Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il senatore Barack Obama era contrario alle 'extraordinary rendition' Ha cambiato idea una volta diventato presidente. Cronaca del Foglio, intervista a Jeb Bush di Paolo Mastrolilli
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: La redazione del Foglio - Paolo Mastrolilli Titolo: «La prima 'rendition' di Obama - Obama, un pericolo per gli Usa»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/08/2009, in prima pagina, l'articolo dal titolo " La prima 'rendition' di Obama ". Dalla STAMPA, a pag. 11, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Jeb Bush dal titolo " Obama, un pericolo per gli Usa ". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " La prima 'rendition' di Obama "
Barack Obama
Il senatore Barack Obama era contrario alle “extraordinary rendition”, lo strumento utilizzato dalla Cia per sequestrare i terroristi e trasferirli in paesi terzi dove le regole di interrogatorio sono meno rigide. La pratica, escogitata negli anni di Bill Clinton, è diventata nota con George W. Bush (e in Italia per il caso del rapimento a Milano di Abu Omar). Una volta diventato presidente, Obama ha cambiato idea e un paio di giorni fa ha annunciato che se ne servirà anche lui. Gli esperti ne prevedono un uso addirittura maggiore, in seguito alla decisione di non ricorrere alle “tecniche avanzate di interrogatorio” degli anni scorsi. I cinici dicono invece che Obama se ne servirà di meno perché preferisce uccidere i talebani con i missili sganciati dai droni, invece che catturarli. La storia della prima rendition di Barack Obama, perlomeno della prima di cui si ha notizia, sta facendo il giro del web, in particolare sul liberal Huffington Post, ed è approdata anche sui giornali cartacei come il Los Angeles Times. Ad aprile, in Afghanistan, il libanese Raymond Azar è stato arrestato su mandato di un giudice americano, spogliato e fotografato, ispezionato, incappucciato e incatenato a polsi, vita e caviglie per 18 ore e trasferito in Virginia con le stesse tecniche usate dalla Cia negli anni della precedente Amministrazione. L’operazione, però, non è stata condotta dagli agenti cattivi della Cia, ma dai buoni dell’Fbi, gli uomini cui Obama ora ha delegato gli interrogatori dei super terroristi per evitare gli abusi del passato. Il caso è finito in tribunale. I legali del libanese hanno accusato gli agenti di non avergli dato cibo per 30 ore e di averlo gettato in una cella gelida. Gli agenti gli avrebbero fatto vedere la foto della moglie e dei quattri figli e gli hanno detto che se non avesse confessato non li avrebbe “mai più visti”, ovvero la stessa cosa che qualche giorno fa si è scoperto avesse fatto la Cia all’ideatore delle stragi dell’11 settembre. Terrorizzato, Azar ha firmato la confessione. Il dipartimento di Giustizia di Obama, come succedeva ai tempi di Bush, ha negato le minacce e liquidato come bizzarra l’idea che il trattamento subìto da Azar possa essere definito “tortura”. L’aspetto surreale è che Azar non è accusato di terrorismo, ma di aver gonfiato le fatture di una società edile libanese che ha vinto un appalto del Pentagono da 50 milioni di dollari per la ricostruzione dell’Afghanistan.
La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Obama, un pericolo per gli Usa "
Jeb Bush
Obama minaccia la libertà degli americani e la loro autonomia dal governo». Jeb Bush, il figlio prediletto che secondo papà George era predestinato alla Casa Bianca, ha appena lanciato l’attacco più pesante contro il successore di suo fratello, quando una visita improvvisa lo costringe a fermarsi. Nella sala luccicante di cristalli del Grand Hotel di Rimini, dove è venuto per partecipare al Meeting di Cl, è entrato un vecchio amico, Tony Blair. Si avvicina con un grande sorriso, chiede educatamente scusa per l’interruzione e va a sedersi a fianco dell’ex governatore della Florida, un po’ imbarazzato perché sta in jeans e camicia azzurra aperta senza cravatta. «Ciao Jeb, come stai?». «Niente male Tony, è sempre un piacere venire in Italia». «E George? Come se la passa? Gli ho mandato una e-mail, è diventato parecchio veloce col computer». «Per forza, sta scrivendo il suo libro di memorie». «Anch’io - dice Blair -, a che punto sta?». «Viaggia meno di te, quindi è arrivato quasi alla fine. È di ottimo umore». «Ci dovremmo scambiare le bozze. Io sono impegnato anche col Medio Oriente, come mediatore del Quartetto, però ci tenevo a venire qui». «Parlerai - chiede Jeb - della tua conversione? Sai che anch’io sono