Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/08/2009, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "Iran sotto choc per il caso degli stupri in cella". Dalla REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " Condannate a morte i leader riformisti ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Iran sotto choc per il caso degli stupri in cella "
«Se gli stupri non cessano e il governo continua a negarli — ha promesso Karroubi — pubblicheremo nuove testimonianze più precise. Non mancano certo».
«Ero in prigione. Mi hanno bendato gli occhi, legato le mani. Mi hanno picchiato fino quasi ad uccidermi. Poi mi hanno fatto qualcosa che perfino i miscredenti e gli idolatri denuncerebbero ». E ancora: «Quando ho chiesto loro perché l’avessero fatto, mi hanno risposto: se la Guida Suprema conferma i risultati delle elezioni, nessuno può dubitarne ». Ha un nome e un cognome per ora riservati il giovane iraniano che una volta libero ha avuto il coraggio di raccontare lo stupro subito a Kahrizak, il famigerato centro di detenzione chiuso da qualche settimana perché ritenuto «eccessivo» perfino dal regime. E riservati restano, per ora, i dettagli di quelle violenze, come altre simili testimonianze di donne e uomini, quasi tutti giovani, tutti considerati «nemici della Rivoluzione ». Ma quelle frasi pubblicate ieri sul sito di Mehdi Karroubi sono solo un «frammento delle prove» che mostrano quanto continua a succedere nelle carceri iraniane. Lo ha messo in chiaro lo stesso leader riformatore, candidato alle presidenziali del 12 giugno «vinte» da Ahmadinejad, che diedero inizio alla nuova, mai finita ondata di repressione. «Se gli stupri non cessano e il governo continua a negarli — ha promesso Karroubi — pubblicheremo nuove testimonianze più precise. Non mancano certo».
Che le carceri di Evin e Kahrizak non fossero luoghi per pranzi di gala è cosa nota. Ma che la Guida Suprema Ali Khamenei, a cui fanno capo anche i pasdaran, permetta gli stupri è qualcosa che va oltre ogni limite perfino per molti conservatori. Argomento tabù in Iran, era stato proprio Karroubi tre settimane fa a denunciarne la pratica contro i detenuti. Causando un diniego stizzito del regime ma anche, per la prima volta, la richiesta da parte di alcuni ex deputati riformatori di mettere sotto inchiesta l’onnipotente Khamenei. Richiesta finita ovviamente nel nulla, cone quella di Amnesty e di altri organismi internazionali di condurre un’inchiesta indipendente.
Ora il parlamento dichiara che «indagherà » sulle accuse lanciate da Karroubi. Già in precedenza una simile iniziativa aveva portato alla chiusura di Kahrizak, decisa da Khamenei proprio per evitarvi un’ispezione. Ma nonostante i deputati (anche conservatori) siano sempre più critici nei confronti di Ahmadinejad e dei «suoi» pasdaran sarà difficile che il nuovo impegno a indagare porti a qualcosa. «Il parlamento ha il compito di controllare l'operato del governo e soltanto un’assemblea forte può contrastare la dittatura», ha detto ieri il presidente del parlamento Ali Larijani. Si riferiva al lavoro dei deputati nel vagliare per l’approvazione finale i nuovi ministri del secondo governo Ahmadinejad. Nessun accenno al dossier stupri, da lui già negati con forza. Qualcuno ha comunque voluto leggere in quelle parole un avvertimento più ampio all’ala dura del regime e al presidente. La divisione ai vertici del Paese è ormai evidente, anche se nulla è cambiato finora, se non in peggio.
Lo si è visto ancora una volta al Palazzo di giustizia di Teheran, dove ieri è andata in scena la quarta puntata del processo farsa contro i dissidenti. Come nelle prime udienze — tra gli imputati eccellenti erano comparsi l’ex vice presidente Mohammad Abtahi e la francese Clotilde Reiss — ieri i «nemici dell’Iran» sono apparsi provati e impotenti, pronti a «confessare » e a pentirsi. Lo ha fatto Saeed Hajjarian, l’ex falco diventato poi leader storico del movimento riformatore, consulente dell’ex presidente Khatami, architetto del suo programma (fallito) per una svolta moderata. Costretto su una sedia a rotelle dall’attentato che quasi lo uccise nel 2000, Hajjarian ha ammesso «i suoi gravi errori nel fornire analisi errate che hanno portato a molti misfatti». Ha confessato il professore iraniano-americano Kian Tajbakhsh. Non ha avuto modo di parlare ma era presente Saeed Laylaz, economista e giornalista, una delle voci più critiche negli ultimi anni contro Ahmadinejad. Di loro, finita l’udienza, non si è più saputo niente.
