Assemblea Onu, cronache e analisi. Abbiamo scelto l'articolo di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE, Carlo Panella su LIBERO, tre analisi del FOGLIO., dall'OPINIONE Michael Sfaradi.
In altra pagina commentiamo il MANIFESTO
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Gli amici di Ahmadinejad ora sono in Svezia "
«Vergogna», ha detto ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante il suo discorso a New York, rivolgendosi «a chi è rimasto seduto, in questa sessione dell’Assemblea dell’Onu, a legittimare chi nega la Shoah e minaccia di sterminio gli ebrei, vergogna a chi non capisce che il matrimonio fra fondamentalismo religioso e armi di distruzione di massa minaccia tutto il mondo». E peccato davvero che questa vergogna ricada sulla Comunità Europea, la cui presidenza svedese, rappresentata dal ministro degli Esteri Carl Bildt, ha dichiarato di essere rimasta seduta con altri membri dell’Ue (non l’Italia) perché il discorso di Ahmadinejad non aveva superato “le linee rosse” che si era data l’Europa rispetto alla possibilità di abbandonare l’aula.
Dunque, per responsabilità europea, lo spettacolo politico cui il mondo ha assistito durante l’assemblea generale dell’Onu è stato duplice, e il ruolo europeo non è stato certo quello dell’eroe: il peso politico maggiore l’ha avuto alla fine la sensatezza americana e di alcuni Paesi europei di fronte al pericolo iraniano, mentre la Svezia ha svolto una parte frigida e invecchiata.
Si sono visti sul proscenio un sussulto e anche una manovra politica partita da Obama, che ha fatto onde fino a spostare il colosso russo: il presidente Dmitry Medvedev, con un vero slittamento, si è avvicinato al presidente americano e ha concesso che «le sanzioni portano raramente risultati positivi, ma in alcuni casi sono inevitabili». È facile arguire che il cambiamento di linea sia legato alla rinuncia allo scudo spaziale sull’Europa dell’Est. Ovvero, alla fine, nonostante la politica della mano tesa, per ora invece Obama le mani le ha messe avanti. Lo hanno spinto certo la risposta negativa dell’Iran sulla ridiscussione del suo programma atomico («non se ne parla nemmeno», aveva già risposto Ahmadinejad) e i tempi stretti.
Sembra che in molti lo abbiano ascoltato e che ormai la linea morbida verso l’Iran sia in fase di correzione alla Casa Bianca e nelle cancellerie che contano: il presidente francese Sarkozy ha reso il concetto molto chiaro durante la riunione del Consiglio di sicurezza, quando ha richiamato al pericolo pressante e evidente che l’Iran può rappresentare se riuscirà nel suo intento nucleare.
Mentre il presidente russo Medvedev cambiava linea, durante il discorso di Ahmadinejad sono stati 12, fra cui l’Italia, i Paesi che sono usciti mentre il presidente iraniano come al solito diffondeva la tesi sulla congiura ebraica per dominare il mondo, il genocidio dei palestinesi, il razzismo di Israele, le sue disumane politiche in cui si sterminano donne e bambini. Della Shoah aveva già parlato nelle interviste distribuite con generosità prima dell’intervento all’Onu. E della determinazione a sterminare Israele tutta aveva ampiamente dato conto venerdì scorso durante il “giorno di Gerusalemme” indetto a Teheran in cui quando si inneggia alla Città Santa, la si intende come judenrein (libera da ebrei).
Ma il rappresentante svedese, che già aveva mostrato i suoi colori nel considerare pertinente alla “libertà di opinione” il tipico blood libel del suo quotidiano Aftonbladet che aveva sostenuto che i soldati israeliani uccidono i palestinesi per rubarne gli organi, ha scelto di restare seduto a ascoltare Ahmadinejad: uscivano invece l’Italia, la Francia, la Germania, la Danimarca, l’Ungheria, l’Inghilterra insieme agli Usa, al Canada, all’Argentina, all’Australia, alla Nuova Zelanda. È rimasto ad ascoltare mentre Ahmadinejad demonizzava Israele e lodava la trasparenza e la legittimità delle sue elezioni.
