Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/09/2009, a pag. 14, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Obama ottiene il suo vertice. Ma nessuno crede a una svolta ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'intervista di Francesco Battistini a Benny Morris dal titolo "Bibi non rinuncia alla capitale Abbas non crede nei due Stati ". Dal MESSAGGERO il nostro commento all'articolo, a pag. 14, di Eric Salerno dal titolo " Vertice con il premier israeliano e il presidente palestinese ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Obama ottiene il suo vertice. Ma nessuno crede a una svolta "
Fiamma Nirenstein
Dunque, Obama avrà il suo vertice. Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, e il presidente palestinese Abu Mazen partono oggi per New York dove, domani, prima dell’Assemblea Generale dell’Onu di mercoledì, si terrà un incontro con il Presidente degli Stati Uniti. Obama vedrà prima un leader alla volta e poi tutti e due insieme. Una bella fotografia senza molta sostanza. Abu Mazen è stato il più recalcitrante, e ha riempito la settimana scorsa di accuse contro Netanyahu; d’altra parte il premier israeliano, che ha ripetuto che le costruzioni negli insediamenti subiranno solo un blocco parziale, insiste per riprendere i colloqui che furono interrotti da un ennesimo rifiuto palestinese nel 2008.
Abu Mazen accusa Bibi di restare attaccato alla politica degli insediamenti, e dopo l’incontro di sabato con Mubarak al Cairo e con Abdullah ad Aqaba, si è rafforzato nell’idea che la palla debba essere giocata in campo israeliano; la strada l’ha già tracciata Obama, quella di un completo «congelamento» degli insediamenti, fra cui Abu Mazen considera anche Gerusalemme, come precondizione. È una novità assoluta, finora i colloqui si sono affrontati senza ostacoli preventivi. Ma ora Abu Mazen insiste a porre la precondizione di Obama, e il suo inviato George Mitchell nei giorni scorsi due volte a Ramallah e due a Gerusalemme, ha ottenuto qualcosa: Bibi fermerà le costruzioni private per sei mesi, ma non strutture come scuole, asili nido, ospedali, cioè gli edifici pubblici. Una foglia di fico per l’opinione pubblica dei settler che temono di essere estromessi dalle loro case al secondo round. Ma il portavoce e negoziatore Saeb Erakat ha dichiarato che «solo dopo l’Assemblea generale, quando Mitchell tornerà nell’area, forse ci saranno le condizioni per riprendere i colloqui».
Che cosa significa la neghittosità palestinese e invece l’attivismo di Israele? Per Netanyahu si tratta di recuperare il rapporto con Obama, difficile dall’inizio. Spera solo che, come hanno promesso gli americani, la pillola possa essere addolcita da qualche progresso sulla linea proclamata da Obama: una pace di area col riconoscimento generale di Israele. Per ora non ci sono segnali che funzioni, ma Israele, minacciata al nord dagli Hezbollah finanziati dall’Iran, e a sud da Hamas, anch’esso ben sostenuto da Ahmadinejad, valuta nei rapporti con gli Usa una variabile iraniana che determina il valore della moneta di scambio. Per Israele è molto importante non innervosire gli Usa e allargare la benevolenza araba mentre l’Iran ha già abbastanza uranio arricchito secondo l’IAEA, l’agenzia atomica, per produrre la bomba.
Abu Mazen la vede assai diversamente: la concorrenza di Hamas gli proibisce di apparire prono ai desideri americani e israeliani. Vuole il consenso di chi non vorrà mai una pace con il nemico sionista e miscredente. Lo si è visto anche dal massimalismo a tratti filo-terrorista del congresso di Fatah, e dalla propaganda di questi giorni: molta retorica, molta esaltazione della violenza e neanche l’ombra di un riconoscimento dello Stato ebraico. In secondo luogo, Abu Mazen si fida molto dell’attuale trend politico: Obama non vede nel rifiuto arabo e nel terrorismo, ma piuttosto negli insediamenti il maggiore ostacolo da battere per la pace. Abu Mazen conta, in terzo luogo, sugli europei: Solana a luglio ha dichiarato a Londra che se non ci sarà un compromesso, l’Ue dovrà riconoscere unilateralmente lo stato palestinese nei confini del ’67. I grandi problemi sono stati accantonati. Profughi? Sicurezza? Gerusalemme? Tutte cose che per Solana si possono vedere poi. Voci di ambiente diplomatico, dicono che Obama soppesa e valuta positivamente l’idea. Insomma Abu Mazen può pensare che, se temporeggia un po’, tutto gli verrà servito su un piatto d’argento, e sia Fatah sia Hamas potranno studiare il loro prossimo passo di conquista. L’Onu sembra davvero il migliore sfondo per l’avvio di questa strategia, e Obama lo sa: l’Afghanistan è in un momento molto problematico, la riforma sanitaria ha creato una quantità di impicci, la Casa Bianca aspetta per domani i due ospiti che devono portare un diplomatico attimo di respiro e una bella «photo opportunity».
www.fiammanirenstein.com
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Bibi non rinuncia alla capitale Abbas non crede nei due Stati "
Benny Morris
GERUSALEMME — Professor Benny Morris, fin dove può spingersi Netanyahu nelle concessioni sulle colonie?
