Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele, Netanyahu vicino alla pace irrita la sinistra filo - araba Analisi di R. A. Segre. Dichiarazioni di Salam Fayyad riportate da Umberto De Giovannangeli
Testata:Il Giornale - L'Unità Autore: R. A. Segre - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Israele, la destra vicina alla pace irrita la sinistra pro-palestinese - Palestina, la terza intifada è la disobbedienza civile»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 29/08/2009, a pag.14, l'analisi di R. A. Segre dal titolo " Israele, la destra vicina alla pace irrita la sinistra pro-palestinese ". Dall'UNITA', a pag. 20, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Palestina, la terza intifada è la disobbedienza civile ". Pubblicheremo domani un commento sulle richieste di Salam Fayyad nella 'Lettera da Gerusalemme ' di Angelo Pezzana. Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - R. A. Segre : " Israele, la destra vicina alla pace irrita la sinistra pro-palestinese "
R. A. Segre
Non è raro che in politica le destre realizzino i programmi delle sinistre e viceversa. Fa parte del gioco democratico. Ma se il premier Bibi Netanyahu, così odiato in patria e all'estero dalle sinistre, riuscisse a comporre il conflitto palestinese, sarebbe non solo la conferma della salute della democrazia israeliana ma obbligherebbe gli intellettuali innamorati dei palestinesi e votati all'odio dell'occidente «a mangiarsi - come dicono gli inglesi - il cappello». Israele non è certo vicino alla pace coi palestinesi e forse non ci arriverà con il governo Netanyahu. Ma ci sono i segni che la tattica adottata dal premier israeliano e violentemente denunciata come razzista e colonialista dentro e fuori di Israele sta producendo in sordina dei risultati. Due sono i principi su cui si muove Netanyahu: non si dà nulla senza ricevere, perché Israele non è un intruso ma a casa sua in Terrasanta; Israele non è la coda che fa muovere il cane americano ma uno Stato, che per quanto piccolo, sa dire no a Obama come ai leader arabi islamici che attendono o invocano per la sua scomparsa. Quanto ai piccoli segnali di disgelo nel conflitto palestinese, sono almeno quattro. In primo luogo Mahmud Abbas, presidente della Autorità palestinese, ha accettato di incontrare Netanyahu a New York dopo aver giurato di non farlo prima della completa cessazione delle costruzioni israeliane nelle zone occupate. In seconda battuta il veto «totale» di Washington alle costruzioni negli insediamenti, dopo gli incontri di Netanyahu a Londra con Mitchell, inviato di Obama per la Palestina, è diventato un veto «condizionato» anche per Gerusalemme est, dove il «diritto degli ebrei di abitare ovunque desiderino» sembra ammesso, sia pure in sordina e per il momento dall'America. Di fronte all'intransigenza iraniana diventa pericoloso per Washington indebolire militarmente l'alleato. C’è poi da segnalare (ed è il terzo indizio di «disgelo») che Ahmed Jabri, comandante della fazione militare Izat Din Qassam di Hamas che ha nelle sue mani il caporale Shalit, è partito diretto al Cairo per definire l'accordo per lo scambio del caporale con prigionieri palestinesi. Se finalmente raggiunto, questo accordo, dieci volte tentato dall'Egitto e dieci volte fallito, rappresenterebbe un enorme contributo di popolarità per Netanyahu. Infine martedì scorso a Ramallah, per la prima volta nella storia dell'Olp, il premier palestinese Salam Fayyad ha presentato un programma di creazione delle infrastrutture dello Stato palestinese da realizzare entro due anni. L'annuncio è rivoluzionario perché implicitamente riconosce che per creare uno stato - come sostiene Netanyahu - occorre occuparsi «dell'economia, delle fogne e delle scuole», piuttosto di come distruggere il vicino. È la fine del mito di Arafat. Come si spiegano questi cambiamenti? Anzitutto con la collaborazione militare fra Israele e il governo palestinese per distruggere le basi di Hamas in Cisgiordania e lottare contro il terrorismo. In secondo luogo con l'esito delle elezioni di al Fatah dalle quali il presidente Abbas è uscito rinforzato. L'assicurazione datagli da Israele di non liberare il suo più pericoloso concorrente Barghuti dalla prigione, la ripresa economica della Cisgiordania grazie agli aiuti europei e all'eliminazione di molti posti di blocco israeliani, l'estremismo di Hamas che ha impedito a 300 membri di al Fatah a Gaza di partecipare al congresso di Betlemme, lo hanno aiutato. Infine sembra esserci la nuova consapevolezza da parte di Obama e dei leader arabi di aver più bisogno della collaborazione di Israele di quanto Israele abbia bisogno del riconoscimento arabo. L'impegno americano e europeo a rinforzare le sanzioni contro l'Iran, unitamente a quello israeliano a non allargare gli insediamenti in Cisgiordania, rende furiosi contro Netanyahu i coloni e i suoi oppositori all'interno del Likud. È però anche una carta che il premier israeliano sta abilmente giocando. Gli basta porre la domanda «chi mettete al mio posto?» a Washington, Londra, Parigi e Berlino. Neppure in Israele esiste per il momento una risposta credibile.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Palestina, la terza intifada è la disobbedienza civile "
