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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
26.08.2009 Iran: continua la repressione dei manifestanti contro il regime
Con torture, stupri e processi

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Cecilia Zecchinelli - Vanna Vannuccini
Titolo: «Iran sotto choc per il caso degli stupri in cella - Condannate a morte i leader riformisti»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/08/2009, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "Iran sotto choc per il caso degli stupri in cella". Dalla REPUBBLICA, a pag. 18, l'articolo di Vanna Vannuccini dal titolo " Condannate a morte i leader riformisti ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : "  Iran sotto choc per il caso degli stupri in cella "

 «Se gli stupri non cessano e il governo conti­nua a negarli — ha promesso Karroubi — pubblicheremo nuove testimonianze più precise. Non mancano certo».

«Ero in prigione. Mi hanno bendato gli occhi, legato le mani. Mi hanno pic­chiato fino quasi ad uccidermi. Poi mi hanno fatto qualcosa che perfino i mi­scredenti e gli idolatri denuncerebbe­ro ». E ancora: «Quando ho chiesto loro perché l’avessero fatto, mi hanno rispo­sto: se la Guida Suprema conferma i ri­sultati delle elezioni, nessuno può dubi­tarne ». Ha un nome e un cognome per ora riservati il giovane iraniano che una volta libero ha avuto il coraggio di rac­contare lo stupro subito a Kahrizak, il fa­migerato centro di detenzione chiuso da qualche settimana perché ritenuto «eccessivo» perfino dal regime. E riser­vati restano, per ora, i dettagli di quelle violenze, come altre simili testimonian­ze di donne e uomini, quasi tutti giova­ni, tutti considerati «nemici della Rivo­luzione ». Ma quelle frasi pubblicate ieri sul sito di Mehdi Karroubi sono solo un «frammento delle prove» che mostrano quanto continua a succedere nelle carce­ri iraniane. Lo ha messo in chiaro lo stes­so leader riformatore, candidato alle pre­sidenziali del 12 giugno «vinte» da Ah­madinejad, che diedero inizio alla nuo­va, mai finita ondata di repressione. «Se gli stupri non cessano e il governo conti­nua a negarli — ha promesso Karroubi — pubblicheremo nuove testimonianze più precise. Non mancano certo».
Che le carceri di Evin e Kahrizak non fossero luoghi per pranzi di gala è cosa nota. Ma che la Guida Suprema Ali Kha­menei, a cui fanno capo anche i pasda­ran, permetta gli stupri è qualcosa che va oltre ogni limite perfino per molti conservatori. Argomento tabù in Iran, era stato proprio Karroubi tre settimane fa a denunciarne la pratica contro i dete­nuti. Causando un diniego stizzito del regime ma anche, per la prima volta, la richiesta da parte di alcuni ex deputati riformatori di mettere sotto inchiesta l’onnipotente Khamenei. Richiesta fini­ta ovviamente nel nulla, cone quella di Amnesty e di altri organismi internazio­nali di condurre un’inchiesta indipen­dente.
Ora il parlamento dichiara che «inda­gherà » sulle accuse lanciate da Karrou­bi. Già in precedenza una simile iniziati­va aveva portato alla chiusura di Kahri­zak, decisa da Khamenei proprio per evi­tarvi un’ispezione. Ma nonostante i de­putati (anche conservatori) siano sem­pre più critici nei confronti di Ahmadi­nejad e dei «suoi» pasdaran sarà diffici­le
che il nuovo impegno a indagare por­ti a qualcosa. «Il parlamento ha il compi­to di controllare l'operato del governo e soltanto un’assemblea forte può contra­stare la dittatura», ha detto ieri il presi­dente del parlamento Ali Larijani. Si rife­riva al lavoro dei deputati nel vagliare per l’approvazione finale i nuovi mini­stri del secondo governo Ahmadinejad. Nessun accenno al dossier stupri, da lui già negati con forza. Qualcuno ha co­munque voluto leggere in quelle parole un avvertimento più ampio all’ala dura del regime e al presidente. La divisione ai vertici del Paese è ormai evidente, an­che se nulla è cambiato finora, se non in peggio.
Lo si è visto ancora una volta al Palaz­zo di giustizia di Teheran, dove ieri è an­data in scena la quarta puntata del pro­cesso farsa contro i dissidenti. Come nel­le prime udienze — tra gli imputati ec­cellenti erano comparsi l’ex vice presi­dente Mohammad Abtahi e la francese Clotilde Reiss — ieri i «nemici dell’Iran» sono apparsi provati e impotenti, pronti a «confessa­re » e a pentirsi. Lo ha fatto Sae­ed Hajjarian, l’ex falco diventato poi leader storico del movimen­to riformatore, consulente del­l’ex presidente Khatami, archi­tetto del suo programma (falli­to) per una svolta moderata. Co­stretto su una sedia a rotelle dal­l’attentato che quasi lo uccise nel 2000, Hajjarian ha ammesso «i suoi gravi errori nel fornire analisi errate che hanno portato a molti misfatti». Ha confessato il professore iraniano-america­no Kian Tajbakhsh. Non ha avu­to modo di parlare ma era pre­sente Saeed Laylaz, economista e giornalista, una delle voci più critiche negli ultimi anni contro Ahmadinejad. Di loro, finita l’udienza, non si è più saputo
niente.
Le proteste fuori dal tribunale
e da Evin sono intanto continuate, co­me sempre. Con solo una minima va­riante del copione: le famiglie dei dete­nuti hanno tenuto la cena di rottura del digiuno di Ramadan, iniziato sabato, in­sieme e per strada. Ma le forze dell’ordi­ne le hanno cacciate con la solita violen­za.

