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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
27.08.2009 Medio Oriente: riparte il processo di pace
Tutti tranne il quotidiano comunista vedono segnali positivi nell'incontro fra Netanyahu e Mitchell

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Francesco Battistini - Fabio Scuto - la redazione del Foglio - Michele Giorgio
Titolo: «Medio Oriente: riparte il processo di pace - Israele Palestina, accordo in vista. Meno colonie, ma più sanzioni all'Iran - La road map de facto - Bibi convince Obama»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/08/2009, a pag. 14, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Medio Oriente: riparte il processo di pace  ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La road map de facto ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 13, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Israele Palestina, accordo in vista. Meno colonie, ma sanzioni all'Iran ". Dal MANIFESTO a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Bibi convince Obama " preceduto dal nostro commento. Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Medio Oriente: riparte il
processo di pace "

GERUSALEMME — A un certo punto, raccontano, Bi­bi è sbottato: «Senatore Mi­ tchell, ma come facciamo a imbrogliarvi? Come faccia­mo a ingrandire gl’insedia­ menti senza che ve ne accor­giate? Basta solo che andiate su Google Earth !... ». Un atti­mo di silenzio. Poi, tutti hanno riso. E do­po quattro ore di faccia a fac­cia a Londra con la sua be­stia nera George Mitchell, l’inviato americano che «va d’accordo con Netanyahu so­lo sul disaccordo» (copyri­ght stampa israeliana); dopo una guerra a Gaza che otto mesi fa aveva spazzato via il dialogo fra israeliani e pale­ stinesi; dopo un’elezione, a febbraio, che in Israele ave­va spazzato via il dialogo con le colombe; dopo la rivo­luzione di Barack Hussein Obama, alla Casa Bianca, che ha spazzato via l’antiarabi­smo militante; insomma, do­po un anno di gelo, la noti­zia è che il disgelo è comin­ciato: per la prima volta, Oba­ ma, Netanyahu e il presiden­te palestinese Abu Mazen si siederanno a uno stesso ta­volo. A New York, il 23 set­tembre, all’Assemblea gene­rale dell’Onu. O a Pittsbur­gh, il giorno dopo, alla riu­nione del G-20. Qualcosa si muove, final­ mente. Sono «necessari ne­goziati costruttivi», dicono Mitchell e Bibi. E anche: ab­biamo «fatto buoni progres­si ». Dietro quelle sei parole, un gran daffare di tutte le di­plomazie. Proposte, piani, appunta­menti. Una delegazione parti­rà subito da Gerusalemme per Washington; mercoledì prossimo, è probabile ci sia già un primo incontro fra israeliani e palestinesi, pro­motore il figlio di Abu Ma­zen, Yasser Abbas; quindi s’attende l’arrivo dello stesso Mitchell e la preparazione del vertice. Che cosa ci sia sul tavolo, lo rivela il Guar­dian : per 9-12 mesi, Netan­yahu è disposto a un congela­mento degl’insediamenti in Cisgiordania, ma non a Geru­salemme Est («quella non è una colonia, non possiamo accettare riduzioni della no­stra sovranità»), né dove si stanno già costruendo 2.400 case; in cambio, otterrebbe sanzioni più dure di America ed Europa contro l’Iran («la minaccia alla nostra esisten­za è quella, non le colonie»). Nel pacchetto, anche una normalizzazione nei rapporti fra Israele e molti Paesi ara­bi: apertura reciproca d’am­basciate, libertà di sorvolo per la compagnia El-Al, ba­sta coi veti ai viaggiatori che hanno timbri israelia­ni sul passaporto... Il fatto che nessuno di­ca no e tutti accettino di sedersi, ne fa una posta seria. Più di quella un po’ velleitaria buttata lì dal premier palestinese Fayed, che riprende pari pari le idee di Obama e par­la d'una pace possibile «en­tro due anni». Più di quella rilanciata dal presidente isra­eliano Shimon Peres, accolta con indifferenza, che chiede subito confini temporanei del nuovo Stato palestinese e offre parte di Territori. In re­altà, le posizioni restano sem­pre quelle: Abu Mazen che non accetta nulla di meno dello smantellamento delle colonie e di quanto stabilito dalla Road Map; Netanyahu che parla di «crescita natura­le e inarrestabile» dei coloni — «non abbiamo rubato la terra a nessuno», ha ripetuto a Mitchell —, esigendo un ri­conoscimento palestinese dell’«ebraicità» d’Israele e una Palestina smilitarizzata. Per non parlare del disac­cordo su Gerusalemme, sui rifugiati del 1948, su Gaza... Secondo un sondaggio, 500 intervistati, quasi due terzi degl’israeliani sono contrari alle proposte di Obama e l’al­tro terzo direbbe sì, ma a pat­to di concessioni arabe. Eppure «s’è aperta una fi­nestra di tempi assolutamen­te vantaggiosa», è ottimista la cancelliera tedesca Angela Merkel. La prima, dopo un anno. Anche se a chiuderla basta un clic. Come su Google Ear­th .