Il Foglio- " Il ballo atomico "

a destra Neville Chamberalin
Milano. La politica multilaterale di Barack Obama ha ottenuto un doppio, ma mini, successo diplomatico nell’ancora lunga, difficile e complicata campagna per fermare i programmi atomici degli ayatollah iraniani. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, per la prima volta guidato da un presidente americano, ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna le Nazioni Unite a battersi per un mondo senza armi nucleari e per ridurre il rischio che la tecnologia atomica finisca nelle mani dei terroristi. Dietro la retorica onusiana e il velleitario impegno globale a denuclearizzare il pianeta si cela il tentativo obamiano di imbrigliare le manovre iraniane e nordcoreane dentro una recinzione di regole fissate dal Consiglio di sicurezza. In realtà Obama non è riuscito a ottenere da Russia e Cina il via libera per indicare esplicitamente i casi di Iran e Corea del nord, ma secondo gli uomini della Casa Bianca si tratta comunque di un risultato importante perché ora il Consiglio di sicurezza avrà maggiore autorità formale per far rispettare le direttive del Trattato di non proliferazione, anche agli stati come Iran e Corea, oltre a India, Pakistan e Israele, che non hanno aderito o ratificato il testo. Gli scettici sostengono che Obama stia riponendo troppa fiducia in un organismo che raramente si è dimostrato efficace e in un processo di ratificazione di un trattato che è molto probabile possa durare parecchi anni. In vista dei colloqui con l’Iran del primo ottobre in Turchia, dove secondo Hillary Clinton l’America porrà subito sul tavolo la questione nucleare, Obama ha incassato un’esplicita disponibilità russa a prendere in considerazione un ventaglio di sanzioni economiche serie e dure nei confronti di Teheran, se il regime islamico continuerà nel suo proposito di dotarsi di un arsenale militare atomico. Obama e il presidente Dmitri Medvedev hanno detto di essere pronti a fare la loro parte per ridurre le testate nucleari mondiali, ma anche che ora spetta agli iraniani rinunciare allo sviluppo militare del loro programma nucleare. “Credo che dobbiamo aiutare l’Iran a prendere la decisione giusta – ha detto Medvedev al termine del colloquio con Obama – Raramente le sanzioni producono risultati buoni, ma in alcuni casi le sanzioni sono inevitabili”. Il via libera russo e il costante scetticismo di Londra e Parigi hanno convinto Teheran a offrire a Obama un vacuo incontro tra gli esperti nucleari dei due paesi. Il balletto continua.
Il Foglio- " L'uomo nero di Obama è Biden, l'anti Cheney che vuole lasciare Kabul " Milano.
Joe Biden
L’uomo dietro la possibile, ma non ancora certa, svolta afghana di Barack Obama è il suo vicepresidente Joe Biden. Il ruolo di Biden, decano della politica estera del Partito democratico, è la perfetta nemesi del suo predecessore Dick Cheney. Così come Cheney è stato il primo ispiratore della risposta aggressiva di George W. Bush agli attacchi dell’11 settembre, Biden interpreta per Obama la parte dell’advisor che consiglia prudenza e cautela sulle questioni militari. Obama, rispetto a Bush, è entrato alla Casa Bianca con un profilo ben più autonomo dal giudizio del suo vicepresidente, ma le ultime indiscrezioni raccontano di un Biden che sta vincendo contro Hillary Clinton, contro i generali David Petraeus e Stan McChrystal e contro il capo di stato maggiore Mike Mullen, il dibattito sulla ridefinizione della strategia politica e militare in Afghanistan e il passaggio da un’operazione ad ampio raggio contro la guerriglia talebana a una più limitata azione contro al Qaida. Non è stato sempre così. Quando, alle primarie 2008, Obama e Biden erano avversari, il falco era l’attuale vicepresidente e le critiche a Obama erano rumorose. Nel 2002, Biden sosteneva che “dobbiamo fare qualsiasi cosa serva, perché la storia ci giudicherà malamente se lasceremo evaporare la speranza di un Afghanistan liberato solo perché non saremo riusciti a mantenere la rotta”. Ora invece è proprio lui, l’anti Cheney, a voler circoscrivere l’impegno in Afghanistan e Obama sembra orientato a seguire il suo suggerimento, anche se oggi il generale Mc- Chrystal presenterà al Pentagono la richiesta di nuove truppe per portare a termine la missione più ampia indicata a marzo dallo stesso Obama. E’ possibile anche che il presidente stia semplicemente prendendo tempo e voglia dare l’impressione alla sua base elettorale di aver valutato ogni ipotesi possibile, compresa quella meno bellica, prima di assecondare le richieste dei suoi generali
