliani. Da noi non ci sono neanche grandi prospettive. Oltretutto non vengono concessi i visti ai palestinesi”.
Conduttore: “E’ vero c’è un occupazione, c’è un muro, questa sorta di trasformazione in prigione di quel territorio. Ma l’Autorità Palestinese è sufficientemente democratica per garantire uno stato civile. Non c’è una responsabilità anche dell’ANP per questa situazione ?”.
Suad Amiri: “L’ANP naturalmente ha delle responsabilità nei confronti dei lavoratori. C’è da dire che quando chi lavorava per l’ANP non aveva ricevuto lo stipendio tutto il mondo ne è venuto a conoscenza, mentre invece quando i lavoratori non solo non trovano lavoro ma non vengono pagati nessuno se ne interessa. L’ANP è fortemente limitata da Israele quindi non ha la libertà di cercare di far crescere in qualche modo questa economia”.
Suad Amiri: “Questo viaggio di 18 ore mi ha completamente cambiato la vita e il mio atteggiamento nei confronti dei giovani, dei lavoratori, degli operai. Fare questa esperienza è stato anche molto divertente. Ho sentito molti racconti. È entrato in gioco un po’ di tutto, delle storie d’amore, per esempio”.
Conduttore: “Uno dei punti più belli di questo libro è quando finalmente siete in Israele vi sdraiate in un parco e scoprite che quel parco è un’invenzione recente. Prima c’erano villaggi palestinesi da secoli, completamente cancellati. Ma allora questa storia del diritto al ritorno cosa vuol dire per lei?”.
Suad Amiri: “Questa è una parte del libro che mi tocca veramente. Veramente quando si parla della soluzione due stati è straordinario pensare a quanto i palestinesi abbiano dovuto accettare questo. Se pensate che io vengo da Jaffa, nel 1948 Israele ha cacciato dalla città ben 800.000 palestinesi. Tra il 1948 ed il 1952 sono stati rasi al suolo 420 villaggi. Durante il viaggio si parlava della destinazione di questa città israeliana “petatifka” [questo è quello che ho capito], mentre sentivo loro che parlavano di “mlavis, mlavis”. In realtà era il nome arabo della città. Alla fine quando arriviamo a destinazione ci fermiamo a riposare in un parco. Quando sento parlare di parchi in Israele entro in uno stato di agitazione perché dovete sapere che tutti i parchi in Israele in realtà sono stati costruiti su di un territorio che era precedentemente occupato da tante case palestinesi che sono state rase al suolo”.
Conduttore: “In realtà il rapporto effettivo con gli israeliani è migliore di quanto ci viene raccontato. Molte di queste persone che cercano di varcare la frontiera hanno qualcuno che gli offre un lavoro. Qualche volta ti inganna ma il più delle volte ti cerca, ti difende anche”.
Suad Amiri: “In effetti esistono dei forti tra le due parti. I braccianti rappresentano proprio un ponte. Murad come lo dobbiamo considerare? Un palestinese, un israeliano? Metà e metà? Ha iniziato a lavorare a 13 anni in Israele e si sente a suo agio lì, conosce la lingua, le strade. E quindi forse c’è già una parte che è pronta mentre forse noi intellettuali la situazione è ancora un po’ virtuale”. Conduttore: “A Fahrenheit è venuto Jeff Halper che ha detto la sua proposta che non è tanto due stati e due popoli ma uno stato e due popoli”.
Suad Amiri: “Nel mio cuore vorrei una soluzione di questo tipo. Ma temo che questo non è quello che vuole Israele. Forse è questa la direzione in cui ci stiamo muovendo, vista la velocità con la quale continuano a costruire e ad occupare la nostra terra. Se si parla con gli israeliani, loro vogliono essere separati dagli arabi”.
Suad Amiri: “Questo libro racconta una storia comune in tante parti del mondo. In Palestina parlo dei braccianti illegali che ora sono lavoratori illegali nella nostra terra. Ed è una situazione molto strana questa perché si tratta di persone che nel 1948 appartenevano a questa terra. Oggi si trovano ad essere stranieri in casa propria. Come in Germania, dove ci sono 4 milioni di turchi che vivono e lavorano lì. Cosa sono esattamente: sono turchi, sono tedeschi? Lo stesso per i marocchini e tunisini in Francia”.
Conduttore: “Come sarà Murad tra vent’anni?”.
Suad Amiri: “Penso che aprirà un ristorante a Tel Aviv”.

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