Le proteste fuori dal tribunale e da Evin sono intanto continuate, come sempre. Con solo una minima variante del copione: le famiglie dei detenuti hanno tenuto la cena di rottura del digiuno di Ramadan, iniziato sabato, insieme e per strada. Ma le forze dell’ordine le hanno cacciate con la solita violenza.
La REPUBBLICA . Vanna Vannuccini : "Condannate a morte i leader riformisti"
Processo - farsa ai manifestanti
" Se guardo alle elezioni da una prospettiva diversa giungo alla conclusione che siano state legali e corrette. Accettarne il risultato è un obbligo legale. L´alta affluenza alle urne è frutto della fiducia dei cittadini dopo trent´anni di partecipazione politica. Anche i miei colleghi dovrebbero chiedere scusa per le loro analisi false. Chiedo perdono alla nazione iraniana. Errori enormi sono stati compiuti a causa di cattive analisi. I nemici cercano di impedire lo sviluppo e il progresso dell´Iran. E´ dovere di tutti mantenere l´unità e la solidarietà nazionale. Khatami aveva avuto contatti fin dal 2006 con la Fondazione Soros" (ndr, che cercava, secondo l´accusa, di organizzare una "rivoluzione di velluto" in Iran).
Al terzo round dei processi farsa che hanno fatto piombare Teheran in un clima staliniano, il pubblico ministero ha chiesto per la prima volta "la massima pena possibile" per i più importanti dirigenti del movimento riformatore che avevano occupato alte cariche politiche durante la presidenza Khatami ed erano stati arrestati dopo le elezioni del 12 giugno. Prima di questa richiesta, scrive l´agenzia Fars, Said Hajarian aveva reso una "piena confessione" di cui l´agenzia riferisce i brani sopraddetti. Hajarian, amico e collaboratore di Khatami, è un uomo fragile da quando un assassino (identificato come un membro dei servizi segreti) nel 2000 gli sparò costringendolo su una sedia a rotelle e con difficoltà di parola. Con lui sono comparsi una ventina di imputati, i visi segnati dalla prigione, occhi cerchiati, guance cadenti («avrà approfittato della detenzione per fare una cura dimagrante», ha detto spudoratamente il portavoce del ministero degli Esteri parlando di Ali Abtahi, processato al primo round). Ieri era alla sbarra l´intero Fronte riformatore: Mostafa Tajzadeh, Abdollah Ramezansadeh, che era stato anche portavoce del governo Khatami, Behzad Nabavi, Mohsen Mirdamadi, allora capo della commissione Esteri del parlamento; due giornalisti, Said Leylaz, economista critico verso la politica economica di Ahmadinejad, e Koushani, direttore del giornale Etemad e Melli; Massud Bastani, che lavorava per un sito internet diretto da Mehdi Rafsanjani, ha "confessato" che il figlio dell´ex presidente «lavorava per creare l´illusione che ci fossero stati brogli». L´accusa è di «aver cercato di realizzare un colpo di Stato morbido, in collaborazione coi media occidentali, seminando confusione e utilizzando i partigiani dei candidati sconfitti». Il massimo della pena è la condanna a morte.
Può l´Occidente tollerare questi processi farsa? È la domanda che pone dal suo esilio londinese Ataollah Mohajerani, il ministro della Cultura più amato del primo governo Khatami. Risponde di no dal suo rifugio alla Duke University Mohsen Kadivar, leader riformatore. Con questo gruppo di potere non si può e non si deve negoziare, dice. Sarebbe inutile e finirebbe per legittimare il gruppo di potere che ha attribuito la vittoria elettorale a Ahmadinejad, e toglierebbe ogni speranza agli oppositori (che annunciano nuove manifestazioni). Questo vale anche sul dossier atomico perché «la cosa più importante non è tanto che l´Iran raggiunga il know how per fare la bomba ma quali forze governeranno il paese».
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