Il Foglio- " Burocrate amico dei tiranni, Ziegler, l'uomo di Gheddafi all'Onu "
Jean Ziegler
Roma. E’ uno dei più potenti apparatchik del Palazzo di vetro. Jean Ziegler è stato rieletto nella commissione dei saggi che fa da organo di consulenza al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Accademico della Sorbona, svizzero, Ziegler è l’uomo forte di Gheddafi all’interno delle organizzazioni internazionali. Prima di finire ai diritti umani, Ziegler è stato Commissario speciale per il diritto al cibo. Durante il suo mandato, la lotta alla fame ha assunto una dimensione antioccidentale e terzomondista. Nel marzo 2004 l’università belga di Mons- Hainaut lo ha insignito di una laurea ad honorem chiamandolo “moderno Condorcet”, il filosofo illuminista dei diritti umani. I suoi volumi sono best seller in Francia e il ministero della Cultura di Parigi lo ha onorato con l’Ordine delle arti e delle lettere. Ziegler è un darling dei media e delle lettere europee. Sartriano e marxista non allineato, Ziegler è stato espulso dal Partito comunista francese quando la sua partigianeria per l’anticolonialismo algerino assunse toni violentissimi. Negli anni Sessanta l’inizio della carriera all’Onu, come inviato in Congo. I giornali lo hanno immortalato in molte pose guerresche. Nel 1976 Ziegler brandisce un kalashnikov assieme ai miliziani del Fronte di liberazione eritreo. Tre anni dopo è in cima a un carro armato americano ad Hanoi. Deputato del tranquillo Partito socialdemocratico svizzero, negli anni 70-80 Ziegler scrisse opuscoli terzomondisti dai titoli infuocati: “Man bassa sull’Africa”, “Restituite i fucili!”, “Contro l’ordine del mondo”. Antisovietico, ammiratore di Fidel Castro e del Nicaragua sandinista, dopo la caduta del Muro si è convinto che ormai l’unico argine alla “barbarie capitalista” non è più il socialismo, ma il giustizialismo planetario. Unica risposta possibile all’“ideologia neoliberale che legittima i mercati unificati e diffama la legge” è dunque la “globalizzazione della giustizia”. “Visitatore” sul campo di tutte le guerriglie più spietate, Ziegler venne reclutato dal dittatore etiope Mengistu per coprirne i crimini. Amico e sostenitore di un altro noto ginevrino, l’islamista Tariq Ramadan, Ziegler ha un svolto un ruolo di prim’ordine nelle battaglie fondamentaliste. Nel 1993 Ramadan protestò contro la messa in scena dell’opera di Voltaire su Maometto. Fu la moglie di Ziegler, Erika Deuber, direttrice degli affari culturali di Ginevra, a ritirare la rappresentazione. Nel 1989, quattro mesi dopo l’attentato su Lockerbie che costò la vita a duecento cittadini occidentali, Ziegler istituì il premio dei diritti umani dedicandolo a Gheddafi. Nel 2002 questo premio è stato assegnato a un caro amico di Ziegler, Roger Garaudy, che ha definito Auschwitz “una menzogna”. Il premio è andato poi a Louis Farrakhan, il leader nero del movimento “Nazione dell’Islam”, che ha reso omaggio all’imam Khomeini e che ha definito gli ebrei statunitensi. Bollando poi l’ebraismo “una religione da fogna”. Ziegler è amico anche di Mugabe, del quale nel 2002 ha detto che “ha la sua storia e la sua moralità che lo accompagnano”. Nel 2002 fece visita a Saddam Hussein in Iraq e nel 2006, poco prima della guerra in Libano, fece una dichiarazione in cui diceva di “rifiutarsi di considerare Hezbollah una organizzazione terroristica, ritenendola invece un movimento di resistenza nazionale”. Specificando anche di “comprendere il fatto che Hezbollah rapisca soldati israeliani”. Il magazine francese L’Hebdo lo ha ribattezzato “il Nobel di Gheddafi”. Il premio istituito da Ziegler è poi andato al premier malese Mahathir Bin Muhammad, quello noto per aver detto che “gli ebrei controllano il mondo”. Tra i premiati da Ziegler figurano poi “i bambini palestinesi che lanciano pietre”. Da membro del Consiglio dell’Onu, Ziegler ha detto che Israele ha eseguito esperimenti sul cervello degli stessi bambini palestinesi. Così vanno le cose a Ginevra. “una sottospecie delle sanguisughe”.
