Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Elezioni afghane, è testa a testa fra Karzai e Abdullah Cronaca di Andrea Nicastro, analisi del Foglio
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Andrea Nicastro - La redazione del Foglio Titolo: «Elezioni afghane, è testa a testa. I talebani fanno strage nel Sud»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/08/2009, a pag. 14, due articoli di Andrea Nicastro titolati " Elezioni afghane, è testa a testa. I talebani fanno strage nel Sud " e " Abdullah guida gli orfani di Massud alla battaglia per la sopravvivenza ". Dal FOGLIO a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La progressione della democrazia ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Elezioni afghane, è testa a testa. I talebani fanno strage nel Sud "
Hamid Karzai
KABUL — A cinque giorni dal voto, la Commissione elettorale afghana ha finalmente dato i primi conteggi parziali. Dopo mezzo milione di schede esaminate, circa il 10 per cento del presunto totale, i due principali contendenti sono testa a testa. Il presidente Hamid Karzai è al 40,6% e lo sfidante Abdullah insegue con il 38,7%. Appena 10mila voti tra uno e l’altro. Il tempo però non è un fattore indifferente. L’Afghanistan ha bisogno di una guida legittima e rispettata al più presto. A dimostrarlo ancora una volta il clamoroso attentato di ieri nel centro di Kandahar, la capitale del Sud. Cinque autobomba sono esplose contemporaneamente facendo crollare diversi edifici. Almeno 40 minuscole botteghe sono andate distrutte. Donne e bambini tra le vittime. A tarda notte si cercava ancora tra le macerie e il bilancio provvisorio parlava di 41 morti e 66 feriti. Obbiettivo dell’attacco sembrerebbe essere una società di costruzioni che impiega soprattutto ingegneri pachistani. Ma è un’ipotesi che si fatica a conciliare con le simpatie politiche dei talebani, i primi sospetti. Si pensa anche a una questione di appalti e tangenti, proprio nella città dove Wali Karzai, fratello del presidente, è gran tessitore di alleanze e collettore di voti. Il suo aiuto alla causa di famiglia non è ancora entrato nel conteggio delle schede elettorali di ieri. Se rimanesse il testa a testa tra Karzai e Abdullah sarebbe necessario andare al secondo turno. Ma quando? E soprattutto questi risultati sono significativi? L’enorme quantità di reclami rischia di allungare i tempi: più di 800 le denunce di brogli, di queste 54 sono state definite «molto serie». Se ci sono voluti 5 giorni per contare il 10% delle schede quanto ci vorrà per cancellare dubbi e accuse? L’inverno in Afghanistan arriva presto. A fine ottobre alcuni passi sono già chiusi e intere comunità isolate. Il dato presentato ieri appare poco rappresentativo a livello nazionale. Sono state conteggiate schede da un po’ tutto il Paese, ma in percentuali diverse, molto dal Nord considerato più favorevole ad Abdullah e poco dal Sud che si aspetta abbia votato in massa Karzai. Da Kandahar, ad esempio, la città presumibilmente filo-Karzai sfigurata dall’attentato di ieri, sono state messe nel computo appena l’1,8% delle schede. Solo lo 0,5% da Herat dove i talebani hanno di nuovo sparato ai soldati italiani. Dal Panshir, invece, cuore dell’alleanza tagika che ha espresso la candidatura di Abdullah, sono state incluse nei dati provvisori già il 49% delle schede disponibili. In sostanza la metà dei voti conteggiati. Lo sfidante non ha aspettato i parziali per contestare l’intero processo elettorale. Nel giardino della sua casa ha presentato ai giornalisti pacchi di schede prevotate a favore di Karzai, foto e video che mostrano scrutinatori aprire le urne e riempirle di schede, soldati e poliziotti che scortano camion «elettorali » far sparire le scatole provenienti dai seggi e sostituirle con altre. «In alcune province — accusa Abdullah — l’intera macchina statale si è messa al servizio della vittoria del presidente Karzai. La truffa più comune è stata anche la più semplice. In distretti dove, secondo gli osservatori, ha votato appena il 10% dei cittadini, sono state aggiunte schede per arrivare al 45-50%. Vogliamo che i voti delle aree con clamorose irregolarità vengano messe in quarantena, ignorate. È mio dovere protestare perché il voto degli afghani venga rispettato. E posso dire fin d’ora che non li lascerò soli. Non accetterò compromessi, tenterò tutte le vie legali e, se necessario, andrò fino in fondo». Che cosa intenda per «fino in fondo» è stato chiesto a più riprese. «Siamo solo nella prima fase della contestazione — ha spiegato — poi ci sarà la seconda e la terza». Fino alla violenza? «Invito alla calma e alla responsabilità», ha rassicurato Abdullah con un sorriso che lasciava intendere tutt’altro.
