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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
07.09.2009 Ultime dalle dittature: Libia e Sudan
Ma anche l'Inghilterra non si sente molto bene

Testata:Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: Viviana Mazza-Rosalba Castelletti
Titolo: «Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira-Che mi frustino pure perchè porto i pantaloni, così il mondo saprà»

Dal pezzo del CORRIERE della SERA di oggi, 07/09/2009, a pag. 15, di Viviana Mazza, dal titolo " Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira", esce un ritratto del premier inglese che lascia inorriditi, non si capisce più, tra lui e Gheddafi, quale sia peggio. Da un dittatore all'altro, segue il Sudan, nel pezzo di REPUBBLICA, a pag.19, di Rosalba Castelletti, che intervista Lubna Hussein, condannata ad essere frustata per avere indossato i pantaloni.
ecco i pezzi:

Corriere della Sera- Viviana Mazza: " Brown contro la Libia, risarcire le vittime dell'Ira"

Gheddafi e Gordon Brown

 Un’ondata di ri­velazioni sul rilascio dell’atten­tatore di Lockerbie sta metten­do sotto pressione il governo di Londra. I media continuano a scavare per provare che non erano umanitarie ma economi­che le ragioni dietro la decisio­ne di liberare il libico Abdel Bas­set al-Megrahi il 20 agosto scor­so. Ufficialmente, l’uomo con­dannato all’ergastolo per l’esplosione sul volo Pan-Am che provocò la morte di 270 per­sone nel 1988, è stato rimanda­to a Tripoli perché malato ter­minale di cancro, decisione pre­sa dalla Scozia. Ma i media accu­sano Downing Street di aver fat­to pressioni sulla Scozia e so­stengono che il rilascio serviva a cementare lucrosi contratti petroliferi per la Gran Bretagna in Libia. Ieri il Sunday Tele­graph ha rivelato che l’esame medico che stabilì l’aspettativa di vita dell’ex 007 di Tripoli fu pagato dalla Libia e i tre medici furono «incoraggiati» a indica­re che gli restavano tre mesi di vita. Con un’aspettativa di vita maggiore, non avrebbe avuto diritto legalmente al rilascio umanitario. Altri medici tra giu­gno e luglio avevano dichiarato che gli restavano 10 mesi.

La Scozia nega che l’opinio­ne dei tre medici abbia avuto al­cun peso. Nei giorni scorsi il go­verno di Londra e quello scozze­se hanno diffuso lettere e me­mo per difendersi dalle accuse. Ma lo stesso ministro della Giu­stizia britannico, Jack Straw, ha detto al
Telegraph di essere «convinto» che la liberazione di al-Megrahi sia stata motiva­ta «in gran parte» da interessi economici. Il Times aveva scrit­to che c’erano dietro anche le pressioni della Bp, che voleva chiudere un contratto di estra­zione petrolifera con Tripoli e aveva contattato Straw. Ma i se­mi sarebbero stati piantati mol­to prima. Il 16 dicembre 2003, si tenne un vertice supersegre­to, in un club privato di Lon­dra, tra spie di alto livello ameri­cane, britanniche e libiche. Tre giorni dopo, l’allora premier Tony Blair diede l’annuncio che Tripoli aveva rinunciato all’ac­quisizione di armi di distruzio­ne di massa, mossa che avreb­be portato la Libia a uscire dal­l’isolamento. Per fonti governa­tive citate dall’I ndependent si parlò di al-Megrahi.

Intanto è emerso che Brown mise il veto su un’iniziativa per costringere la Libia a risarcire le vittime britanniche delle bombe dell’Ira, costruite con esplosivo fornito dai libici. L’ac­cusa: temeva di compromettere gli accordi politici e petroliferi con Tripoli. Brown sostiene che non voleva danneggiare i progressi negli accordi contro il terrorismo. Ha assicurato ieri che adesso il governo chiederà un risarcimento.
 

La Repubblica- Rosalba Castelletti: "  Che mi frustino pure perchè porto i pantaloni, così il mondo saprà "

il dittatore Omar Hassan

L´unico momento libero che le resta per raccontare come in appena due mesi la sua vita sia cambiata è a tarda notte, ma poco importa. «È Ramadan e si sta svegli fino a tardi», dice la giornalista sudanese e ormai ex-impiegata dell´Onu, Lubna Ahmed Hussein. Oggi è attesa la sentenza in quello che in Sudan tutti chiamano "il processo dei pantaloni". Il capo incriminato, un paio di «normalissimi calzoni verdi e ampi», così li descrive, era stato reputato «indecente» in base all´articolo 152 del Codice penale sudanese: è per esso che il 3 luglio fu arrestata e che oggi rischia una condanna a 40 frustate.
Lubna, può raccontarci dell´arresto?
«Era un venerdì. Mi trovavo al ristorante Kawkab Elsharq per una festa quando intorno alle undici di sera la polizia ha fatto irruzione in sala e ha chiesto a tutte le donne di mostrare come fossero abbigliate. Io indossavo un paio di pantaloni sotto un´ampia tunica e il velo. Sono stata portata via insieme ad altre nove donne a bordo di un pick-up. È stato molto umiliante. I poliziotti sono stati rudi. Quando ho cercato di tranquillizzare le altre, uno di loro ha afferrato il mio cellulare e mi ha colpito in testa. In commissariato abbiamo trovato altre quattro donne. Indossavamo tutte i pantaloni. Solo allora abbiamo scoperto che il nostro abbigliamento era reputato contrario all´articolo 152 del Codice penale».
Cosa stabilisce esattamente l´articolo?
«Vieta d´indossare abiti indecenti che causino pubblico imbarazzo. La condanna consiste in 40 frustrate o nel pagamento di una multa o in entrambe. Si tratta di un divieto imposto nel 1991 quando venne introdotta la legge islamica in Nord Sudan. In realtà non specifica che tipo di abbigliamento sia appropriato o meno o quanto debba essere lungo un abito perché sia considerato o meno indecente. La decisione è discrezionale».
Sa dare una stima delle persone che sinora sono state arrestate in base all´articolo 152?
«Dal 1991 a oggi, almeno 20mila. Ogni giorno vengono arrestate e frustate donne per il loro modo di vestire. Nessuna di loro ne parla e nessuno lo sa».
Lei si è persino licenziata per rinunciare all´immunità di cui avrebbe goduto in quanto dipendente dell´Onu pur consapevole di rischiare 40 frustate.
«Non ho paura di essere frustata. Sono pronta a subire anche più di 40 frustate purché tutti sappiano cosa succede a Khartoum».
Lubna, cosa dirà in aula?
«Io sono musulmana ma non credo spetti a un tribunale giudicare come io mi relazioni con l´Islam. È una relazione privata. Non è responsabilità del governo farsene giudice. E poi voglio che mi mostrino il verso del Corano dove il nostro Profeta dice che indossare un paio di pantaloni è immorale. Parla di abbigliamento appropriato ma non di pantaloni! Mi batterò. Ma non lo farò per me. Lo farò per le migliaia di donne che sono state frustrate negli ultimi vent´anni in nome della legge».

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