diventato cattolico per amore di mia moglie? È di origini messicane e la domenica andavamo in chiese diverse, non aveva senso. Ho cominciato a frequentare il mondo cattolico con lei, ma poi la dottrina mi ha interessato sempre di più». «Vero, è stato lo stesso per me», replica Blair. Deve andare, si alza e saluta. Ridono. Quando Bush torna, confida: «Gli ho detto che se decidesse di candidarsi alla Casa Bianca, farei il manager della sua campagna: vincerebbe a mani basse, in America resta popolarissimo». Perché Obama è una minaccia per la libertà? «Il piano mastodontico per la sanità, gli interventi da 787 miliardi di dollari nell’economia, il deficit salito a 1,8 trilioni, il governo che ormai interferisce in ogni aspetto della vita quotidiana: vuole stravolgere la nostra concezione dello Stato. Da noi la libertà è sempre stata inversamente proporzionale all’ingerenza delle istituzioni, ha favorito la creatività che ci ha resi grandi». C’è chi va ai comizi contro la riforma sanitaria di Obama armata: non sono loro una minaccia? «Capitava anche a mio fratello, ma la stampa liberal non lo raccontava. Comunque la natura di questa protesta è spontanea e positiva: si battono per i valori fondanti degli Usa, che coincidono molto con la dottrina cattolica della sussidiarietà, di cui sono venuto a parlare qui. Aiutate la gente ad organizzarsi su base volontaria, magari motivata dalla fede: farà certamente meglio dello Stato». È l’inizio della sua campagna del 2012? «No, per ora solo un movimento spontaneo, da cui però potrebbe rinascere il conservatorismo americano». Gli manca un leader: lei è pronto? «Ci sono altri repubblicani, Sarah Palin, Mike Huckabee e Mitt Romney, che stanno già facendo attivamente campagna per la Casa Bianca». Però non esclude al 100% di candidarsi. «Ecco, mettiamola così». La crisi economica è cominciata con suo fratello, non era giusto intervenire per contrastarla come ha fatto Obama? «Sì, ma lui ha esagerato. Lo Stato è diventato padrone di banche, case auto, e ora vuole prendersi la sanità. Gli stimoli da 787 miliardi sono molto dubbi: la maggior parte dei soldi non è stata neppure spesa, o verrà investita nell’arco di dieci anni». Lei cosa avrebbe fatto? «Tagli alle tasse, soprattutto per piccole imprese, e investimenti diretti nelle infrastrutture». Come giudica la reazione dell’Europa? «Un po’ lenta e priva di stimoli sufficienti». Ora cosa dovremmo fare? «Darci tutti una calmata: questi continui interventi creano solo confusione, impaurendo la gente che non investe più. Abbiamo stabilizzato il settore finanziario, ora lasciamo che il mercato faccia il suo corso». Quando ne usciremo? «Difficile dire. L’occupazione tarderà a risalire e rischiamo una ricaduta a doppia w, o quanto meno di restare piatti per parecchio tempo». In Italia il dibattito sulla crisi si è intrecciato con quello sull’immigrazione: il governatore Draghi, ha detto che il lavoro degli stranieri è una risorsa. «Ha ragione, è anche un’opportunità per la nostra politica estera, perché lega molti Paesi in via di sviluppo agli interessi occidentali». L’immigrazione, però, porta anche il problema integrazione e sicurezza. «Chi viene in America può realizzare un sogno. In cambio, deve accettare la nostra cultura e storia: non possiamo sopportare all’infinito enclave separate. Naturalmente possono non assimilare la nostra cultura: in questi casi la soluzione sono i permessi temporanei di lavoro». L’Afghanistan è una guerra sempre più complicata: stiamo perdendo? «Io mi fido del generale Petraeus, un vero eroe americano, che ha già trovato la strategia vincente in Iraq mentre tutti ci criticavano. Però devo dire una cosa ai nostri alleati: non è possibile che gli Usa restino soli a difendere gli interessi e la civiltà occidentale. Ora, a causa della crisi, ci manca anche la capacità economica, e un ritiro danneggerebbe tutti». È scettico sul riscaldamento globale? «Sì, perché vedo giudizi scientifici contrastanti. Però possiamo trovare un terreno comune nello sviluppo di energie alternative, a partire dal nucleare, ma non solo». In Italia c’è polemica perché Berlusconi andrà in Libia, partner energetico cruciale, nonostante le feste di Gheddafi all’agente condannato per Lockerbie. «Non sono così pazzo da impicciarmi della politica italiana, ma la decisione del governo scozzese di liberare un terrorista è stata un oltraggio. È la prova di quanto dicevo prima: dobbiamo smettere di dipendere da fonti energetiche instabili e inaffidabili».
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