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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.09.2009 Pace in Medio Oriente: gli ostacoli che il piano complessivo di Obama dovrà affron­tare sono davvero proibitivi
I dispetti tra la Siria e l'Iraq alla vigilia della presentazione del piano

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 settembre 2009
Pagina: 16
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «I dispetti tra Siria e Iraq nuovo ostacolo per Obama»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/09/2009, a pag. 16, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " I dispetti tra Siria e Iraq nuovo ostacolo per Obama ".

Se nel Medio oriente si respira un'atmo­sfera di calma tesa, per utilizzare un eufemi­smo libanese, non è perché i problemi di sempre siano in vista di soluzione. Ma per­ché tutti i protagonisti attendono un segna­le americano.
Quel segnale, se le indiscrezioni sono cor­rette, lo darà, a fine mese, all'assemblea ge­nerale dell'Onu, il presidente degli Stati Uni­ti Barack Obama. Scartata la possibilità di procedere per gradi, percorso che in passato ha riservato grandi aspettative e cocenti de­lusioni, la Casa Bianca sta preparando un piano complessivo: giungere insomma al traguardo della pace senza tappe interme­die. Ne hanno parlato Obama e il presidente egiziano Hosni Mubarak; ne ha parlato l'in­viato americano George Mitchell con il mini­stro della difesa israeliano Ehud Barak, che si è impossessato del dos­sier al posto del discusso e quasi impresentabile capo della diplomazia Avigdor Lieberman; e ne ha parlato lo stesso Mitchell con il pre­sidente palestinese Abu Ma­zen. L'obiettivo è lanciare un progetto vincolante, ma­gari impreziosito dal vertice Obama-Netanyahu-Abu Mazen, che calami­ti i punti di convergenza, annacquando i ri­spettivi veti. Con l'obiettivo di offrire un' onorevole via d'uscita da una situazione po­tenzialmente pericolosissima.
Impresa ardua, ma che oggi non appare impossibile, perché le parti sono consapevo­li che lo status quo non è più sopportabile. I rischi di rapido deterioramento sono eviden­ti. Mentre la Striscia di Gaza continua ad es­sere un focolaio di tensioni, il dialogo fra i laici del Fatah e i fondamentalisti di Hamas non decolla e Israele è in bilico tra la necessi­tà del realismo e le pressioni dei falchi, una preoccupante notizia è stata anticipata dall' agenzia cinese Xinhua, che dimostra come Pechino sia attentissima a tutto ciò che acca­de nel Medio Oriente. Siria e Iraq, in passato nemiche giurate e da qualche tempo prota­goniste di un interessante disgelo, hanno de­ciso di richiamare i rispettivi ambasciatori.
L'accusa di Bagdad è assai grave: dice che a Damasco, dove si sono rifugiati dopo la ca­duta del regime di Saddam, alcuni irriducibi­li nostalgici del dittatore impiccato hanno invitato i loro complici in Iraq a compiere spettacolari attentati terroristici, già costati, nelle ultime settimane, centinaia di morti. L'ordine di rientro dell'ambasciatore in Siria è stato seguito dalla dura risposta di Dama­sco, offesa per l'accusa, ritenuta una perfida e infamante manovra dettata da «ragioni in­terne ». Immediato il richiamo, per ritorsio­ne, del proprio ambasciatore.
Al di là delle frequenti controversie tra i due paesi, stupisce che tutto questo avven­ga mentre il presidente Bashar el Assad è im­pegnato a dimostrare che intende collabora­re attivamente con chi vuo­le pacificare l'Iraq. La turba­tiva affiora nel momento in cui il paese che Damasco considera prioritario per i propri interessi, cioè la re­pubblica libanese, sta viven­do una fase di riconciliazio­ne nazionale, dopo la vitto­ria alle elezioni del fronte an­tisiriano di Saad Hariri, figlio dell'ex pre­mier assassinato nel 2005. L'altro giorno, nell'ufficio del capo dello stato Michel Suley­man, si sono incontrati appunto Hariri e il suo avversario, il generale cristiano Michel Aoun, alleato dell'Hezbollah e oggi vicino al­la Siria. Entrambi sorridenti, davano l'im­pressione di essere pronti a collaborare.
Segnali contraddittori quindi, che dimo­strano due cose: che il mondo arabo, pur barricato in difesa della proposta di pace che prevede il riconoscimento di Israele in cambio del ritiro da tutti i territori occupati, è ancora diviso sulla possibilità di trovare un accordo; e che gli ostacoli che il piano complessivo di Barack Obama dovrà affron­tare sono davvero proibitivi.

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