Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ahmad Vahidi, ministro antisemita iraniano, accusato per la strage a Buenos Aires Un criminale per il governo criminale di Ahmadinejad
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: La redazione del Corriere della Sera - la redazione del Foglio Titolo: «Ministro iraniano accusato per la strage a Buenos Aires - L’inganno di Teheran sulle donne»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi,22/08/2009, a pag. 11, l'articolo dal titolo " Ministro iraniano accusato per la strage a Buenos Aires ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " L’inganno di Teheran sulle donne ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - " Ministro iraniano accusato per la strage a Buenos Aires "
Ahmad Vahidi
L’uomo dello scandalo è Ahmad Vahidi, ex capo del reparto d’élite dei Guardiani della Rivoluzione «Al Quds» e ministro designato alla Difesa nell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad. Da ieri il mondo sa che Vahidi è inseguito da un ordine di cattura internazionale perché sospettato di essere tra i mandanti del più grave attentato terroristico nella storia dell’Argentina. È il 18 luglio 1994, una Renault Trafic imbottita d’esplosivo salta in aria davanti all’Associazione di mutua assistenza israelo-argentina di Buenos Aires (Amia), muoiono 85 persone, trecento restano ferite. Per anni le indagini procedono a rilento, portano in Iran e Libano, s’incagliano nei sospetti d’infiltrazioni nella polizia argentina, finché nel 2006 il giudice federale Juan José Galeano viene rimosso dall’incarico. Riaperto lo scorso 28 maggio, il caso è stato affidato al procuratore Alberto Nisman, che ieri ha richiamato l’attenzione internazionale sulla nomina di Vahidi. «Si tratta di un personaggio chiave nell’organizzazione» della strage, ha dichiarato Nisman all’ AssociatedPress , ricordando come sia stato «dimostrato che Vahidi approvò la decisione di attaccare l’Amia durante un incontro svoltosi in Iran il 14 agosto 1993». Secondo i giudici argentini fu l’Iran a pianificare l’attacco, realizzato dall’Hezbollah libanese. Il mandato d’arresto è stato deciso dall’assemblea generale dell’Interpol nel novembre 2007 a Marrakesh. In quella riunione la polizia internazionale assicurò al governo di Buenos Aires il massimo impegno per garantire l’arresto di Vahidi e di altri quattro sospetti iraniani di alto profilo, come Mohsen Rezai, sfidante di Ahmadinejad alle contestate elezioni presidenziali dello scorso 12 giugno. La nomina di Vahidi è stata avanzata mercoledì dallo stesso Ahmadinejad, che in passato ha più volte negato l’orrore dell’Olocausto e parlato di «cancellazione dalle mappe» dello «Stato sionista d’Israele». Spetta ora al Parlamento iraniano approvare i diciotto nuovi ministri. «La conferma della nomina — ha detto Nisman — sarebbe molto grave poiché Vahidi è pesantemente coinvolto nell’attacco e l’Interpol ha dato la massima priorità alla sua ricerca. Quello di Teheran è un regime che non solo evita di consegnare i sospetti alla giustizia, ma li protegge e li designa ad incarichi pubblici, anche se finora mai in una funzione così rilevante». «Questa designazione è un oltraggio», ha commentato il direttore dell’Amia Guillermo Borger. Martedì si erano tenute le commemorazioni per i 15 anni dall’attentato, alle quali aveva partecipato anche la «presidenta» argentina Cristina Kirchner (nel Paese vive la comunità ebraica più numerosa di tutta l’America latina). Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Ian Kelly ha definito «preoccupante» un’eventuale conferma di Vahidi. Teheran nega l’esistenza del mandato di cattura. «La nostra polizia ne sarebbe stata al corrente— ha dichiarato un portavoce di Ahmadinejad —. È l’ennesima menzogna, una cospirazione sionista».
Il FOGLIO - " L’inganno di Teheran sulle donne "
Ahmadinejad
Due giorni fa il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha messo tre donne a capo di tre ministeri. C’è un doppio calcolo, ed è così evidente da essere fin bambinesco se non si trattasse del leader di una potenza mediorientale che insegue il nucleare. Ahmadinejad tenta di aggiustare l’immagine del suo secondo mandato, cominciato come peggio non avrebbe potuto con manifestazioni di massa contro i brogli e contro la sua vittoria. Presto le manifestazioni sono state soffocate con efficienza brutale dalle sue squadracce e il regime ha ammesso di avere torturato in carcere gli iraniani arrestati. Ora la quota rosa nell’esecutivo, “la prima dai tempi dello Scià”, dovrebbe convincere il mondo che Teheran non è quello che è, l’ibrido spaventoso tra una teocrazia islamica che non sa più andare avanti e una giunta militare che ancora non si è sostituita del tutto al potere degli ayatollah. Il neoministro della Difesa, Ahmad Vahidi, è già inseguito da un mandato di cattura Interpol per la bomba a Buenos Aires che nel 1994 uccise 84 ebrei. L’espediente donne è patetico: tra gli iraniani il ricordo di altre due è troppo fresco. Una è Zahra Rahnavard, la moglie del candidato perdente Mir Hossein Moussavi, che ha guidato la sua campagna elettorale in aperta sfida ad Ahmadinejad, dal palco dei comizi, sopra la folla verde dei sostenitori. L’altra è la giovane in jeans simbolo della protesta, Neda, colpita al cuore da un proiettile delle forze di repressione, morta a terra con un rivolo di sangue che le usciva dalla bocca. Il calcolo di Ahmadinejad non è destinato soltanto all’esterno. I tre ministeri al femminile sono Sanità, Affari sociali e Istruzione, i più importanti per quella classe media urbana che osteggia così tanto il presidente. Se ci sono donne e quote rosa da festeggiare, sono quelle del vicino orientale dell’Iran, l’Afghanistan. Gli inviati raccontano di donne determinate in fila per il voto, per battere il rischio di un ritorno dei talebani. Le afghane hanno provato sulla loro pelle che cosa è meglio per loro e, guarda un po’, stanno dalla parte della novità che arriva da occidente.
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