La REPUBBLICA . Vanna Vannuccini : "Condannate a morte i leader riformisti"

 Processo - farsa ai manifestanti

" Se guardo alle elezioni da una prospettiva diversa giungo alla conclusione che siano state legali e corrette. Accettarne il risultato è un obbligo legale. L´alta affluenza alle urne è frutto della fiducia dei cittadini dopo trent´anni di partecipazione politica. Anche i miei colleghi dovrebbero chiedere scusa per le loro analisi false. Chiedo perdono alla nazione iraniana. Errori enormi sono stati compiuti a causa di cattive analisi. I nemici cercano di impedire lo sviluppo e il progresso dell´Iran. E´ dovere di tutti mantenere l´unità e la solidarietà nazionale. Khatami aveva avuto contatti fin dal 2006 con la Fondazione Soros" (ndr, che cercava, secondo l´accusa, di organizzare una "rivoluzione di velluto" in Iran).
Al terzo round dei processi farsa che hanno fatto piombare Teheran in un clima staliniano, il pubblico ministero ha chiesto per la prima volta "la massima pena possibile" per i più importanti dirigenti del movimento riformatore che avevano occupato alte cariche politiche durante la presidenza Khatami ed erano stati arrestati dopo le elezioni del 12 giugno. Prima di questa richiesta, scrive l´agenzia Fars, Said Hajarian aveva reso una "piena confessione" di cui l´agenzia riferisce i brani sopraddetti. Hajarian, amico e collaboratore di Khatami, è un uomo fragile da quando un assassino (identificato come un membro dei servizi segreti) nel 2000 gli sparò costringendolo su una sedia a rotelle e con difficoltà di parola. Con lui sono comparsi una ventina di imputati, i visi segnati dalla prigione, occhi cerchiati, guance cadenti («avrà approfittato della detenzione per fare una cura dimagrante», ha detto spudoratamente il portavoce del ministero degli Esteri parlando di Ali Abtahi, processato al primo round). Ieri era alla sbarra l´intero Fronte riformatore: Mostafa Tajzadeh, Abdollah Ramezansadeh, che era stato anche portavoce del governo Khatami, Behzad Nabavi, Mohsen Mirdamadi, allora capo della commissione Esteri del parlamento; due giornalisti, Said Leylaz, economista critico verso la politica economica di Ahmadinejad, e Koushani, direttore del giornale Etemad e Melli; Massud Bastani, che lavorava per un sito internet diretto da Mehdi Rafsanjani, ha "confessato" che il figlio dell´ex presidente «lavorava per creare l´illusione che ci fossero stati brogli». L´accusa è di «aver cercato di realizzare un colpo di Stato morbido, in collaborazione coi media occidentali, seminando confusione e utilizzando i partigiani dei candidati sconfitti». Il massimo della pena è la condanna a morte.
Può l´Occidente tollerare questi processi farsa? È la domanda che pone dal suo esilio londinese Ataollah Mohajerani, il ministro della Cultura più amato del primo governo Khatami. Risponde di no dal suo rifugio alla Duke University Mohsen Kadivar, leader riformatore. Con questo gruppo di potere non si può e non si deve negoziare, dice. Sarebbe inutile e finirebbe per legittimare il gruppo di potere che ha attribuito la vittoria elettorale a Ahmadinejad, e toglierebbe ogni speranza agli oppositori (che annunciano nuove manifestazioni). Questo vale anche sul dossier atomico perché «la cosa più importante non è tanto che l´Iran raggiunga il know how per fare la bomba ma quali forze governeranno il paese».

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