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " Israele Palestina, accordo in vista. Meno
colonie, ma sanzioni all'Iran "

 George Mitchell

GERUSALEMME - Non poteva essere l´incontro decisivo quello di Londra fra il
premier israeliano Bibi Netanyahu e l´inviato di Barack Obama George Mitchell.
Ma è servito a «saggiare» le parti per arrivare presto a un vertice a tre,
Netanyahu-Obama-Abu Mazen, a margine dell´Assemblea generale dell´Onu in
settembre a New York.
Un mese di tempo per smussare gli angoli, ridimensionare le aspettative,
superare le incertezze e le riserve di israeliani e palestinesi e annunciare
insieme l´avvio del nuovo piano di pace Usa per il Medio Oriente, uno dei
«goal» che Obama si è prefisso entrando alla Casa Bianca lo scorso gennaio.
Ieri Netanyahu e Mitchell si sono parlati per quattro ore e alla fine hanno
rilasciato solo un breve comunicato. Nessun annuncio clamoroso, nessuna svolta,
ma si moltiplicano i segnali di ottimismo e cresce la sensazione che il
pressing di Washington, focalizzato sullo spinoso punto del congelamento degli insediamenti israeliani nei Territori, inizi a far breccia. Negoziatori Usa ed
israeliani si rivedranno la prossima settimana negli Stati Uniti. Netanyahu,
che dopo la tappa londinese è atteso in Germania, si è impegnato a non
costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania ma intende consentire quella che
chiama «crescita naturale» delle colonie esistenti, cioè i 2400 alloggi
attualmente in costruzione. Una formula non lontana dal «blocco totale» chiesto
da Obama, c´è quindi margine di manovra. L´apertura l´ha vista anche il
presidente dell´Anp Abu Mazen, che pur rimanendo fermo nella richiesta del
«congelamento» totale delle colonie, si è detto pronto a incontrare Netanyahu.
E sarebbe la prima volta da quando il leader del Likud è diventato premier.
La missione europea di Netanyahu ha avuto dunque lo scopo di porre le basi
per un compromesso, che poggia sulla principale leva politica di cui dispongono
l´amministrazione Usa e l´Unione Europea nei confronti di Israele: la promessa
di sanzioni più severe contro l´Iran. Secondo quanto ha rivelato ieri dal
giornale britannico The Guardian, il «blocco parziale» offerto da Israele
durerebbe dai 9 ai 12 mesi - con l´esclusione di Gerusalemme Est e dei progetti
già in via di completamento - e durante questo periodo riavviare i negoziati
con l´Anp sotto l´egida della Casa Bianca. In cambio, se entro il vertice del
G20 del 24 settembre a Pittsburgh l´Iran non rispetterà le richieste della
comunità internazionale sulla sospensione dell´arricchimento dell´uranio, Stati
Uniti, Francia e Germania chiederanno al Consiglio di sicurezza dell´Onu di
varare nuove sanzioni - probabilmente mirate alle importazioni iraniane di
prodotti raffinati e tecnologia estera.
Nell´ambito di un «accordo quadro» con i palestinesi, Israele si aspetta
anche dei passi concreti verso la normalizzazione dei rapporti con i Paesi
arabi, come il diritto di sorvolo per gli aerei della compagnia di bandiera "El
Al", l´apertura di uffici commerciali e rappresentanze diplomatiche, la fine
del divieto di ingresso per i viaggiatori in possesso di visto israeliano sui
passaporti. Al momento c´è un accordo di massima da parte di Bahrein, Qatar,
Emirati e Marocco, ma non con l´Arabia Saudita e Riad non ha intenzione di fare
concessioni se non in vista di un accordo sullo status finale della Palestina.