Libero- Carlo Panella: " Ma è stato lo stesso palco delle Nazioni Unite a sdoganare l'antisemitismo dei dittatori "


«Quello dell’Onu, non è un Consiglio di Sicurezza, ma il Consiglio del terrore e delle sanzioni», questa sentenza di Gheddafi, ben più del mieloso intervento di Barack Obama, sintetizza la grande svolta che si è operata nell’assemblea generale dell’Onu. Parole non nuove, ripetute a New York ormai da quattro anni da Ahmed Ahmadinejad per negare legittimità ad una legalità internazionale delle Nazioni Unite basata sulla egemonia delle nazioni del patto antinazista. La vocazione dell’Onu, disegnare una legalità internazionale sulla base del patto antinazista, quale valore irrinunciabile è oggi rifiutata da un fronte ampio che lega il populismo sanguinario dell’Iran khomeinista, al caudillismo autoritario del venezuelano Chavez, dell’ex cocalero boliviano Evo Morales e di tanti paesi del blocco dei Non Allineati che, con la benedizione della Cuba di Fidel Castro, hanno stretto negli ultimi anni un raccordo diplomatico forte con l’Iran.
I poteri decisionali tutti concentrati nel Consiglio di Sicurezza, il seggio permanente e il diritto di veto patrimonio esclusivo dei paesi leader della coalizione antinazista (Usa, Inghilterra, Francia, Urss e Cina), sono connaturati alla funzione dell’Onu quale continuità - sul terreno dei valori - allo straordinario impegno che queste nazioni dispiegarono sul campo per sconfiggere il nazifascismo in Europa e in Asia. Questi, sono i valori oggi contestati da chi nega legittimità alla struttura stessa del Consiglio di Sicurezza e non è un caso, che questa negazione sia un tutt’uno con la riproposizione di un antisemitismo su scala planetaria, che porta Ahmadinejad, come Gheddafi (ma non in sede Onu) a denunciare Israele come punta di diamante del “complotto ebraico mondiale”. Qui sta il successo che indubitabilmente Ahmadinejad ha conseguito sulla scena internazionale: ha reso ormai usuale la riproposizione nella sede Onu delle paranoie del più becero antisemitismo, lo ha sdoganato, ha infranto il tabù che per sessanta anni lo ha espulso dal dibattito internazionale. Ahmadinejad, lega la volontà di distruggere Israele al ruolo «nefasto che gli ebrei ebbero nella storia», come scrisse Khomeini, la collega al ruolo nefasto della “lobby ebraica” e nega la legittimità stessa dell’Onu a causa del “crimine” compiuto nel 1947 con decisione di creare lo Stato di Israele. Dalla tribuna dell’Onu parlano ormai liberamente leader che dell’essenza più profonda del nazifascismo, l’odio antisemita, si fanno portatori. Per questo è stata vergognosa la decisione della Svezia, presidente dell’Ue, di non abbandonare la sala, quando ha preso la parola Ahmadinejad. Ancor più vergognosa perché i diplomatici svedesi hanno avuto modo da anni di prendere atto della complessità e pericolosità della posizione di Ahmadinejad, che va ben oltre la negazione dell’Olocausto. Per questo, Nethanyau ha urlato al mondo : «Non permetteremo a quel leader pericoloso di minacciarci con una seconda Shoah». Per questo, il dialogante Obama appare votato al fallimento: non ha compreso la piattaforma politica degli avversari, come avvenne già una volta, in Europa, settanta anni fa. Per questo, la decisione degli Usa di Obama di accettare tutto, anche gli sgarbi diplomatici più insolenti dell’Iran, la scelta di lasciare isolata l’opposizione dell’Onda Verde iraniana, in nome di una volontaristica riproposizione del valore salvifico del “dialogo”, appare ingenua ed opportunistica. L’Iran non punta a un riconoscimento del suo legittimo peso geopolitico, come Obama crede. L’Iran vuole l’abolizione del valore fondante del contrasto intransigente al nazifascismo che la nascita dell’Onu incarna. L’Iran ripropone oggi l’essenza antisemita. Quando Obama se ne renderà conto, potrà essere troppo tardi.
