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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
10.09.2009 L’Iran è a un passo dall’atomica
Obama resta a guardare?

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Guido Olimpio - Fulvia Caprara
Titolo: «L'Occidente e un Iran nucleare. Gli spazi negoziali si riducono - L’Iran è a un passo dall’atomica 'Ha gli ingredienti e la capacità' - Tappeto verde. La rivoluzione è roba da donne»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/09/2009, a pag. 12, il commento di Guido Olimpio dal titolo " L'Occidente e un Iran nucleare. Gli spazi negoziali si riducono " e, a pag. 14, il suo articolo dal titolo " L’Iran è a un passo dall’atomica. «Ha gli ingredienti e la capacità» ". Dalla STAMPA, a pag. 34, l'articolo di Fulvia Caprara dal titolo " Tappeto verde. La rivoluzione è roba da donne ".  Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " L'Occidente e un Iran nucleare. Gli spazi negoziali si riducono "

 Che cosa stai aspettando?

Per l’Iran e il nucleare si avvici­na il momento della verità. Do­po la forzata parentesi provocata dalla rivolta popolare che ha assorbito le ri­sorse del regime, Teheran deve scopri­re le carte sul fronte diplomatico. Ossia deve mostrare se è pronta a negoziare adesso — non tra cent’anni — con la comunità internazionale o se, invece, preferisce continuare con il gioco del rinvio. La Casa Bianca ha chiesto una ri­sposta in tempi rapidi e ieri la diploma­zia iraniana ha consegnato un «pac­chetto » con idee per creare «nuove op­portunità » in vista del dialogo. Mossa preceduta dalla sortita del presidente Ahmadinejad che ha ribadito che il dos­sier è «chiuso» ma ha detto di essere pronto ad incontrare Barack Obama.
In attesa di comprendere quello che gli ayatollah sono disposti — o meno — ad offrire c’è un dato sicuro e allar­mante emerso nelle ultime 24 ore. Gli esperti americani sono certi che l’Iran è molto vicino alla costruzione di un ordi­gno nucleare. Per alcuni analisti potreb­be essere sufficiente anche un solo an­no per chiudere la lunga corsa verso l’ordigno. Dunque anche per gli Occi­dentali — insieme a Cina e Russia — si pone il problema di trovare una soluzio­ne alla crisi.
Rispetto al passato, la finestra tempo­rale si è ridotta. Se è giusto dare spazio a un eventuale negoziato — peraltro an­cora da costruire — è necessario che sia vincolato da parametri seri e sicuri. È quello che hanno chiesto — sempre ieri — i portavoce statunitensi. Perché quanto è avvenuto fino a oggi ha ampia­mente dimostrato che l’attendismo di Teheran, aiutata dall’accondiscenden­za di Pechino e Mosca, è solo servito per favorire le manovre della Repubbli­ca islamica.
Il rischio è che i mullah, una volta su­perati gli ultimi ostacoli tecnici, arrivi­no per davvero alla Bomba e a quel pun­to tornare indietro sarà impossibile. Su cosa sarà possibile trattare quando la Repubblica islamica iraniana avrà coro­nato finalmente il suo sogno?

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " L’Iran è a un passo dall’atomica. «Ha gli ingredienti e la capacità» "

WASHINGTON — L’Iran è sempre più vicino alla Bomba. Per Glyn Davies, l’inviato americano all’Aiea — l’agenzia atomica inter­nazionale —, Teheran pos­siede gli ingredienti neces­sari e la capacità. Tutto di­pende adesso da una deci­sione politica: se verrà im­partito l’ordine gli scienzia­ti potranno realizzarla. Quando? Forse già entro un anno, come hanno profetiz­zato indiscrezioni britanni­che trapelate alla vigilia del­l’estate. Oppure nel 2013, secondo un’analisi del Di­partimento di Stato ameri­cano.
La rivelazione di Davies si è intrecciata con un’atte­sa mossa iraniana. Il mini­stro degli Esteri Mottaki ha, infatti, consegnato ai rap­presentanti del gruppo
«5+1» (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) un pacchetto di proposte su «diverse que­stioni internazionali» che possono rappresentare «una nuova opportunità di dialogo e cooperazione». Da New York ha replicato l’ambasciatrice statuniten­se all’Onu, Susan Rice: «Spe­riamo che siano proposte serie. Le studieremo con grande attenzione». Per i di­plomatici sarà importante capire cosa veramente Tehe­ran è disposta ad offrire, an­che se i margini non sem­brano ampi. Lunedì, il presi­dente Ahmadinejad ha riba­dito che il dossier è «chiu­so », ossia sulla questione atomica non si tratta. Gli ira­niani sostengono, infatti, che il programma è legitti­mo in quanto ha fini civili e non militari.
Non la pensano così gli americani. «L’Iran deve met­tere fine alle sue attività nu­cleari illecite. Si assuma le proprie responsabilità», è stato il commento del porta­voce della Casa Bianca, Ro­bert Gibbs. Un ammoni­mento seguito da un appel­lo del cerchiobottista Moha­med elBaradei, il direttore dell’Aiea. L’egiziano ha invi­tato Teheran «a non rifiuta­re l’offerta di dialogo statu­nitense », quindi ha sottoli­neato che i suoi ispettori nu­trono «una forte preoccupa­zione, ma non sono nel pa­nico ».
ElBaradei ha confermato che vi sono informazioni di intelligence su un possibile programma segreto irania­no che potrebbe rendere possibile la messa a punto
della Bomba. Ma, come ha detto in passato, il dato de­ve trovare delle conferme ed essere verificato. Il diret­tore dell’Aiea ha quindi ag­giunto che i suoi funzionari non hanno trovato, per ora, la pistola fumante che pro­vi le accuse mosse da ameri­cani e israeliani. Nell’ulti­mo rapporto l’agenzia ha certificato che Teheran ha compiuti passi in avanti ma ha rallentato l’attività. Una «pausa» legata forse a pro­blemi tecnici oppure una semplice tattica negoziale prima di presentare le pro­poste.

La STAMPA - Fulvia Caprara : "Tappeto verde. La rivoluzione è roba da donne"

Hanno tutte una sciarpa verde intorno al collo e parlano di «libertà e democrazia, temi centrali nella società iraniana di oggi e del passato». Sono Shrin Neshat, videoartista e regista di Women without men, Shahrnush Parsipur, autrice del romanzo da cui il film è tratto, Pegah Ferydoni, Arita Shahrzad e Shabnam Tolouei, interpreti della storia ambientata nell’Iran del ‘53 eppure terribilmente attuale. «E’ una coincidenza - spiegano - che gli scontri di quell’anno somiglino così tanto alle proteste di oggi, la lotta iraniana continua nel tempo, il Paese si rivolge al mondo per dire che la nostra è una storia difficile, a tratti oscura, ma che non abbiamo nessuna intenzione di smettere di combattere». Domani al Lido arriva anche Hana Makhmalbaf, figlia del regista Mohsen, nata a Tehran nell’88, attrice in un film del padre per la prima volta a sette anni. Il suo Green days racconta la storia di Ava, ragazza iraniana ammalata di depressione che trova, nei giorni che precedono le elezioni, l’entusiasmo di una possibile guarigione.
La rivoluzione inizia dalle donne e i film della Mostra, tanti, in gara e non, parlano di questa nuova liberazione al femminile. Una riscossa che attraversa il mondo intero e mette insieme, come in un girotondo stile «tremate, tremate le streghe son tornate», ragazze diverse solo in apparenza. In Ehky ya Schahrazad, ambientato oggi al Cairo, l’egiziano Yousry Nasrallah racconta la vicenda di Hebba, presentatrice di un seguitissimo talk-show e moglie di Karim, vicedirettore di un quotidiano governativo. I problemi cominciano quando alcuni pezzi grossi del partito di maggioranza fanno capire a Karim che, se la moglie non la smette di dar voce, nel suo programma, all’opposizione, è molto difficile che lui riesca a ottenere la promozione che aspetta da tempo. «Per decenni - spiega l’autore - il cinema egiziano ha rappresentato le donne come magnifici oggetti di desiderio. Con l’affermarsi del conservatorismo religioso, questa misoginia si è rafforzata. La verità è che oltre il 70% dei nuclei familiari egiziani dipende dal lavoro delle donne, mentre la società le costringe a mostrarsi sempre più sottomesse». In Vietnam la discriminazione riguarda anche i rapporti amorosi, soprattutto quelli lesbici. Lo racconta in «Choi voi» il regista di Hanoi Bui Thac Chuyen: «Sono convinto che questa storia rispecchi i dubbi nutriti da milioni di giovani vietnamiti sull’amore e sulla famiglia... L’elemento centrale del film è nel paradosso che vede energici personaggi femminili al servizio di uomini fiacchi in cui sperano di trovare un appoggio». In India, nella colorata regione del Punjab, succede, come narra Dev.D di Anurag Kashyap, che una ragazza rinunci alla verginità e prenda l’iniziativa con un ragazzo: «Il film è un collage sulla gioventù ribelle dell’India contemporanea». La galleria continua con mille altre immagini, da Francesca, ragazza romena che vuole aprire un asilo in Italia, a Pepperminta firmato da Pipilotti Rist, artista e cineasta di fama internazionale che ha portato alla Mostra un personaggio «dalla femminilità brutale, generosa, kitsch, coraggiosa e ipnotica».
Dell’onda rosa fa parte anche Michelle Hunziker, beniamina delle platee tv, che vola al Lido in versione impegnata, tubino color crema, capelli raccolti, per lanciare «Action for women», concorso per aspiranti registi che ha per obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla lotta contro la violenza verso le donne. Il cinema, dice la telestar, può fare molto per aiutarle: «Le donne che subiscono violenza non hanno idea di come reagire, spesso temono di confessare quello che subiscono e non sanno che possono denunciare i loro mariti. Bisogna spingerle a ribellarsi. Si tratta di un problema culturale importantissimo, per questo penso sia molto utile parlarne qui alla Mostra».

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