CORRIERE della SERA - Andrea Nicastro : " Abdullah guida gli orfani di Massud alla battaglia per la sopravvivenza "
Abdullah Abdullah
KABUL — L’oftalmologo Abdullah è l'ultima pallottola a disposizione degli orfani del comandante Massud. Sconfitto lui, il loro gruppo rischia di sfaldarsi e, un domani, ritrovarsi a mani nude davanti all’avanzata talebana. Hanno resistito con le armi a sovietici, traditori e talebani, potrebbe annientarli la politica. Abdullah non è l’uomo forte del gruppo. È sempre stato il «portavoce» e ora si trova a fare da ancora di salvezza. Il salto per l’ex chirurgo di guerra che saliva e scendeva dalle montagne a dorso di mulo è difficile. Ma tra il nucleo storico dei compagni del comandante ucciso due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle, era l’unico a potersi dire pashtun, almeno per parte di padre. Gli orfani di Massud hanno puntato su Abdullah ricordando i bocconi amari che dovettero inghiottire alla Conferenza Internazionale di pace a Bonn. Nel 2001 in Germania, come ad una Yalta afghana, vennero tracciati i confini dei diversi potentati, veri o presunti, del Paese. L’Afghanistan deve essere governato da un rappresentante dell’etnia maggioritaria pashtun, come è sempre stato storicamente, era il mantra degli esperti Usa a Bonn. La vittoria degli ex mujaheddin del Fronte Unito venne «mutilata» e gli americani imposero come leader lo sconosciuto Hamid Karzai. Da allora gli orfani di Massud hanno continuamente perso posizioni. Younis Qanuni, il capo politico riconosciuto alla morte del Leone del Panshir, è passato da ministro dell’Interno, a ministro dell’Istruzione a presidente del Parlamento. Lo stesso Abdullah da ministro degli Esteri a disoccupato. Esautorati, spostati, destituiti capi di Stato Maggiore, generali, commissari di polizia. Il nerbo del gruppo di «orfani» è formato da comandanti guerriglieri. Dopo Bonn avrebbero dovuto essere assorbiti nel nuovo esercito, ma al tempo stesso sradicati dalle loro valli e privati di truppe omogenee per etnia o legame familiare. Il progetto era di costruire un esercito nazionale al servizio dell’autorità centrale. In gran parte è stato un fallimento. In questi otto anni di presidenza, Karzai ha continuamente tentato di erodere i poteri locali a vantaggio di quello centrale. Qualcuno dice anche a vantaggio della suo gruppo etnico o addirittura della sua stessa tribù. In ogni caso ha minacciato, combattuto, ma anche blandito e ripescato «signori della guerra». Comunque autonomi, comprabili o affrontabili uno a uno. Il vero «Fronte» era retto dai tagiki di Massud con la loro riserva di carri armati ancora nascosta in montagna. «Se perdiamo queste elezioni — sostiene Abdul Afis Mansur, presidente del Consiglio Politico, un 'pensatoio' che raggruppa 60 tra partiti e Ong del nord tagiko — Karzai tenterà di spazzarci via. Non avremo poltrone nei ministeri o nei governatorati; gli ufficiali superiori di polizia ed esercito verranno marginalizzati e le leve del comando andranno in mani pashtun. Potremmo ancora difenderci con la vice presidenza del maresciallo Fahim, tagiko ed ex comandante di Massud. Ma sarà difficile. E quando torneranno i talebani dovremo prendere in mano le zappe. Dopo trent’anni di guerra non possiamo rinunciare alle armi». Per i tagiki è l'ultima spiaggia, la battaglia della sopravvivenza come entità politica e forza militare. La speranza di Abdullah è che la Comunità Internazionale non accetti un presidente indebolito da una bassa affluenza e da evidenti brogli. Abdullah vorrebbe che le diplomazie obblighino Karzai ad un compromesso, se non proprio ad un passo indietro. Si potrebbe modificare la Costituzione e creare un posto da primo ministro su misura per lui. Ad uno l’autorità, all’altro il comando. «In questo Paese quando si smette di discutere — avvisa Mansur — si comincia a morire » .
Il FOGLIO - " La progressione della democrazia"
Le elezioni a dorso di mulo in Afghanistan sono differenti, sotto molti aspetti, dalle elezioni nella Confederazione svizzera. Si possono anche trascurare, per ipotesi di studio, gli sciami di seminaristi islamici che setacciano il paese alla ricerca di elettori da punire mozzando loro il naso, le orecchie e le dita, o le bombe interrate davanti alle porte dei seggi per scoraggiare il voto. L’Afghanistan resta un paese che ha centri di potere diversi e in conflitto tra loro, ci sono il sud pashtun e il nord delle altre etnie, e poi le affiliazioni tribali, le pressioni dagli stati confinanti e da quelli lontani, il livello disperante di corruzione, una lunga guerra civile che ha stremato tutti, il narcotraffico. Eppure, con tutto questo, l’Afghanistan è una democrazia e condivide tratti essenziali con le altre democrazie nel mondo. Primo: a Kabul è già possibile un accordo per la spartizione del potere che sia anche rappresentativo della volontà degli afghani. Secondo: il sistema si autocorregge. Se Karzai non soddisfa più gli elettori, emergono altri leader, che lo tallonano da vicino. Ieri la Commissione elettorale indipendente ha diffuso i dati sul primo 10 per cento di voti: Abdullah Abdullah al 38 per cento stringe sul presidente, al 41 per cento (ma è troppo presto per giudicare ed è sperabile che non si vada al ballottaggio). Sulla stessa strada, Baghdad è più avanti, anche se un tempo era considerata un caso irrecuperabile: ora il premier al Maliki teme una coalizione di ex alleati sciiti e sta pensando l’impensabile, un grande accordo elettorale con gli ex rivali sunniti. E’ la laboriosa progressione della democrazia
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