Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/08/2009, a pag. 12, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Kamikaze anti Hamas. Al Qaeda vuole Gaza ". Dall'UNITA', a pag. 23, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Saeb Erekat dal titolo " A Gaza è caos. I qaedisti possono ridurla come la Somalia " preceduta dal nostro commento. Dal GIORNALE, a pag. 16, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo " Un ebreo ai vertici del partito di Arafat ".
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Kamikaze anti Hamas. Al Qaeda vuole Gaza "
Hamas
È la lunga marcia di Al Qaeda sulla Palestina. Un cammino politico iniziato nel 2004 con la creazione di piccole cellule ma che ha radici più lontane. Non va mai dimenticato che il mentore spirituale di Osama — e di tanti jihadisti — è stato un palestinese, lo «sceicco» Abdullah Azzam, andato in Afghanistan e poi morto in circostanze misteriose. Il piano di entrare nell’arena dei Territori, però, è sempre stato frustrato dalla presenza dei movimenti storici. Oggi che la realtà palestinese è spezzata in due — Gaza e Cisgiordania — con Hamas e Fatah chiamati a governare, si sono aperti degli spazi. E le fazioni di ispirazione qaedista si sono moltiplicate: per i servizi di sicurezza ve ne sarebbero almeno una dozzina. A formarle sia militanti imbevuti di ideologia salafita (molto radicale) sia gli «scontenti». Elementi ultrareligiosi di Hamas e laici delle Brigate Al Aqsa contrari a qualsiasi forma di tregua. È quindi migliorata la propaganda con diffusione di video e messaggi via Internet. Un exploit sostenuto dai leader storici. Bin Laden e Al Zawahiri hanno dedicato non pochi dei loro interventi alla Palestina, sermoni spesso pieni di livore per Hamas, considerata troppo arrendevole con Israele.
Per i qaedisti Gaza è la piattaforma ideale. Miseria e precarietà aiutano il reclutamento. Il doppio confine — con Israele e l’Egitto — permette di agire su due fronti, di stabilire patti con gruppi che operano nei due Paesi e persino di favorire l’arrivo di volontari stranieri. La Striscia, in quest’ottica, diventa ciò che l’area tribale pachistana è per l’Afghanistan: rifugio per i seguaci e punto di partenza per gli attacchi. Inoltre sventolare il vessillo nero dimostra che il qaedismo è riuscito a far breccia, dopo l’Iraq, nel cuore del problema mediorientale. E la battaglia giustifica il ricorso a tattiche irachene. Come sottolineano gli esperti Ansar Allah ha violato un tabù usando un kamikaze contro i nemici. Negli anni ’90 era stato Yehya Ayyash, detto «l’ingegnere», a creare gli attentatori suicidi per Hamas. Un motivo d’orgoglio sociale e religioso, una prova di risolutezza, una tecnica diventata scuola. Quindici anni dopo i qaedisti cercano di strappare il testimone dell’islamismo con la stessa arma.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " A Gaza è caos. I qaedisti possono ridurla come la Somalia "
Udg chiede a Erekat : " Di diritto alla resistenza ha parlato anche il presidente Abu Mazen. Siamo ad una svolta radicale di Fatah?". Erekat risponde : " (...) «Un diritto contemplato dalla stessa Convenzione di Ginevra;mala pratica della resistenza evocata da Abu Mazennon ha nulla a che fare con la pratica terrorista e con una militarizzazione dell’Intifada che hanno provocato solo danni alla causa palestinese. L’alternativa al terrorismo non è la rassegnazione: è questo il senso dell’affermazione del presidente Abu Mazen». ". Abu Mazen, nel suo discorso, non ha escluso la "resistenza armata" che non è diversa dal terrorismo. Poi Erekat dichiara, riferendosi a Netanyahu : "Il premier israeliano è molto abile nella dialettica ma non può giocare con le parole. Netanyahu sa bene che nessun accordo di pace può tagliar fuori la questione dello status di Gerusalemme, così come è chiaro che negoziato e colonizzazione dei territori occupati sono tra loro inconciliabili. ". Netanyahu non "gioca con le parole". Ha fatto delle proposte precise agli arabi. Abu Mazen le ha rifiutate. L'arroganza di Erekat e di Abu Mazen ha dell'incredibile. Avanzano pretese senza soddisfare nessuna delle richieste di Israele.