Salam Fayyad
Disobbedienza civile più infrastrutture. La lotta nonviolenta contro il «muro dell’apartheid» e l’ambizioso progetto di dare autonomia economica ad uno Stato di Palestina. Uno Stato da realizzare entro il 2011. Un obiettivo fattibile. A esserne convinto è Salam Fayyad, primo ministro palestinese. Di ciò Fayyad, tecnocrate ed ex funzionario della Banca mondiale molto stimato a Washington, ha parlato pubblicamente nei giorni scorsi a Ramallah. «La creazione di uno Stato entro i prossimi due anni è un dovere, ed è un traguardo realizzabile », sostiene Fayyad. I16 anni seguiti agli accordi di Oslo (fra Israele e Olp) si sono rivelati sterili, ha ammesso il premier dell'Anp, e per questo i palestinesi devono prendere ora in mano il loro futuro, senza attendere oltre. «Abbiamodeciso di accelerare la fine dell' occupazione israeliana lavorando duro per costruire realtà positive sul terreno, facendo emergere il nostro Statocomeunfatto compiuto che non possa più essere negato », sottolinea Fayyad. RILANCIO AMBIZIOSO Sessantacinque pagine. È il documento che sostanzia l’affermazione di Fayyad. L’Unità ne ha preso visione nella sua interezza. Quello elaborato dal governo dell’Anp è un programma ambizioso, che segna una profonda discontinuità con il passato. Una discontinuità di progetto e di modi per realizzarlo. Quel documento è una vera e propria rivoluzione culturale destinata a segnare il confronto in campo palestinese e nel dialogo con Israele. A cominciare dall’individuazione di una «terza via» tra la militarizzazione estrema, che ha segnato la seconda Intifada, e la rassegnazione all’occupazione israeliana. Le pressioni diplomatiche straniere sono un pezzo importante di una strategia volta a contrastare la colonizzazione ebraica dei Territori occupati. Ma il dato di novità presente nel documento è la scelta della pratica della disobbedienza civile pacifica contro la colonizzazione e il «Muro dell’apartheid » (la Barriera di sicurezza per Israele) in Cisgiordania. A portare avanti la disobbedienza civile saranno appositi comitati popolari, da realizzare, rimarca il documento, «in ogni città e villaggio» della Cisgiordania. Una pratica di resistenza non violenta che, nell’intenzione degli ispiratori, dovrebbe rafforzare il dialogo dal basso con quelle associazioni e movimenti israeliani che contestano la politica unilateralista dell’attuale governo guidato da Benjamin Netanyahu. COSTRUIRE UN FUTURO Sul piano della strategia negoziale, il documento rilancia con forza, sostanziandoli, due principi: una trattativa a tutto campo per il raggiungimentodi un accordo globale; e la reciprocità come guida alla definizione dei confini fra i due Stati. Il che significa che l’Anp non fa del ritorno ai confini antecedenti la Guerra dei Sei Giorni (1967) untabù intoccabile, maè disposta a negoziare modifiche che tengano conto di una realtà diversa da quella di 40 anni fa. Definire i confini porta con sé una soluzione della questione cruciale degli insediamenti. Concetto che il presidente egiziano Hosni Mubarak ha ribadito con forza, trovando orecchie attente, nel suo recente incontro tro alla Casa Bianca con il presidente Usa, Barack Obama. Su Gerusalemme, il documento rilancia l’idea diunacittà «aperta», condivisa, capitale di due Stati. L’obiettivo immediato del governo di Ramallah, rimarca il documento, «è consolidare le forze di sicurezza, i servizi pubblici, le infrastrutture». Anche se, ribadisce Fayyad, «il tempo stringe poiché l’attività di insediamento prosegue, così come la costruzione del Muro, la confisca delle terre palestinesi, la demolizione delle case arabe a Gerusalemme Est». Uno Stato indipendente è uno Stato che ha piena sovranità su tutto il suo territorio nazionale, ma è anche uno Stato che ha gambe economiche per sorreggersi. Gambe che Fayyad intende irrobustire da subito. Il documento entra nel merito e «modella» nei dettagli queste gambe. Alcuni esempi: per rilanciare l’economia della Cisgiordania, esso indica fra l’altro la necessità di un aeroporto nella valle del Giordano. Fayyad ritiene inoltre prioritario il rafforzamento dei collegamenti ferroviari con i Paesi arabi.
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