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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.10.2009 Il traffico d'armi iraniane dall'Africa fino a Gaza
Ma quanti sono i siti nucleari segreti? Due analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 ottobre 2009
Pagina: 11
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «L’Iran e le nuove rotte delle armi - Qom apre le porte, ma quanti sono i siti segreti?»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/10/2009, a pag. 11, due articoli di Guido Olimpio titolati " L’Iran e le nuove rotte delle armi " e " Qom apre le porte, ma quanti sono i siti segreti? ". Ecco i due articoli:

" L’Iran e le nuove rotte delle armi "

 Il traffico di armi dall'Iran rifornisce Hamas degli ordigni esplosivi per bombardare Israele

WASHINGTON — Gennaio, area a nord di Khartoum, Sudan. In luogo sicu­ro si incontrano ufficiali dei pasdaran iraniani e contrabbandieri. Discutono sull’invio di armi verso la striscia di Ga­za, materiale destinato ai palestinesi di Hamas. Il vertice — secondo quanto ri­velato da fonti di intelligence al Corrie­re — si trasforma in uno scontro: quat­tro iraniani vengono assassinati in mo­do brutale per una questione di soldi. In quegli stessi giorni caccia e velivoli senza pilota «sconosciuti» distruggono un convoglio di 28 camion nell’area di Port Sudan. Poi tocca ad un mercantile sospettato di trasportare munizioni e lanciagranate. Si scoprirà, dopo alcune settimane, che i raid sono stati condotti dall’aviazione israeliana.
La duplice azione era mirata ad inter­rompere il «corridoio delle armi» in fa­vore dei militanti palestinesi. Una pipe­line alimentata dagli iraniani, decisi a sostenere Hamas ma anche ad allargare la loro influenza nel Continente nero. Come ha affermato il ministro degli Esteri di Teheran, Mottaki, il 2009 è una «pietra miliare» nei rapporti Iran-Africa. È quello che gli esperti chia­mano il safari dei mullah. Un’iniziativa di ampio respiro contrastata da egizia­ni, americani e israeliani. Una partita giocata con agenti segreti, diplomatici, apparati militari e traffici.
Sull’agenda degli ayatollah, scritta
dal dinamico presidente Ahmadinejad, ci sono cinque punti fermi, da consegui­re: 1) Accrescere il peso politico nel «continente più ricco del mondo»; 2) sviluppare rapporti economici; 3) esportare il credo rivoluzionario nelle comunità islamiche d’Africa con l’aiuto dell’Hezbollah libanese; 4) stabilire una presenza militare dove sia possibile; 5) mantenere ed estendere una rotta ma­rittima e terrestre che permetta all’Iran di trasferire armi verso nord e Gaza.
Gli iraniani si sono mossi su due livel­li. Il primo trasparente: una serie di visi­te nel periodo 2008-2009 in paesi come il Kenya, Gibuti, Tanzania, Eritrea, Su­dan per firmare accordi bilaterali d’ogni tipo e mettere radici. Rilevante sotto questo profilo l’intesa con gli eritrei. La marina iraniana avrebbe ottenuto un ap­prodo sicuro nel porto di Assab, in Mar Rosso. E forse, aggiungono oppositori interni, anche l’autorizzazione a schiera­re un piccolo contingente di guardiani della rivoluzione. Con il pretesto di con­trastare la pirateria, Teheran ha inviato nella regione da 2 a 6 navi che, da un
lato, hanno dato la caccia ai corsari, dal­­l’altra hanno creato uno scudo per i mer­cantili dei traffici. Una missione nella quale sono coinvolti nuclei di pasdaran che conducono operazioni di spionag­gio marittimo. Tengono d’occhio la flot­ta occidentale, eseguono attività di intel­ligence elettronico, aprono la rotta ai cargo pieni di armi.
Il secondo livello della manovra è quello clandestino ed ha come piattafor­ma strategica il Sudan, dove sono arri­vati pasdaran del cosiddetto «Africa Corp» a presidio della «stazione» princi­pale nel traffico in favore di Hamas. Il
materiale parte in nave dall’Iran, prose­gue verso l’Eritrea – ecco la ragione del corteggiamento politico - , quindi risale in direzione del territorio sudanese, con Port Sudan come snodo. Da qui pro­seguono verso il Sinai affidati ai clan be­duini che ne assicurano poi il passag­gio finale a Gaza attraverso i tunnel. Fonti dell’opposizione iraniana hanno rivelato che Teheran avrebbe anche rea­lizzato una fabbrica ad hoc per produr­re una versione speciale del missile Fajr 3, smontabile per essere contrabbanda­to con maggiore facilità.
La filiera ha messo in allarme anche
gli egiziani. Il Mukhabarat, l’attento ser­vizio segreto, ha iniziato a indagare con insistenza perché preoccupato di possi­bili contraccolpi interni. Ed ha scoperto due focolai pericolosi. Grazie ai contatti con i contrabbandieri, militanti islami­sti locali hanno ottenuto consigli tecni­ci dai gruppi di Gaza. Alcuni jihadisti egiziani, infatti, sono entrati – sempre attraverso i tunnel – nel territorio pale­stinese, quindi hanno fatto ritorno in Egitto. Non meno pericoloso il network creato dagli Hezbollah filo-ira­niani in collaborazione con l’Armata Qods, l’apparato per le operazioni riser­vate dei pasdaran. Uno di loro giunto al Cairo, nel 2006, con falsi documenti ira­cheni ha stabilito legami con abitanti del Sinai così come con i trafficanti. Do­po una serie di arresti gli 007 hanno ac­certato che, inizialmente, la cellula ave­va pensato di colpire obiettivi israelia­ni. Tra i bersagli considerati i turisti o le navi che risalgono Suez. Poi, i suoi supe­riori gli hanno ordinato di preparare ka­mikaze palestinesi destinati a missioni in Israele.
Lo schema ha attirato l’attenzione dell’intelligence statunitense. Washin­gton, che ha il suo Comando Africa, te­me che il binomio Hezbollah-Iran pos­sa infiltrarsi in altri stati africani. In par­ticolare in quelli della zona occidentale dove vivono da decenni ricche comuni­tà sciite. Presenza assolutamente legitti­ma ma dietro la quale si nascondono, a volte, personaggi a rischio. Un sommer­so spesso in contatto con commercian­ti di pietre preziose d’origine libanese. Alcuni di loro collaborano con l’Hezbol­lah e versano una quota dei guadagni
in favore del movimento.
Accanto agli americani e, in concor­renza, si muovono gli israeliani. Prima degli iraniani hanno costruito rapporti con molti governi africani fornendo lo­ro assistenza per l’agricoltura e, natural­mente, aiuti militari. Una politica di ri­guardo sottolineata da un recente viag­gio nel Continente del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha visita­to Etiopia, Kenya, Uganda, Nigeria e Ghana. Missione alla quale è stato dato un grande risalto dalla stampa di Geru­salemme che l’ha contrapposta aperta­mente all’attivismo iraniano. Così co­me il passaggio in Mar Rosso di sotto­marini israeliani, impegnati in esercita­zioni che gli esperti hanno legato ad un possibile attacco contro l’Iran. Nessuna pubblicità invece alle forniture di armi per l’esercito del Sud Sudan, tenace av­versario di Khartoum. C’è l’embargo Onu in vigore, ma viene spesso violato con grandi guadagni per chi riesce a
piazzare fucili e tank.

