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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.09.2009 Afghanistan: i dubbi dell'occidente su Karzai
Analisi di Maurizio Molinari, Livio Caputo. Cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata:La Stampa - Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: La Stampa - Il Giornale - Corriere della Sera
Titolo: «Spunta la Dc filo - mujaheddin - Afghanistan. Ma vale la pena morire per quest’uomo? - Liberato il reporter rapito, ucciso il suo interprete»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/09/2009, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Spunta la Dc filo - mujaheddin ". Dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Livio Caputo dal titolo " Afghanistan. Ma vale la pena morire per quest’uomo? ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo  " Liberato il reporter rapito, ucciso il suo interprete ". Ecco gli articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Spunta la Dc filo - mujaheddin "

 Maurizio Molinari

Nell’estate del 1980 ciò che preoccupa la Democrazia cristiana è la carenza di sostegno americano per i mujaheddin afghani che si battono contro le truppe dell’Unione Sovietica. A dirlo, con estrema franchezza, è Gerardo Bianco, capogruppo della Dc alla Camera dei Deputati in un incontro con l’allora ambasciatore americano a Roma, Richard Gardner. «Alla fine della nostra conversazione - scrive Gardner in un telegramma al Dipartimento di Stato datato 7 agosto 1980 e incluso nei documenti sulla strage di Bologna ottenuti da "La Stampa" nel rispetto delle norme del Freedom of Information Act - Gerardo Bianco ha lanciato un forte appello affinché gli Stati Uniti diano un totale sostegno ai ribelli afghani». L’incontro fra Gardner e Bianco ha come tema principale la debolezza del governo guidato da Francesco Cossiga dopo la strage di Bologna e infatti il capogruppo Dc «chiede scusa per cambiare argomento mettendo da parte le questioni interne italiane». Per parlare poi senza peli sulla lingua di temi di politica estera che esulano anche l’agenda bilaterale. «Gerardo Bianco dice che i ribelli afghani si battono per la loro indipendenza contro un nemico che minaccia tutti noi - scrive Gardner a Washington - e non riesce a comprendere perché non gli viene dato tutto quello di cui hanno bisogno». Per avvalorare l’appello a Washington, Bianco ammette l’impotenza di Roma: «L’Italia non è in condizione di poterli aiutare con le forniture militari ma stiamo facendo ciò che possiamo per dare aiuto umanitario ai rifugiati». Il testo lascia intendere la sorpresa dell’ambasciatore dell’amministrazione Carter di fronte alle pressioni Dc per far ottenere migliori armamenti ai mujaheddin islamici impegnati nella resistenza contro l’Armata Rossa. Da quel momento Via Veneto presta maggiore attenzione alle dichiarazioni dei leader italiani sull’Afghanistan, facendo notare in un telegramma a Washington datato 17 settembre, che il Segretario del Pci Enrico Berlinguer ha «completamente taciuto» sull’Afghanistan nel discorso pronunciato il giorno prima «sui temi di politica interna ed estera». Per l’estensore della nota diplomatica americana, che si firma «Paganelli», «la scelta di Berlinguer di non parlare di Afghanistan e Polonia lascia intendere che la pressione sovietica abbia avuto un quale ruolo» tanto più che proprio alle «pressioni sovietiche» viene attribuita la scelta di Botteghe Oscure di «assumere una posizione di dura critica nei confronti del governo Cossiga» dopo la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Via Veneto invece loda il Segretario del Psi, Bettino Craxi per aver accusato Berlinguer di «tacere completamente sull’Afghanistan rendendo omaggio se non al Paese invasore di certo al montante kabulismo che è presente dentro il suo partito».

Il GIORNALE - Livio Caputo : " Afghanistan. Ma vale la pena morire per quest’uomo? "

