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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.09.2009 Incontro Netanyahu-Abu Mazen-Obama
Cronaca di Maurizio Molinari. Intervista al segretario dell'organizzazione della conferenza islamica di Alessandra Farkas

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Alessandra Farkas
Titolo: «Medio Oriente, via al dialogo. E' ora di prendersi dei rischi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/09/2009, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Medio Oriente, via al dialogo. E' ora di prendersi dei rischi". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, l'intervista di Alessandra Farkas a Ekmeleddin Ihsanoglu, segretario generale del­l’Organizzazione della conferenza islamica (Oic) dal titolo " Un incontro reso possibile da un presidente diverso ". Grazie all'intervista di Alessandra Farkas conosciamo la posizione dell'Oic, identica a quella dei dittatori dei Paesi islamici ostili a Israele. Ecco gli articoli:

                    

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Medio Oriente, via al dialogo. E' ora di prendersi dei rischi "

 Maurizio Molinari

Il Waldorf Astoria palcoscenico di un debole accordo per nuovi negoziati fra Israele e palestinesi, l’Empire State Building preda dei manifestanti anti-Ahmadinejad e il Bronx che respinge un blitz degli inviati di Gheddafi: il Medio Oriente si catapulta a New York in un anticipo di ciò che avverrà con i discorsi all’Assemblea Generale dei leader di Iran, Libia, Israele e Autorità nazionale palestinese.
L’intesa al Waldorf Astoria è avvenuta nella Basildom Room dove il presidente americano Barack Obama ha ottenuto dai leader israeliano e palestinese, Benjamin Nethanyau e Mahmud Abbas (Abu Mazen), il via libera a dare inizio a «negoziati senza precondizioni sullo status definitivo» come ha spiegato il mediatore Usa George Mitchell. «L’obiettivo della mia amministrazione è di raggiungere una pace comprensiva e durevole in Medio Oriente - sono state le parole di Obama - che includa una composizione del conflitto e porti a due Stati, Israele e Palestina, nei quali entrambi i popoli vivano in pace e sicurezza».
Preceduta da colloqui bilaterali di Obama con i due leader, la seduta trilaterale ha visto il presidente dire che «è arrivato il momento di prendersi dei rischi» costruendo sulla base dei risultati ottenuti negli ultimi mesi. «I palestinesi hanno migliorato la sicurezza e gli israeliani hanno facilitato i movimenti dei palestinesi» ha sottolineato Obama, plaudendo alle misure adottate dalle due parti e rinnovando la richiesta agli Stati arabi di «passi concreti per promuovere la pace».
Netanyahu e Abbas all’uscita dei colloqui hanno confermato che i «colloqui sullo status permanente inizieranno presto» ma su cosa avverrà nelle prossime settimane c’è incertezza. Mitchell vedrà inviati delle due parti già domani a New York e la prossima settimana vi sarà la prima seduta delle trattative a Washington ma di concordato al momento non c’è né l’agenda né il formato. Ad ammetterlo è lo stesso Mitchell: «Gli Stati Uniti avranno una parte attiva ma ciò non impedisce colloqui bilaterali».
Senza contare il silenzio sul ruolo del Quartetto (Onu, Ue, Russia e Usa) ovvero sul coinvolgimento di russi ed europei. Ad aumentare i dubbi vi sono le indiscrezioni su possibili accordi segreti: fonti diplomatiche hanno svelato al «Washington Times» che Netanyahu avrebbe offerto un congelamento degli insediamenti per 6-9 mesi in cambio della costruzione di almeno 2500 case. Di sicuro Obama e Mitchell abbassano la pressione sugli insediamenti in Cisgiordania: i negoziati partiranno senza il «congelamento totale» che in maggio la Casa Bianca aveva chiesto al governo di Gerusalemme.
Il tutto è avvenuto in un Waldorf Astoria invaso da diplomatici e 007 mediorientali, con piatti di humus andati a ruba ai tavoli del bar e servizi di sicurezza rivali che si intruppavano negli stessi ascensori. Nel resto di New York intanto il Medio Oriente si materializzava sul grattacielo dell’Empire State Building che, assediato dagli oppositori di Ahmadinejad, ha accettato di tingersi di verde nella giornata di giovedì in omaggio al movimento di protesta di Mir Hossein. L’elegante oasi bianca di Riverdale nell’interetnico Bronx è stata invece teatro di un blitz di diplomatici libici, che fingendosi imprenditori di un imprecisato Paese arabo, hanno tentato di affittare una grande villa per il colonnello Gheddafi, ancora alla ricerca di una sistemazione definitiva. Ma si sono traditi quando hanno chiesto al proprietario se il giardino era «sufficientemente grande per una tenda». Mangiata la foglia, il noto immobiliarista newyorchese John Fitzgerald li ha messi alla porta.

CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Un incontro reso possibile da un presidente diverso "

 Ekmeleddin Ihsano­glu

NEW YORK — «Potrebbe essere la vigilia di una svolta storica in Me­dio Oriente. Lo spero con tutto il cuore». Parla Ekmeleddin Ihsano­glu, 66enne Segretario generale del­l’Organizzazione della conferenza islamica (Oic), la seconda più gran­de organizzazione intergovernativa dopo l’Onu, con 57 Stati membri in 4 continenti.
«Il vertice trilaterale Obama-Ne­tanyahu- Abu Mazen», spiega al Corriere Ihsanoglu davanti a una tazza di caffè nel ristorante del­l’Onu «è possibile grazie a un presi­dente americano diverso da tutti gli altri».
Cosa intende dire?
«E’ la prima volta da quando 60 anni fa è iniziata la questione medio­rientale che un presidente Usa deci­de di farsi carico del problema degli insediamenti a inizio mandato e non alla fine. Obama è stato il pri­mo
a riconoscere la sofferenza dei palestinesi, collegandola a quella de­gli ebrei e degli afro-americani».
Qual è lo scoglio maggiore nel cammino verso la pace?
«Gli insediamenti. Il dialogo non può iniziare ex novo ma deve ripren­dere dalle decisioni prese ad Anna­polis. Sbaglia chi pensa che un go­verno di destra israeliano non sia ca­pace di arrivare a un accordo. Basta pensare a Begin».
Come è cambiata la politica ame­ricana in Medio Oriente?
«Il discorso di Obama all’Universi­tà del Cairo ha inaugurato una nuova era, gettando per la prima volta un ponte vero tra Stati Uniti e mondo islamico, basato su due principi car­dine: rispetto e interessi reciproci».
E il braccio di ferro con l’Iran sul nucleare?

«La posizione del presidente Oba­ma su questo punto è chiara: ogni nazione della terra ha diritto di svi­luppare la propria tecnologia nuclea­re a fini pacifici. Certo, alcuni Paesi si rifiutano di aprire le porte agli in­vestigatori dell’Aiea e dell’Npt, però è anche vero che l’Iran è vittima di un doppio metro di giudizio».
In che senso?
«Come dice bene l’ex presidente americano Jimmy Carter, non si può condannare un Paese come l’Iran— che continua a insistere di voler usa­re il nucleare a scopi civili — tacen­do di fronte alle 100 testate nucleari
in mano a Israele. Per non parlare poi di quelle negli arsenali di India e Pakistan».
Che cosa propone?
«L’Oic auspica la creazione di una zona franca in Medio Oriente. In sostanza si tratterebbe di bandire tutte le armi di distruzione di mas­sa dalla regione, seguendo l’esem­pio del Kazakhstan, che dopo la ca­duta del Muro di Berlino ha rinun­ciato alle testate in suo possesso dai tempi dell’Unione Sovietica, inaugu­rando un’era senza nucleare in tut­ta l’Asia centrale».

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