Il FOGLIO - " La road map de facto "

 Fayyad

Il premier palestinese Fayyad ha annunciato che in due anni ci sarà uno stato palestinese de facto, al di là dei negoziati, delle road map e dei meeting che da sempre scandiscono l’inefficacia della strategia dei passi coordinati. I palestinesi vogliono fare uno stato per, certo, liberarsi dall’occupazione di Israele, ma anche per “dare stabilità alla regione” e avviare un percorso “per attirare investimenti stranieri”. Vogliono esistere e non soltanto resistere. E’ una novità importante che va gestita e monitorata: già nel 1999 Arafat annunciò la volontà di creare uno stato palestinese, ma lo fece a corredo del “no” a tutte le concessioni – e allora erano davvero tante – fatte dalla comunità internazionale. Era uno stato di sfida, non certo la coronazione dell’ideale dei due popoli due stati vicini e in pace. Fayyad – che pure è un uomo molto solo, ancor più del rais Abu Mazen confinato in Cisgiordania – non appare come un provocatore, ma come uno che ha capito che l’iniziativa di uno stato deve venire prima di tutto da chi abiterà quello stato. Il controllo del territorio è indispensabile e l’Anp non ce l’ha: Gaza è la terra di Hamas (o al limite di al Qaida) e chi è sospettato di essere di al Fatah non ha vita lunga. Ma lo stato dei palestinesi deve comprendere tutti, e soltanto i palestinesi possono riunirsi – con gli accordi o con la forza, saranno loro a deciderlo. L’annuncio di Fayyad è in questo senso il segnale di un nuovo senso di responsabilità ed è il risultato di un approccio alla questione israelo-palestinese inaugurato dall’ex premier Sharon. Fu lui, nel 2005, a decidere in contrasto con tutti, a partire dal suo partito e dai suoi amici, di ritirarsi unilateralmente da Gaza. Basta con i passi coordinati – disse Sharon – vi lasciamo la terra che desiderate, ce ne andiamo da soli. Sradicò i settlers dalle loro case e dalle loro terre – “soffro”, ammise durante un accorato messaggio agli israeliani nei giorni terribili e grandiosi del ritiro – e disse ai palestinesi: ora di questa terra fatene buon uso. Il suo appello è rimasto inascoltato, ma Fayyad oggi riaccende una speranza.

Il MANIFESTO - Michele GIorgio : " Bibi convince Obama "

La prima frase dell'articolo fa comprendere l'opinione di Michele Giorgio. A suo avviso le sanzioni all'Iran sono pesantissime, le concessioni fatte da Israele agli arabi, ridicole, quasi nulle. Giorgio non riesce a contenere lo sdegno : "la promessa di sanzioni più severe contro l'Iran in cambio soltanto di una breve sospensione delle attività edilizie negli insediamenti colonici. Come era prevedibile Obama ha ceduto dopo aver, solo in apparenza, fatto la voce grossa sulla colonizzazione.". Le sanzioni contro l'Iran sono necessarie per via della sua ostinazione a continuare il programma nucleare che, come scopo principale, ha la costruzione di ordigni atomici. Oramai solo il Manifesto crede alla storia dell'uso pacifico del nucleare iraniano.
Giorgio scrive : "
Israele si aspetta inoltre dei passi concreti verso la normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi, come il diritto di sorvolo per gli apparecchi della compagnia di bandiera El Al, l'apertura di uffici commerciali e rappresentanze diplomatiche e la fine del divieto di ingresso per i viaggiatori in possesso di visto israeliano sui passaporti. ". La normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi non dovrebbe essere visto come uno sforzo immane da parte degli arabi. Dovrebbe essere conseguente al riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Ma Giorgio ha sul conflitto mediorientale la stessa visione di Hamas. Per questo nessuna offerta nè nessuna richiesta da parte di Israele gli sembrerà mai positiva. Ecco l'articolo:

