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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.09.2009 Il nuovo libro di Giulio Meotti
Recensito da Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 settembre 2009
Pagina: 53
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Volti, gesti, parole: gli ebrei uccisi dal terrore quotidiano»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 26/09/2009, a pag.53, con il titolo " Volti, gesti, parole: gli ebrei uccisi dal terrore quotidiano ", Pierluigi Battista recensisce il nuovo libro di Giulio Meotti " Non smetteremo di danzare ", appena uscito. Ne consigliamo la lettura ai lettori di IC, che ben conoscono e apprezzano l'autore per il suo lavoro di giornalista al FOGLIO.


La copertina del libro e Giulio Meotti

Eccoli, i protagonisti e i testimo­ni di un libro di Giulio Meotti, Non smetteremo di danzare, pubblicato da Lindau. Sono i pa­renti di «civili innocenti, vecchi, donne e bambini ebrei assiepati nei bus che van­no a scuola, avventori di ristoranti e pizze­rie, gente ignara seduta al caffè in attesa della prossima fermata, nei centri e nelle città dove la società vive la sua quotidiani­tà ». Vittime. Bersagli del terrorismo. Col­pevoli semplicemente di vivere in Israele e di essere casualmente passati nel posto sbagliato nel momento sbagliato: quello scelto dai terroristi per esplodere e colpi­re quanti più civili israeliani sia possibile. Ecco i loro nomi, i loro volti, le loro vite. Non un numero freddo e astratto (per quanto i numeri non siano insignificanti: 1.723 morti e 10.000 feriti in dieci anni. Se si fa la proporzione, è come se negli Stati Uniti le vittime del terrorismo fossero sta­te 74.000, un’enormità). Ma un mosaico di vite spezzate. Le vite annientate di quelli che Meotti, parafrasando Primo Le­vi, definisce «i sommersi di Israele».

Ecco come si chiamano: Dickstein e Ga­vish, Ben-Shalom e Nehmed, Roth e Zer-Aviv, Avichail e Hatuel e tanti altri. Di­cono niente questi nomi? «Quando a En­tebbe nel 1976», scrive Meotti, «i terrori­sti dirottarono un aereo pieno di israelia­ni, selezionarono gli ostaggi a seconda del nome: trattennero i 105 ebrei a bordo dopo avergli fatto pronunciare il loro no­me, c’erano alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio che avevano giù vissuto quel­la selezione trent’anni prima». I dirottato­ri dell’«Achille Lauro» sapevano bene la colpa di Leon Klinghoffer, costretto sulla sedia a rotelle, prima di trucidarlo: era ebreo. E Daniel Pearl in Pakistan? Prima
di sgozzarlo, i suoi assassini lo costrinse­ro a scandire il proprio nome e anche: «Mio padre è ebreo, mia madre è ebrea, io sono ebreo». Non c’entrava la guerra tra israeliani e palestinesi e nemmeno il diritto dei palestinesi a uno Stato. C’entra­va il fatto che le vite da annichilire appar­tenessero a degli ebrei. Ai ragazzini adde­strati alla guerra santa insegnano che i «maiali ebrei» sono l’incarnazione di ogni male, meritevoli di essere soppressi in quanto tali. Ecco gli esiti tragici di que­sto insegnamento omicida, con il volto delle vittime narrate con infinita pietas in questo libro. Nessun risarcimento sto­rico. Nessuna giustificazione per una guerra di indipendenza nazionale. Nes­sun attacco al nemico in armi. L’attacco è a chi porta quei nomi, allo scopo di elimi­narli dalla faccia della terra. L’attacco non è a una trincea o a un comando mili­tare: è diretto contro una pizzeria, una di­scoteca, un autobus scolastico, un risto­rante, un albergo, una stazione ferrovia­ria. Dovunque ci siano civili da stermina­re. Civili, non militari.

Civili come Rachel Teller, una bambi­na di cui la madre ha deciso di donare cuore e reni come «risposta a quelle jene». Civili come Ron, «il cui nonno sfuggì ai nazisti e la cui figlia è stata ucci­sa
su un autobus». O Tzipi, cui hanno pu­gnalato il padre rabbino. O Menashe che «ha perso il padre, la madre, il fratello e il nonno in una notte di terrore». Miriam «si è vista portare via il marito musicista, dopo che erano arrivati dall’Unione Sovie­tica ». Dror «ha perso gran parte della fa­miglia nell’Olocausto e ha sepolto il figlio con l’inseparabile Talmud babilonese». Il dottor Picard, che aveva «lasciato la Fran­cia, dove i suoi nonni sfuggirono ai carri piombati di Vichy, per perdere un figlio in un seminario ebraico». Sono storie e personaggi che rivelano, anche sul piano del «vissuto», come usa dire, la continui­tà tra due momenti della storia: una conti­nuità che, tra l’altro, spiega molto bene l’ossessione negazionista di chi, convin­cendosi dell’inesistenza dello sterminio di ieri, rende legittima la volontà di ster­minio di oggi.

L’impresa di Meotti, il suo ricercare l’umanità al posto dell’astrazione numeri­ca, il dramma reale al posto delle conside­razioni
geopolitiche, rende ancora più atroce a assurdo, non giustificabile in nessuna logica bellica, l’assassinio siste­matico degli inermi. Uccidere quanti più ebrei possibile non ha nessuna relazione con la possibilità di risarcire i palestinesi dalle loro privazioni. È un orrore in sé, a prescindere dalle motivazioni di cui si ammanta.

Scrive Roger Scruton nella prefazione al libro che Meotti «racconta la storia in dettaglio»: il dettaglio delle vite stronca­te che generalmente svaniscono nella di­menticanza collettiva. Aggiunge Robert Redeker, nella sua lettera all’autore scrit­ta dal «luogo segreto» in cui è confinato dopo le minacce dei fondamentalisti, che «di fronte all’orrore della Shoah e dello sterminio degli ebrei europei si poteva pensare che non si sarebbe mai più trova­to un solo uomo in tutto il pianeta che si richiamasse all’antisemitismo». Quella speranza si è rivelata fallace. E il libro di Meotti lascia misurare i costi spaventosi che la rinascita dell’antisemitismo, nutri­to di un odio assoluto e inestinguibile per Israele in quanto tale e per i suoi citta­dini, sta imponendo a tutto il pianeta, e
non solo a Tel Aviv o Gerusalemme.

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