Ecco l'intervista:
Saeb Erekat
I«Guerrieri di Dio» promettono vendetta. Ventidue morti: sei miliziani di Hamas, cinque civili, e undici membri del gruppo qaedista di Jund Ansar Allah fra cui il leader del gruppo Abdel Latif Mussa: è il bilancio della battaglia infuriata per ore, venerdì scorso, in una moschea di Rafah, nella Striscia di Gaza. Unabattaglia nella qualeunimportante tabù rispettato finora dalle diverse fazioni palestinesi, è stato spezzato: l’uso di kamikaze negli scontri interpalestinesi. Kamikazedi Jund Ansar Allah. Si tratta della prima volta che gli «uomini dai corpetti esplosivi» si lanciano controun obiettivo palestinese. La Striscia insanguinata. Hamas contro le milizie qaediste. L’Unità ne discute con una delle figure più rappresentative della dirigenza palestinese: Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Anp, consigliere politico del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), uno dei neoletti nel nuovo Comitato centrale di Al Fatah, il partito storico della causa palestinese, reduce dal congresso di Betlemme che - dopo 20 anni - ne ha ridisegnato gli organismi dirigenti. Il j’accuse di Erekat è durissimo: «Hamasaveva promesso legge e ordine a Gaza.Haportato solo miseria e caos armato. La propaganda non maschera la realtà - avverte Erekat -: la Striscia rischia di trasformarsi in una Somalia mediorientale ». La «battaglia della moschea»: un riferimento che rende ancor più inquietante la situazione nella Striscia.«Hamas- riflette il capo negoziatore palestinese - sta ripetendo le esperienze dell’Afghanistan e della Somalia, permettendo che luoghi di preghiera diventino siti di assembramento di clan che promuovono il terrorismo ». Nella Striscia di Gaza è tornato a scorrere il sangue. Qual è il segnale della «battaglia della moschea» ? «Hamas aveva promesso ordine e benessere.Harealizzato solo sofferenza e caos armato. Gaza è il regno del disordine, con un milione e mezzo di palestinesi trasformati di fatto in ostaggio delle fazioni in armi. Qualsiasi dialogo nazionale nonpuò che partire dall’ammissione del fallimento da parte di Hamas e della sua dirigenza». AGaza agiscono gruppi armati legati al network terrorista di Al Qaeda. «Da tempo i nostri servizi di sicurezza avevano denunciato l’infiltrazione a Gaza di elementi legati ad Al Qaeda. D’altro canto, non è daoggi che i capi di AlQaeda tentano di strumentalizzare la causa palestinese per fini che nulla hanno a che vedere con il diritto del popolo palestinese a veder riconosciuti i propri diritti nazionali. Hamas ha tollerato questa infiltrazione ritenendo di poterla utilizzare contro l’Autorità nazionale palestinese. Ora la situazione sta sfuggendole dalle mani e Hamas prova a riprendere il controllo della situazione attraverso le armi». Con quale risultato? «Direi fallimentare. A Gaza regna il caos e per farvi fronte Hamas tende a inasprire il controllo sulla popolazione... ». GazacomeunaSomalia mediorientale? «Il rischio esiste e si fa sempre più concreto. E ciò dovrebbe allarmare tutti coloro che hanno coscienza del fatto che l’alternativa ad un serio rilancio del processo di pace non è il mantenimento dello status quo attuale: l’alternativa è il deflagrare della violenza...». Di diritto alla resistenzahaparlato anche il presidente Abu Mazen. Siamo ad una svolta radicale di Fatah? «Questa affermazionenon può essere isolata dal contesto di un discorso importante, impegnative, nel quale Abu Mazen ha rilanciato con forza la strategia negoziale con Israele. Un negoziato fondato sul principio di due popoli, due Stati, e sul rigetto di ogni politica unilateralista da parte del governo Netanyahu...». Resta il diritto di resistenza... «Un diritto contemplato dalla stessa Convenzione di Ginevra;mala pratica della resistenza evocata da Abu Mazennon ha nulla a che fare con la pratica terrorista e conuna militarizzazione dell’Intifada che hanno provocato solo danni alla causa palestinese. L’alternativa al terrorismo non è la rassegnazione: è questo il senso dell’affermazione del presidente Abu Mazen». Qualèilsuogiudizio politico sulcongresso di Al Fatah? «Ungiudizio estremamente positivo. Perché la linea negoziale di Abu Mazen è uscita rafforzata e al tempo stesso si è avviato un profondo rinnovamento dei gruppi dirigenti di Fatah. Dal congresso esce un movimento più forte perché più unito. Con il nuovo Fatah tutti saranno chiamati a fare i conti ». È una sfida ad Hamas? «Hamas si è fatto forte delle nostre divisioni e di un rinnovamento che stentava a manifestarsi. Oggi siamo pronti alla rivincita. Che sarà politica, non militare». E quale «sfida» intendete lanciare a Israele? «Una sfida di pace. Siamo pronti a riaprire un tavolo delle trattative, a patto che sia chiaro sin dal principio lo sbocco del negoziate e le regole del gioco....». Netanyahu «bara»? «Il premier israeliano è molto abile nella dialettica ma non può giocare con le parole. Netanyahu sa bene che nessun accordo di pace può tagliar fuori la questione dello status di Gerusalemme, così come è chiaro che negoziato e colonizzazione dei territori occupati sono tra loro inconciliabili. La base su cui riavviare le trattative è stata chiaramente delineata dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama... ». La dirigenza palestinese sembra puntare molto sul successore di George W.Bush,.. «Al presidenteObamaabbiamodato atto di aver posto la questione palestinese tra le priorità della sua agenda internazionale. Ora attendiamo che dalle parole si passi ai fatti. Avendo, tutti, la consapevolezza che il tempo non lavora per la pace e che nessuno può permettersi un nuovo fallimento».