Sanzioni pesantissime contro Teheran - preludio di un attacco militare alle centrali atomiche iraniane –, ripresa dei negoziati israelo- palestinesi per la creazione di uno Stato di Palestina dalle frontiere «molli », e avvio della normalizzazione dei rapporti tra le petro-monarchie del Golfo e lo Stato ebraico, prima del raggioungimento di un accordo di pace nella regione. Benyamin "Bibi" Netanyahu a Londra ha venduto a caro prezzo il congelamento, parziale e limitato a pochi mesi, dell’espansione delle colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata. Il premier israeliano ha fatto il pieno in terra britannica, a poche settimane dall'annuncio ufficiale del «piano di pace» della Casa Bianca. Barack Obama, riferiva ieri in prima pagina il Guardian, è giunto vicinissimo a un accordo con Israele che permetterà la ripresa dei negoziati diretti fra lo Stato ebraico e l'Anp di Abu Mazen entro la fine di settembre. La missione europea del premier e leader della destra israeliana ha avuto proprio lo scopo di porre le basi per l’intesa: la promessa di sanzioni più severe contro l'Iran in cambio soltanto di una breve sospensione delle attività edilizie negli insediamenti colonici. Come era prevedibile Obama ha ceduto dopo aver, solo in apparenza, fatto la voce grossa sulla colonizzazione. L’alleanza strategica (e non solo) tra Usa e Israele ha avuto il sopravvento sulla legge internazionale che afferma inmodo inequivocabile la illegalità di tutte le colonie nei Territori occupati palestinesi. E sta per cedere, sotto il peso delle pressioni americane (ed europee), anche Abu Mazen disposto, riferivano ieri fonti dell’Anp, ad incontrare Netanyahu, il mese prossimo amargine dell’assemblea generale dell’Onu, dopo aver escluso qualsiasi possibilità di contatto con il premier israeliano senza l’interruzione totale delle attività di colonizzazione. Le basi del compromesso Usa-Israele sono state discusse durante l’incontro che Netanyahu ha avuto ieri con l’inviato speciale statunitense, George Mitchell. Si sono parlati per quattro ore, alla fine non hanno fatto alcun annuncio clamoroso. «È necessario cominciare negoziati costruttivi tra Israele e palestinesi per avanzare verso un accordo di pace regionale», recitava il comunicato congiunto, che chiede a tutte le parti «misure concrete che consentano di far progredire la pace». In poche parole, Abu Mazen la smetta e rientri subito nei ranghi. Negoziatori Usa ed israeliani si rivedranno la prossima settimana negli Stati Uniti. Prima di iniziare a parlare con Mitchell, Netanyahu aveva detto «Stiamo facendo progressi...Il nostro obiettivo è una pace complessiva, e questo è un obiettivo che abbiamo in comune con gli americani». E mentre il colloquio era ancora in corso il portavoce di Netanyahu, Mark Regev, ha detto che la speranza di una ripresa dei colloqui è «un lavoro in corso... penso che ci stiamo avvicinando». Secondo il Guardian, Israele offrirebbe una sospensione delle attività negli insediamenti colonici della durata compresa fra i 9 e i 12 mesi, con l'esclusione di Gerusalemme Est e dei progetti già in via di completamento (2.400 appartamenti). In cambio, se entro il vertice del G20 del 24 settembre Teheran non rispetterà le intimazioni in merito alla sospensione dell'arrichiemento dell'uranio, Stati uniti, Francia e Germania chiederanno al Consiglio di Sicurezza di varare nuove sanzioni, che prenderanno di mira le importazioni iraniane di prodotti raffinati e tecnologia estera. Decisivo sarà il parere di Russia e Cina contrarie ad'inasprire il regime di sanzioni contro Teheran, tuttavia la prossima pubblicazione del nuovo rapporto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica (Aiea) sulle attività iraniane potrebbe cambiare le carte in tavola. Israele si aspetta inoltre dei passi concreti verso la normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi, come il diritto di sorvolo per gli apparecchi della compagnia di bandiera El Al, l'apertura di uffici commerciali e rappresentanze diplomatiche e la fine del divieto di ingresso per i viaggiatori in possesso di visto israeliano sui passaporti. Al momento esisterebbe un accordo con Bahrein, Qatar, Emirati e Marocco. L'Amministrazione Obama sta ora valutando il piano del presidente israeliano Shimon Peres, che prevede la creazione di uno Stato palestinese con frontiere provvisorie, ma sarebbe più giusto dire «molli», quindi penetrabili da Israele quando lo riterrà necessario «per ragioni di sicurezza». Abu Mazen e l’Anp accetteranno questa soluzione dopo aver ripetuto per mesi che i palestinesi rifiuteranno soluzioni non definitive?

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