Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Bisogna mettere di nuovo Gheddafi sulla lista nera L'analisi di Bernard-Henri Lévy
Testata: Corriere della Sera Data: 04 settembre 2009 Pagina: 14 Autore: Bernard - Henri Lévy Titolo: «Gheddafi e quella lista nera cancellata dai governi occidentali»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/09/2009, a pag. 14, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Gheddafi e quella lista nera cancellata dai governi occidentali ".
Bisogna mettere di nuovo Gheddafi sulla lista nera. C’è un avvenimento che per il torpore estivo è passato nel dimenticatoio dell’attualità: la liberazione, per «ragioni mediche», poi l’accoglienza trionfale a Tripoli di Abdelbaset Al-Megrahi, l’organizzatore dell’attentato di Lockerbie. Non che io trovi anormale il principio umanitario che consente di abbreviare la pena a un vecchio prigioniero, colpito da un cancro in fase terminale, e di lasciare che torni a morire nel proprio Paese. Ma non trovo normale che la sua liberazione sia stata negoziata, — come subito ha strombazzato in un’intervista al quotidiano scozzeseThe Herald il figlio di Gheddafi - in cambio di contratti di prospezione petrolifera per la Shell e la British Petroleum. Quel che è sconvolgente è che l’ex spia, responsabile della morte, nel 1998, dei 259 passeggeri del volo della Panam e di 11 abitanti del villaggio in cui il velivolo si è schiantato, abbia potuto essere rimpatriato su un aereo personale di Gheddafi. Lo stesso Gheddafi che, come se questo non bastasse, come se volesse essere sicuro di arrivare al massimo della provocazione, del cinismo, dell’oltraggio, gli ha riservato per l’indomani un’udienza come si trattasse di un grande personaggio. E quello che, non soltanto è sconvolgente, ma odioso, è l’accoglienza trionfale che gli è stata offerta sulla pista dell’aeroporto internazionale da una folla in delirio, che agitava bandiere libiche e scozzesi, intonava canti patriottici, lo trattava da eroe: e tutto questo in un Paese dove nessuno ignora che le esplosioni di esultanza e di fervore raramente sono spontanee... Forse l’uomo, secondo i suoi sostenitori, è stato vittima di un errore giudiziario che sarebbe così stato riparato? Sì e no. Infatti c’è una piccola lobby, è vero, che impiega molta energia nel discolpare il regime libico dalla responsabilità del massacro. Ma oltre al fatto che le «contro-inchieste» di questa lobby sono sempre di una penosa debolezza (con il testimone che ritratta, anni dopo il processo e, guarda caso, alla vigilia dell’accordo anglo- libico per il trasferimento di prigionieri di cui tutti sanno che l’unico beneficiario sarà Al-Megrahi), oltre al fatto che in questo attivismo revisionista si sente il forte odore della sua teoria del complotto (l’abominevole Cia che, per ragioni oscure, avrebbe «riscritto la sceneggiatura» di un crimine di cui essa nasconderebbe i veri autori), oltre al fatto che nella lobby si ritrova l’eterno manipolo di specialisti della disinformazione e di maestri della cospirazione (per la Francia, l’inevitabile Pierre Péan che, fra due crociate negazioniste del genocidio in Ruanda, si sforza di dare un giudizio perentorio e puerile sulla tesi della colpevolezza libica che, secondo lui, «non regge»), la verità è che gli stessi libici non sempre hanno negato tale colpevolezza; meglio ancora: l’hanno negata così poco che nel 2003 si sono impegnati a versare dieci milioni di dollari di risarcimento a ciascuna delle 270 famiglie delle vittime; di modo che il Paese dove Al-Magrahi è stato rimpatriato è un Paese dove un uomo è portato in palma di mano non perché lo si crede innocente, ma perché lo si sa colpevole di aver assassinato 270 persone, il cui unico crimine era d’essere cittadini di paesi democratici. Dopo tutto ciò, Gordon Brown e i suoi ministri possono pure gridare la propria «costernazione». Ormai si sono disonorati. I loro omologhi scozzesi, che sul ritorno dell’agente prodigo avevano ricevuto «la garanzia» di una gestione «discreta e sensibile» e lamentano di non riuscire a capacitarsi di essere stati così malvagiamente presi in giro, sono i primi ad essersi resi ridicoli. Quando Gheddafi si presenta in tv per ringraziare non solo il suo «amico» Gordon Brown, ma «la Regina d’Inghilterra» e «suo figlio il principe Andrew», è come se insultasse un popolo intero, come se ingiuriasse la parte migliore delle sue tradizioni, come se sputasse sulla memoria di Churchill e degli eroi della Battaglia d’Inghilterra; ed è come se questo avvenisse con il consenso di una classe politica pronta a tutto, e per prima cosa a vendere la propria anima e quella di un grande Paese in cambio di qualche barile di greggio. Per quanto riguarda gli altri, tutti gli altri, la Svizzera che non sa più come scusarsi di aver maltrattato quest’estate l’altro figlio della Guida, Hannibal, l’Italia il cui presidente del Consiglio ha appena posato la prima pietra di un’autostrada che dovrebbe suggellare, qualche ora prima dell’avvio delle festività per il quarantesimo anniversario della dittatura, la nuova e proficua amicizia italo-libica, la Francia che quasi due anni fa fu all’avanguardia di un vasto movimento di riabilitazione di Gheddafi sullo sfondo di traffici economici e commerciali, aspettiamo che traggano le conclusioni a proposito di quella che ilWall Street Journal non ha temuto di definire una vera e propria «Lockerbie 2». Chi aveva ragione, in Francia appunto: coloro che, come Nicolas Sarkozy, pensavano che Gheddafi fosse cambiato e che bisognasse tendergli la mano per aiutarlo a reintegrare il concerto delle nazioni, o coloro che, come Rama Yade (a quel tempo segretario di Stato per i diritti dell’uomo) rimpiangevano che il nostro Paese divenisse uno «zerbino» sul quale qualsiasi tiranno «può venire ad asciugarsi i piedi dal sangue dei suoi misfatti »? Oggi abbiamo la risposta. Gheddafi ha forse rinunciato a commissionare egli stesso gli attentati. Ma non ha rinnegato l’odio nei confronti dell’Occidente e, attraverso di esso, della democrazia; un odio che è la vera radice del terrorismo. Il resto non sono che chiacchiere, e alibi della nostra vigliaccheria.
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