«Netanyahu ha capito di non poter governare per sempre i Territori. E che bisogna uscire dalla maggior parte della Giudea e della Samaria. Il problema è lo stesso dei suoi predecessori: come? C’è una ragione che prevale su tutte, al momento: la sicurezza. Che si fa, se poi arriva Hamas? Gerusalemme diventerebbe una frontiera. E arrivare a Tel Aviv e all’aeroporto sarebbe troppo facile ».
Perché Israele pretende che Gerusalemme Est e la «capitale indivisibile» stiano fuori dai colloqui di New York?
«Non è una pretesa d’Israele: è l’opinione di Netanyahu. Per esempio, Barak e Olmert non la pensavano così. Anch’io credo che da Gerusalemme Est ci si debba ritirare, mentre per la città vecchia bisogna trovare soluzioni diverse ».
Fin dove può arrivare Abu Mazen, invece?
«La mia sensazione è che, come Arafat, non sia interessato alla soluzione dei due Stati. Lui vuole una Grande Palestina. L’unica differenza rispetto ad Arafat, è che lui vuole arrivarci a piccoli passi. Nel dicembre 2000, Arafat aveva rinunciato ad avere uno Stato col 95% della Cisgiordania. Quella concessione di Barak fu il momento in cui si arrivò più vicini a una soluzione. Abu Mazen forse accetterà nuove condizioni. Ma poi chiederà il resto. Lo prova il fatto che si ostini a non voler riconoscere Israele come Stato ebraico. E voglia ancora il ritorno dei profughi del 1948».
Qual è stato il più grosso sbaglio che ha fatto Israele, negl’insediamenti?
«L’errore è stato d’iniziare a costruirli. Gaza fu l’errore più grande. Non si doveva, ma allora c’era una pressione fortissima di molte organizzazioni ebraiche. E i Paesi arabi non volevano sentir parlare di compromessi».
Che cosa può ottenere, Israele, da un congelamento di nove mesi delle colonie?
«I nove mesi sono una questione di tattica. Non è detto che ottenga subito qualcosa».
Ci sono insediamenti irrinunciabili?
«D’irrinunciabile, non c’è nulla. Logica vorrebbe che il blocco delle colonie vicino al confine israeliano rimanesse Israele, ovviamente in cambio di altri territori».
E quelli da lasciare immediatamente?
«Non è immaginabile che il governo possa sfollare tutti e subito: è una popolazione troppo grande e radicata, muoverla in tempi brevi è rischioso. Ogni concessione non dovrebbe essere drastica, ma trattata con uno scambio di terre. Il problema è che gli arabi sanno che a uscirne danneggiato è soprattutto Israele, se loro non accettano compromessi.
E non vorrei si dimenticasse una cosa: la Giordania ha perso una guerra. Ed è anche chi perde che deve fare concessioni».
Lei cita il ritiro da Gaza, nel 2005: un pericoloso precedente o l’unica soluzione possibile?
«Gaza ha dimostrato quanto sia facile uscire dalle colonie. Tutto è andato per il meglio, senza grandi ribellioni. Però la Giudea e la Samaria sono diverse: ci sono gruppi di coloni molto più radicati ed estremisti. Sarà più dura. Anche perché lì ci sono luoghi sacri che, a Gaza, non c’erano. Il disimpegno dalla Striscia ha dimostrato che tutto dipende dal leader: se ce n’è uno che lo vuole davvero, come Sharon, tutto è possibile. Soprattutto se dietro c’è il consenso popolare».
L’opinione pubblica israeliana dovrebbe aver capito che l’illegalità degl’insediamenti indebolisce il Paese nel mondo...
«E’ un problema molto grave. Con Stati Uniti ed Europa, le relazioni si fanno complicate».
Ma lei che cosa si aspetta, da quest’incontro Abu Mazen-Netanyahu- Obama?
«Tante fotografie e persone che sorridono ».
Il MESSAGGERO - Eric Salerno : " Vertice con il premier israeliano e il presidente palestinese"
L'articolo inizia così : " al presidente americano che sta puntando molto della sua politica estera alla situazione in Medio Oriente non è rimasto che ripetere il gesto secco con cui George Bush padre, nel 1991, aveva lanciato la conferenza di pace di Madrid. Ha invitato Netanyahu e Abu Mazen a New York ed è ovvio che a una convocazione del capo della Casa Bianca non si può dire no. ". Come se non fosse negli interessi degli israeliani quello di trovare una soluzione rapida e permanente. Gli Usa ordinano e gli israeliani non possono fare a meno di obbedire?
Segue l'elenco delle assurde rivendicazioni degli arabi. Gerusalemme, blocco totale degli insediamenti. Le richieste israeliane, evidentemente giudicate di poca importanza e non prioritarie, non vengono menzionate, come non lo sono le reali motivazioni che stanno alla base della situazione in Medio Oriente. Non sono gli israeliani ad opporsi alla nascita di uno Stato palestinese, ma il contrario.

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