Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Campo Ashraf: un massacro imminente L'analisi di Angelo Pezzana
Testata: Libero Data: 20 settembre 2009 Pagina: 7 Autore: Angelo Pezzana Titolo: «Primi risultati del dialogo di Barack il buono: l'Iraq abbandona migliaia di rifugiati dell'era Saddam»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 20/09/2009, a pag. 7, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Primi risultati del dialogo di Barack il buono: l'Iraq abbandona migliaia di rifugiati dell'era Saddam ".
Campo Ashraf
Sarà anche vero che la democrazia è difficile da esportare, ma le guerre di liberazione,una volta iniziate, dovrebbero potersi concludere. Invece è sufficiente un cambio di presidenza Usa per mettere a rischio i risultati raggiunti. E’ il caso dell’Iraq, dove l’arrivo di Obama ha aperto scenaripersino peggiori di quelliai quali eravamo abituati con Saddam Hussein. Che il regime di Nuri Al-Maliki voglia oggi normalizzare le relazioni con l’Iran può anche avere senso, ma il prezzo che si appresta a pagare annulla le garanzie che la presenza americana aveva salvaguardato. Obama non è Bush, quello che gli interessa è dialogare, poco gli importa se questo può significare la deportazione, e la morte probabile, di migliaia di persone. E poco contano gli impegni presi dalla precedente amministrazione.
Questa storia inizia nella metà degli anni ’80, quando alcune migliaia di oppositori del regime khomeinista fuggirono dall’Iran e trovarono rifugio in Iraq nella provincia di Diyala, vicino al confine tra i due paesi, dove crearono un insediamento , il “ Campo Ashraf”. Appartenevano ai Mujahedin del Popolo, strenui nemici della dittatura iraniana, e Saddam, nemico storico dell’Iran, li accolse a braccia aperte. Il campo fu dotato di tutte le attrezzature, scuole, ospedale, i servizi indispensabili per una comunità di circa tre-quattromila persone. Dopo la caduta di Saddam, l’amministrazione militare americana aveva confermato il diritto d’asilo, concedendo agli iraniani lo status di rifugiati politici. Un diritto che non è stato rinnovato dal nuovo governo iracheno, il quale sembra invece intenzionato a non concedere più nemmeno l’asilo, di fatto la riconsegna dei rifugiati agli sciiti iraniani, con le conseguenze che ne possono seguire. Un assaggio lo si è già avuto il 28 luglio scorso, quando le forze di sicurezza irachene sono entrate nel campo con incredibile violenza, sparando sulla folla, uccidendo almeno nove persone e ferendone molte altre.Trentasei sono poi state imprigionate, senza alcun capo d’accusa. E’ probabile che saranno consegnate alla polizia iraniana, per finire torturate e uccise, come succede agli oppositori di Ahmadinejad. Quella che era una piccola isola di libertà rischia di scomparire, e finora a poco sono servite le proteste internazionali. Il delegato in Italia del Mujahedin del Popolo, Davood Karimi, ha scritto al Papa chiedendogli di intervenire, si è formato un comitato bipartisan di deputati italiani che ha inviato un appello al governo Usa, all’Onu, al commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma la storia di Campo Ashraf è ignota al grande pubblico, non ne scrivono i giornali e nessuna rete televisiva, a quanto ci risulta, ne ha mai fatto oggetto di un servizio. Invece occorre al più presto liberare chi sta per essere consegnato alla polizia iraniana, e tutelare il diritto di rimanere in Iraq per tutti coloro che vivono a Campo Ashraf. Ne va della loro vita. La lotta contro i regimi del terrore non può significare arrendersi alla violenza. E’ una guerra, e come tale va combattuta. Quel che succede oggi in Iraq, così come in Afghanistan, è qualcosa che ci riguarda da vicino, l’obiettivo successivo saremo noi, l’Occidente, l’Europa, i nostri stili di vita, la nostra società nel suo insieme. Siamo gli infedeli, e come tali il nostro destino è segnato. Non sarà certo comportandoci come dei novelli Chamberlain, illudendoci che con il dialogo si possa sconfiggere il nemico, che riusciremo a fermarne l’avanzata. Far conoscere la storia di Campo Ashraf, cercare di salvare quella gente, fa parte di questa guerra di difesa.
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