 Livio Caputo

Ai tempi della Guerra fredda, quando l'Occidente era costretto a sostenere qualche dittatore al fine di contenere l'espansionismo sovietico, si soleva dire di lui: «È un figlio di p..., ma almeno è il nostro figlio di p...». Sottovoce, si è fatto spesso lo stesso ragionamento su Hamid Karzai, il presidente «scelto» dagli americani nel 2004 per costruire un Afghanistan democratico, ma che si è rivelato debole, corrotto e spesso non all'altezza del suo compito.
Adesso che Karzai, pur di assicurarsi un secondo mandato, ha non solo stretto alleanze con signori della guerra e trafficanti di droga e preso provocatoriamente le distanze da certe operazioni della Nato, ma anche autorizzato brogli di dimensioni inaccettabili, ci si domanda se possa ancora essere considerato il nostro figlio di p... Per dirla con il suo avversario Abdullah Abdullah, che è stato il primo a denunciare le frodi: «Sarà difficile per i governi alleati giustificare il sostegno al risultato di un’elezione per cui sono stati spesi centinaia di milioni di dollari e molti soldati della Nato sono morti, ma che si sta rivelando una tragica farsa». Oppure, per citare un ambasciatore europeo a Kabul: «Come possiamo avallare una elezione che potrebbe essere decisa da centinaia di migliaia di schede false e poi continuare a contestare la vittoria di Ahmadinejad nelle presidenziali iraniane?».
Il momento della verità si avvicina. Con il 91,6% dei seggi scrutinati, la Commissione elettorale afghana ha assegnato martedì a Karzai il 54,1 delle preferenze contro il 28,3 di Abdullah, anticipando praticamente un suo successo al primo turno. Nonostante il «congelamento» dei risultati di 600 sezioni sospette. Ma, contemporaneamente, la Commissione di controllo dei reclami (Iec), istituita dall'Onu e formata in maggioranza da esperti stranieri, ha annunciato di avere raccolto «prove incontrovertibili di brogli» e lasciato intendere che, per osservare i normali standard, bisognerebbe annullare non meno di 700mila voti tarocchi (su un totale di 5,7 milioni), cioè proprio quelli che hanno fatto ottenere in extremis a Karzai, che all'inizio del conteggio viaggiava tra il 40 e il 45 per cento, la maggioranza assoluta.
Le indagini sulla legittimità delle elezioni hanno portato alla luce un vero e proprio campionario di orrori: decine di migliaia di schede provenienti da seggi mai aperti, sezioni in zone infestate dai talebani in cui avrebbe votato - tutti per Karzai - il 100% degli elettori, occupazione di seggi e manipolazione degli scrutini da parte di sostenitori del presidente, urne riempite a posteriori di schede prefabbricate. La Iec appare decisa ad andare fino in fondo prima di dare il suo indispensabile imprimatur alla consultazione, esaminando tutti i circa duemila reclami che le sono pervenuti, ricontrollando le schede sospette e prendendo in esame i risultati delle sezioni che hanno riportato risultati anomali.
Il processo richiederà varie settimane, per cui anche quando, tra qualche giorno, il conteggio dei voti sarà terminato non potrà essere proclamato il vincitore. A questo punto, gli Stati Uniti e i suoi alleati non sanno più che cosa augurarsi. Sia che la Iec certifichi il risultato che si profila, sia che decreti la necessità di un ballottaggio, sia che annulli le elezioni tout court, l'Afghanistan rischia di rimanere a lungo in uno stato di incertezza che non può che favorire i talebani. Comunque, la credibilità del processo democratico ne uscirà compromessa. Fermo restando che quella afghana è - come ha ribadito Obama - una guerra necessaria se si vuole impedire che Al Qaida recuperi la sua principale base operativa, è diventato difficile combatterla al fianco, e a favore di, un presidente di cui non ci si fida più. Non può essere un caso che ieri Gran Bretagna, Germania e Francia, cioè i tre Paesi che, dopo gli Usa, forniscono più truppe al contingente Nato di 103mila uomini, abbiano chiesto all'Onu una conferenza internazionale sull'Afghanistan entro la fine dell'anno al fine di «delineare le nuove prospettive e gli obbiettivi per la governance del Paese».

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Liberato il reporter rapito, ucciso il suo interprete "

 Stephen Farrell

KABUL — Il raid dura solo pochi minuti. Ieri, prima dell’al­ba, arrivato in elicottero al co­vo talebano nella piccola frazio­ne tra le montagne del Kun­duz, il commando di teste di cuoio britanniche fa subito ir­ruzione nell’abitazione dove da quattro giorni è tenuto in ostaggio il 46enne reporter di origine britannica del New York Times , Stephen Farrell, as­sieme al suo interprete afgha­no, Sultan Munadi (34 anni). L’intelligence è accurata. Gra­zie ai dati raccolti dagli aerei senza pilota, le intercettazioni telefoniche e gli informatori lo­cali, i soldati sanno che ci sono pochi talebani di guardia. Ma che devono anche agire in fret­ta: è giunta notizia che i due ostaggi potrebbero essere pre­sto trasferiti in un’altra locali­tà.
«Siamo stati investiti all’im­provviso da raffiche micidiali. Sentivamo urlare in afghano e
inglese. Temevamo di essere uccisi dai nostri carcerieri», ha raccontato Farrell in una breve testimonianza pubblicata già in mattinata dal sito del quoti­diano americano. È a quel pun­to che Munadi viene ucciso, as­sieme al comandante talebano, il proprietario dell’abitazione, probabilmente la moglie di questi e un incursore del com­mando Nato. «Munadi ha alza­to le braccia e si è messo a urla­re in inglese dicendo che erava­mo giornalisti. Ma è stato ucci­so da numerosi colpi. Io mi so­no gettato in un fossato e po­chi secondi dopo mi hanno sal­vato », ha aggiunto Farrell, fa­cendo trapelare la possibilità che il traduttore potesse essere stato colpito da fuoco amico. Fi­nisce così, nella salvezza per l’uno e la tragedia dell’altro, il reportage che avevano corag­giosamente iniziato assieme quattro giorni prima per cerca­re di determinare il numero delle vittime civili e talebane in­vestite dall’esplosione di due autobotti cariche di carburan­te, appena rubate dai talebani alla Nato e poi bombardate da un caccia americano.
Il premier britannico Gor­don Brown, dopo aver inviato le condoglianze alla famiglia del traduttore morto, ha lodato l’azione del commando come un atto di «puro eroismo». Ep­pure l’opinione pubblica locale è sconvolta. Ieri tutti i media af­ghani hanno messo l’accento sull’«ingiustizia»: il «giornali­sta occidentale è vivo e quello afghano è morto». Al funerale nella capitale centinaia di gior­nalisti locali hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta. Tra le proteste, non sono mancati i riferimenti risentiti al rapimen­to dell’inviato italiano Daniele Mastrogiacomo, nella primave­ra 2007, quando rimasero ucci­si l’autista e l’interprete 23enne Adjmal Nashkbandi.

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