Il GIORNALE - Rolla Scolari : " Un ebreo ai vertici del partito di Arafat "
Uri Davis e Arafat
Uri Davis
Per la prima volta un ebreo è stato eletto ai vertici di Fatah, il partito dell’ex leader Yasser Arafat. Uri Davis (nel tondo, ndr), 66 anni, passaporto israeliano e britannico, è professore all’università araba al Quds.
Lo storico movimento palestinese ha da poco chiuso il suo primo congresso in vent’anni. L’obiettivo non troppo celato della conferenza era il tentativo di reinventare il partito e rinnovare l’immagine del gruppo che, in seguito alla vittoria dei rivali di Hamas alle elezioni del 2006 e alla disfatta militare a Gaza nel 2007, cerca di tornare protagonista della scena palestinese. L’entrata dell’israeliano Davis al secondo organo decisionale del partito, il Consiglio rivoluzionario, può essere parte del tentativo di Fatah di apparire diverso, anche se il professore non è in realtà un volto nuovo nel gruppo, di cui è membro dagli anni Ottanta. Dopo il voto, Davis è apparso sorridente, al collo la keffiyeh bianca e nera, simbolo del nazionalismo palestinese.
Il professore è nato nella Gerusalemme del mandato britannico da una famiglia di immigrati ebrei sionisti. Eppure oggi preferisce presentarsi come «palestinese ebreo, antisionista». È stato tra i primi obiettori di coscienza israeliani. Ha cominciato l’attività di militanza politica negli anni Settanta avvicinandosi a gruppi per i diritti umani, ma con il passare del tempo è andato oltre la sinistra israeliana più radicale fino a denunciare Israele definendolo uno «Stato di apartheid» in libri e pubblicazioni. Non sostiene, come fanno la comunità internazionale, Israele e la stessa Autorità nazionale palestinese di cui Fatah è parte, la soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese ma, come scrive sul suo sito - www.uridavis.info - uno «Stato democratico comune». Davis è sposato con una palestinese e convertito all’islam. La sua elezione ha sollevato curiosità e l’attenzione dei mass media, dei giornali palestinesi ma soprattutto di quelli israeliani, anche se non si tratta di una prima assoluta: l’israeliano Ilan Halevi fu infatti attivo nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina negli anni Ottanta. In Israele il pubblico è interessato alle sue posizioni per quanto riguarda la lotta armata palestinese. Soltanto nel 2008, un attentato che ha ucciso una donna e ferito 40 persone nella città meridionale di Dimona è stato rivendicato anche dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, braccio armato di Fatah.
Nel congresso che si è appena chiuso, il rais Abu Mazen ha reiterato l’appoggio dell’Anp al processo di pace, ma anche alla «resistenza» come opzione, una dichiarazione che ha sollevato polemiche in Israele. «Davis è favorevole alla lotta armata dei palestinesi contro l’occupazione in Cisgiordania», gli ha chiesto la radio militare israeliana ieri? «Fatah - ha risposto - non fa appello alla lotta armata, ma si limita a rilevare che quella è un’opzione legittima per i popoli sottoposti a occupazione militare».
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera, Giornale e Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti