Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ultime dalle dittature: Libia e Sudan Ma anche l'Inghilterra non si sente molto bene
Testata:Corriere della Sera-La Repubblica Autore: Viviana Mazza-Rosalba Castelletti Titolo: «Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira-Che mi frustino pure perchè porto i pantaloni, così il mondo saprà»
Dal pezzo del CORRIERE della SERA di oggi, 07/09/2009, a pag. 15, di Viviana Mazza, dal titolo " Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira", esce un ritratto del premier inglese che lascia inorriditi, non si capisce più, tra lui e Gheddafi, quale sia peggio. Da un dittatore all'altro, segue il Sudan, nel pezzo di REPUBBLICA, a pag.19, di Rosalba Castelletti, che intervista Lubna Hussein, condannata ad essere frustata per avere indossato i pantaloni. ecco i pezzi:
Corriere della Sera- Viviana Mazza: " Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira"
Gheddafi e Gordon Brown
Un’ondata di rivelazioni sul rilascio dell’attentatore di Lockerbie sta mettendo sotto pressione il governo di Londra. I media continuano a scavare per provare che non erano umanitarie ma economiche le ragioni dietro la decisione di liberare il libico Abdel Basset al-Megrahi il 20 agosto scorso. Ufficialmente, l’uomo condannato all’ergastolo per l’esplosione sul volo Pan-Am che provocò la morte di 270 persone nel 1988, è stato rimandato a Tripoli perché malato terminale di cancro, decisione presa dalla Scozia. Ma i media accusano Downing Street di aver fatto pressioni sulla Scozia e sostengono che il rilascio serviva a cementare lucrosi contratti petroliferi per la Gran Bretagna in Libia. Ieri ilSunday Telegraph ha rivelato che l’esame medico che stabilì l’aspettativa di vita dell’ex 007 di Tripoli fu pagato dalla Libia e i tre medici furono «incoraggiati» a indicare che gli restavano tre mesi di vita. Con un’aspettativa di vita maggiore, non avrebbe avuto diritto legalmente al rilascio umanitario. Altri medici tra giugno e luglio avevano dichiarato che gli restavano 10 mesi.
La Scozia nega che l’opinione dei tre medici abbia avuto alcun peso. Nei giorni scorsi il governo di Londra e quello scozzese hanno diffuso lettere e memo per difendersi dalle accuse. Ma lo stesso ministro della Giustizia britannico, Jack Straw, ha detto alTelegraph di essere «convinto» che la liberazione di al-Megrahi sia stata motivata «in gran parte» da interessi economici. IlTimes aveva scritto che c’erano dietro anche le pressioni della Bp, che voleva chiudere un contratto di estrazione petrolifera con Tripoli e aveva contattato Straw. Ma i semi sarebbero stati piantati molto prima. Il 16 dicembre 2003, si tenne un vertice supersegreto, in un club privato di Londra, tra spie di alto livello americane, britanniche e libiche. Tre giorni dopo, l’allora premier Tony Blair diede l’annuncio che Tripoli aveva rinunciato all’acquisizione di armi di distruzione di massa, mossa che avrebbe portato la Libia a uscire dall’isolamento. Per fonti governative citate dall’I ndependent si parlò di al-Megrahi.
Intanto è emerso che Brown mise il veto su un’iniziativa per costringere la Libia a risarcire le vittime britanniche delle bombe dell’Ira, costruite con esplosivo fornito dai libici. L’accusa: temeva di compromettere gli accordi politici e petroliferi con Tripoli. Brown sostiene che non voleva danneggiare i progressi negli accordi contro il terrorismo. Ha assicurato ieri che adesso il governo chiederà un risarcimento.
La Repubblica- Rosalba Castelletti: " Che mi frustino pure perchè porto i pantaloni, così il mondo saprà "
il dittatore Omar Hassan
L´unico momento libero che le resta per raccontare come in appena due mesi la sua vita sia cambiata è a tarda notte, ma poco importa. «È Ramadan e si sta svegli fino a tardi», dice la giornalista sudanese e ormai ex-impiegata dell´Onu, Lubna Ahmed Hussein. Oggi è attesa la sentenza in quello che in Sudan tutti chiamano "il processo dei pantaloni". Il capo incriminato, un paio di «normalissimi calzoni verdi e ampi», così li descrive, era stato reputato «indecente» in base all´articolo 152 del Codice penale sudanese: è per esso che il 3 luglio fu arrestata e che oggi rischia una condanna a 40 frustate. Lubna, può raccontarci dell´arresto? «Era un venerdì. Mi trovavo al ristorante Kawkab Elsharq per una festa quando intorno alle undici di sera la polizia ha fatto irruzione in sala e ha chiesto a tutte le donne di mostrare come fossero abbigliate. Io indossavo un paio di pantaloni sotto un´ampia tunica e il velo. Sono stata portata via insieme ad altre nove donne a bordo di un pick-up. È stato molto umiliante. I poliziotti sono stati rudi. Quando ho cercato di tranquillizzare le altre, uno di loro ha afferrato il mio cellulare e mi ha colpito in testa. In commissariato abbiamo trovato altre quattro donne. Indossavamo tutte i pantaloni. Solo allora abbiamo scoperto che il nostro abbigliamento era reputato contrario all´articolo 152 del Codice penale». Cosa stabilisce esattamente l´articolo? «Vieta d´indossare abiti indecenti che causino pubblico imbarazzo. La condanna consiste in 40 frustrate o nel pagamento di una multa o in entrambe. Si tratta di un divieto imposto nel 1991 quando venne introdotta la legge islamica in Nord Sudan. In realtà non specifica che tipo di abbigliamento sia appropriato o meno o quanto debba essere lungo un abito perché sia considerato o meno indecente. La decisione è discrezionale». Sa dare una stima delle persone che sinora sono state arrestate in base all´articolo 152? «Dal 1991 a oggi, almeno 20mila. Ogni giorno vengono arrestate e frustate donne per il loro modo di vestire. Nessuna di loro ne parla e nessuno lo sa». Lei si è persino licenziata per rinunciare all´immunità di cui avrebbe goduto in quanto dipendente dell´Onu pur consapevole di rischiare 40 frustate. «Non ho paura di essere frustata. Sono pronta a subire anche più di 40 frustate purché tutti sappiano cosa succede a Khartoum». Lubna, cosa dirà in aula? «Io sono musulmana ma non credo spetti a un tribunale giudicare come io mi relazioni con l´Islam. È una relazione privata. Non è responsabilità del governo farsene giudice. E poi voglio che mi mostrino il verso del Corano dove il nostro Profeta dice che indossare un paio di pantaloni è immorale. Parla di abbigliamento appropriato ma non di pantaloni! Mi batterò. Ma non lo farò per me. Lo farò per le migliaia di donne che sono state frustrate negli ultimi vent´anni in nome della legge».
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