L'Opinione-Michael Sfaradi: " Non nutrite i coccodrilli "
Il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon, nell'aprire i lavori della 64ª Assemblea Generale, ha invitato oltre 120 capi di Stato e di governo a collaborare davanti alle sfide comuni come il clima, il nucleare e la povertà. Queste le buone intenzioni, la situazione reale, invece, si è capita quando hanno preso la parola il leader libico Muammar Gheddafi e il presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad. Sfruttando il palcoscenico internazionale Gheddafi ha dichiarato che la Libia non collaborerà mai con la carta dell'Onu. Mentre parlava ne teneva in mano una copia e chi ha visto le immagini avrà notato20che la tentazione di strapparla è stata forte, ma per un gesto di sfida come questo occorre vero coraggio come quello che Haim Herzog dimostrò nel 1975 quando strappò, durante un suo celebre discorso, la risoluzione Sionismo = Razzismo. Dopo qualche ora è stato il turno di Mahmud Ahmedinejad che, secondo copione, ha attaccato Israele. La delegazione israeliana, visti i precedenti, aveva deciso di boicottare il discorso del leader iraniano a prescindere, mentre alcune altre delegazioni occidentali hanno voluto palesemente manifestare il loro dissenso abbandonando l'aula mentre Ahmedinejad parlava. Il presidente iraniano ha criticato l'Occidente, affermando che non è possibile che una minoranza, cioè quella formata dalle nazioni democratiche e più evolute in tutti i campi dell'umano sapere, domini la politica, l'economia e la cultura mondiale. Con una sfacciataggine unica ha poi difeso le elezioni dello scorso giugno che lo hanno confermato al potere e che hanno aperto, a suo dire, un nuovo capitolo per il suo paese…ci auguriamo non tragico. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante un'intervista rilasciata al quotidiano israeliano "Haaretz", ha definito "positivi" le affermazioni del presidente Obama, ma ha anche dichiarato che Israele non acce tterà un ritorno ai confini del 1967 e per quello che riguarda gli insediamenti ha detto: "250.000 persone vivono in queste comunità. Hanno bisogno di asili, di scuole, di ospedali. Io mi sono impegnato a non costruire nuovi insediamenti. Ma la gente deve vivere, e non la si può congelare la vita". Viste le minacce di distruzione totale che arrivano da Teheran alle quali fanno eco le dichiarazioni di Hetzbollah dal sud del Libano, visti i comportamenti "ambigui" di Siria e dell'ANP, non è chiaro solo a chi non vuole capire, che la questione "insediamenti" è solo una scusa in attesa di quegli eventi, ben più gravi e pericolosi, che si stanno preparando da ormai troppo tempo. C'è da chiedersi se la politica estera fin qui seguita dal presidente statunitense Barack Obama sia recepita in maniera corretta. Il timore è che dittature rampanti come quella iraniana, libica, venezuelana, siriana o nordcoreana, solo per dare alcuni esempi, spinte o sobillate da quell'incubo mondiale che è Al Qaeda, interpretino queste aperture come segnali di debolezza e che pensino di approfittarne per mettere il mondo davanti a "fatti compiuti" più gravi di quelli che abbiamo visto negli ultimi anni. Siamo sicuri che il mondo occidentale o una parte di esso senta minacciata la sua libertà e che non rimarrebbe inerte se questa libertà fosse messa in pericolo. Nella filosofia che caratterizza l'attuale amministrazione democratica c'è l'idea che la democrazia non può essere imposta anche se la Germania, l'Italia ed il Giappone, prima della seconda guerra mondiale tutto erano tranne che nazioni democratiche. Solo alla fine di una guerra che è costata milioni di vite il loro aspetto è cambiato, con la forza, ed oggi sono fra le nazioni al vertice del mondo democratico. Allora si provò a trattare con Hitler o di accontentarlo invece di fermarlo, senza riuscire ad evitare il peggio. (come disse Winston Churchill, all'epoca: "un pacificatore è uno che nutre un coccodrillo sperando di essere mangiato per ultimo".) Questa è la prova che la trattativa è un mezzo che con le dittature non ha mai funzionato. Se il mondo vuole evitare nuove tragedie bisogna fermare questi pericolosi dittatori che ci stanno trascinando, con i loro ricatti e le loro minacce, verso un punto di non ritorno.
Per inviare al Giornale, il Foglio, Libero, L'Opinione il proprio parere, cliccare sulle e-mail sottostante.