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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.10.2009 Fatah al Islam attaccherà l'Europa
L'analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 ottobre 2009
Pagina: 25
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La via greca dei qaedisti libanesi decisi a semonare il terrore in Europa»

Come i terroristi islamici entrano in Europa. Sul CORRIERE della SERA di oggi, 03/10/2009, a pag.25, l'analisi di Guido Olimpio, dal titolo " La via greca dei qaedisti libanesi decisi a seminare il terrore in Europa ".

 lo sceicco Shaker al Absit, fondatore di Fatah Al Islam

WASHINGTON — Il suo nome è Mohammed Musa, alias Abu Mu­slim. Dirigente del gruppo qaedista libanese Fatah Al Islam, si è trasferi­to da alcuni mesi in Grecia insieme ad un nucleo di militanti. I suoi capi gli hanno affidato un compito spe­ciale: creare una base logistica dalla quale lanciare attacchi terroristici nel Paese e nel resto d’Europa.

L’operazione — secondo quanto rivelato da fonti libanesi — ha pre­so le mosse mesi fa. Gli estremisti di Fatah Al Islam, gruppuscolo for­matosi nel 2006 e duramente repres­so, hanno deciso di rialzare le loro quotazioni e di sollecitare l’investi­tura di Al Qaeda con azioni fuori dal teatro tradizionale. La missione è passata nelle mani di Mohammed Musa, un terrorista che ha dimostra­to le sue doti di pianificatore con uno spettacolare attentato contro il comando dell’intelligence a Dama­sco nel 2008.

L’emissario di Fatah ha quindi raggiunto la Grecia e affittato appar­tamenti sicuri dove si sono nascosti i primi mujaheddin. All’inizio figu­re di medio livello, quindi esperti in sabotaggio. Per favorire gli sposta­menti, alcuni corrieri hanno portato in Libano e Siria passaporti greci e di altri Paesi europei. Documenti fal­sificati o rubati poi utilizzati nel viaggio di ritorno dagli estremisti. Alcuni di loro sono rimasti in Gre­cia, altri si sono sparpagliati in Euro­pa e forse anche in Marocco. Una cel­lula, infine, si è mossa verso la regio­ne scandinava, sfruttando la tradi­zionale accoglienza in favore degli immigrati e una vigilanza ridotta da parte delle autorità locali.

Stabilito l’avamposto, i terroristi – aggiungono le fonti libanesi – sono entrati nella fase della ricognizione. E per questo, sempre grazie a documen­ti «buoni», hanno viaggiato a lungo attraverso l’Europa. Tra gli obiettivi considerati: il trasporto aereo, uffici governativi e luoghi simbolo. E’ pro­babile che passeranno alla terza fase — l’attacco — una volta che sarà arri­vato Abd Al Ghani Jawhar, considera­to dall’intelligence di Beirut un mago delle bombe. L’artificiere sarebbe an­cora in Medio Oriente, pronto a trasfe­rirsi in Grecia.

Il «sentiero ellenico» non è stato scelto a caso dai dirigenti di Fatah. Uno dei suoi personaggi più in vista, il siriano Abu Adnan, ha vissuto a lungo nel Paese, dove ha stabilito una buona rete di contatti. La Grecia — ha suggerito — è il trampolino ideale: c’è instabilità politica, la poli­zia deve preoccuparsi del rinascente terrorismo interno, con un passo sia­mo in Oriente (Turchia) e con l’altro nel cuore dell’Europa. Adnan avreb­be forse dovuto partecipare alla cam­pagna ma lo hanno catturato alla fi­ne di giugno in Libano. Sottoposto a duri interrogatori ha fornito informa­zioni cruciali sul network realizzato dal suo gruppo e sui piani futuri. Se fino ad ora la rete non è stata ancora toccata – spiegano ambienti della si­curezza — è perché è molto «chiu­sa » e protetta.

Adnan ha rivelato che il Fatah vuo­le unire due fronti. Il primo è quello nel Vicino Levante (Siria-Libano) do­ve ha come bersagli l’Unifil e i cittadi­ni stranieri. Il secondo è l’Europa. Un salto di qualità per dimostrare che l’oscura fazione merita la benedizio­ne della casa madre — che l’ha sem­pre guardata con sospetto — e smen­tire quanti la considerano una banda di avventurieri, pronti a mille giochi. Una cautela giustificata dalle origi­ni del micro-movimento. Il Fatah Al Islam è spuntato dal nulla nel nord del Libano, frutto di un patto di con­venienza — poi naufragato — tra i servizi segreti siriani e integralisti di varia origine (molti sauditi, kuwaitia­ni, palestinesi).

A giudizio di altri esperti, invece, i terroristi sono uno strumento nelle mani dell’Arabia Saudita. Prati­camente sconosciuti, hanno conquistato i titoli con una di­sperata rivolta, nel 2007, nel campo profughi libanese di Nahr El Bared. Spazzati via a colpi di cannone, hanno cer­cato di rinascere nonostante la perdita di pezzi importan­ti e del fondatore, lo sceic­co Absi, fatto sparire dai si­riani.

Rotti definitivamente i rapporti con Damasco — un distacco segnato da un’autobomba contro gli 007 — il gruppo ha trova­to rifugio nel Libano sud sot­to la guida di un nuovo «sheikh», Abd Al Rahman Awad. L’emiro ha at­tirato reclute e cercato finanziamenti puntando sulle attività criminali. Il traffico di clandestini, unito a quello di documenti, si è rivelato un formi­dabile mezzo per portare i mujahed­din in Europa.

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