" Qom apre le porte, ma quanti sono i siti segreti? "

 Città di Qom

WASHINGTON — Contatti diretti e continua pressione a colpi di scoop per smascherare possibili trucchi. È questa la strategia adottata nei con­fronti dell’Iran. Difficile dire se funzio­nerà. Ieri il direttore dell’Aiea, l’egizia­no Mohammed El Baradei è arrivato per un’importante visita a Teheran de­dicata alla questione nucleare.
Al termine dei colloqui, l’alto funzio­nario ha annunciato: 1) Il 19 ottobre rappresentanti di Francia, Stati Uniti e Iran si incontreranno a Vienna per di­scutere il possibile arricchimento del­l’uranio iraniano in Russia. 2) Il 25 ot­tobre gli ispettori potranno compiere la prima ricognizione nell’impianto nucleare di Qom, la cui esistenza è sta­ta svelata alla vigilia del summit di Gi­nevra.
Dopo i colloqui El Baradei ha tenuto a sottolineare come «il momento sia cruciale» e non ha nascosto le sue «in­quietudini » per il programma atomi­co dei mullah, anche se «non ci sono prove» che stia cercando di produrre la Bomba. Il buffetto e la carezza non hanno certo smosso il presidente Ah­madinejad che, con buona faccia to­sta, ha affermato: «Non ci sono ambi­guità » tra noi e l’Aiea.
In realtà le zone d’ombra esistono e lo stesso El Baradei ha lamentato la mancanza di «trasparenza» da parte dell’Iran. Parole prudenti che si tra­sformano in qualcosa di più allarman­te
grazie a indiscrezioni trapelate nelle ultime ore.
L’Iran — ha scritto ieri il
New York Times – è in possesso dei dati per co­struire un ordigno e sta lavorando per trasformarlo in una testata con la qua­le armare i suoi missili Shahab 3, in grado di raggiungere Israele. Le infor­mazioni, contenute in una bozza di rapporto dell’Aiea mai reso pubblico, in sostanza danno ragione all’analisi di quei paesi (Israele, Germania, Fran­cia) che ritengono che il programma nucleare di Teheran sia ad uno stadio avanzato.
Una conclusione che fino a poco tempo fa era giudicata prematura dal­l’intelligence statunitense e addirittu­ra
ritenuta irreale da El Baradei, che ha smentito l’esistenza del rapporto. Ma i dati raccolti dagli 007 oggi porta­no ad un quadro inquietante. E anche a Washington cominciano a pensare di aver sottostimato le capacità irania­ne. Un dubbio accompagnato da un al­tro quesito: in questi anni gli iraniani quanti altri impianti segreti simili a quelli di Qom hanno realizzato? In questa cornice il sì iraniano alle ispe­zioni a Qom presentato come una grande concessione potrebbe nascon­dere una manovra. Teheran permette di guardare in un sito dove forse c’è ben poco e intanto prosegue a lavora­re altrove.
Chi non si fida per nulla è sicura­mente
Israele che ha più volte ammo­nito la comunità internazionale a non fare il gioco degli ayatollah. Un appel­lo irrobustito da iniziative concrete. Ecco la seconda rivelazione della gior­nata. In occasione dell’ormai famoso «viaggio segreto» a Mosca il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha pre­sentato al Cremlino «prove imbaraz­zanti ». Di cosa si tratta? Una lista di scienziati russi impegnati nel proget­to di ricerca iraniano. Dunque la Rus­sia non solo vende tecnologia e assiste Teheran nella messa a punto della cen­trale di Busher, ma permette ai suoi tecnici di svolgere un ruolo primario.
Per alcuni si tratta di iniziative «in­dividuali », ma gli israeliani ritengono, invece, che gli scienziati non potrebbe­ro farlo senza avere il placet delle auto­rità.

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