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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
10.08.2009 Iran: il regime ammette le torture, ma nega che abbiano causato la morte di alcuni prigionieri
Cronaca di Cecilia Zecchinelli. Intervista a Ali Ansari di Francesca Paci

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Cecilia Zecchinelli - Francesca Paci
Titolo: «I pasdaran: punite Moussavi. E il regime ammette le torture - Il regime certo crollerà, ma non tanto presto. Chi ha vinto? La Russia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/08/2009, a pag. 14, la cronaca di Cecilia Zecchinelli dal titolo " I pasdaran: punite Moussavi. E il regime ammette le torture ". Dalla STAMPA, a pag. 19, l'intervista di Francesca Paci a Ali Ansari, uno dei massimi esperti d'Iran, dal titolo " Il regime certo crollerà, ma non tanto presto. Chi ha vinto? La Russia ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " I pasdaran: punite Moussavi. E il regime ammette le torture "

PARIGI — Una durissima ri­chiesta di condanna esemplare per «i principali elementi della rivolu­zione verde, ovvero Moussavi, Khatami e Karroubi». L’arresto del capo di un centro di detenzione, come tentativo di calmare la pub­blica indignazione. Una vaga e tar­diva ammissione che i tre america­ni sconfinati dal Kurdistan irache­no dieci giorni fa sono in effetti pri­gionieri dell’Iran. E poi nuovi arre­sti, l’annuncio della revisione in Parlamento delle relazioni Iran-Gran Bretagna, l’attesa di una nuova udienza per giudicare i «ne­mici » già in carcere. Le notizie arri­vate ieri da Teheran mostrano più che mai la confusa divisione della sua leadership, la spaccatura tra i conservatori che non lascia però (ancora?) spazio ad alternative al regime.
La richiesta di processare l’ex presidente Mohammad Khatami e i due candidati presidenziali, Mir-Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi, è venuta ieri da Yadol­lah Javani, uno dei comandanti dei Pasdaran. I Guardiani della ri­voluzione hanno ormai occupato un potere politico ed economico enorme in Iran. E ora, non conten­ti delle centinaia di arresti, dei 30 morti ufficiali (ma sono certo di più) e del processo-farsa in corso a Teheran contro «i complottatori e le spie», chiedono la testa dei tre massimi leader del fronte riformi­sta. Che «hanno acceso il fuoco della sedizione e che vanno presi e puniti».
Con metodi che il più famoso tra gli ayatollah dissidenti, Hos­sein Ali Montazeri, ha definito «stalinisti», era ai Pasdaran che fa­ceva capo il centro di detenzione di Kahrizak. Una sorta di Guantá­namo dove era morto in luglio, con due compagni, il figlio di un importante politico conservatore. Il caso aveva unito quasi l’intero parlamento contro gli eccessi del centro, chiuso alcuni giorni fa. Ie­ri il capo della polizia ha annuncia­to l’arresto del responsabile della prigione e di tre poliziotti-aguzzi­ni. E ha ammesso che a Kahrizak si praticava la tortura, pur smen­tendo che i tre giovani fossero morti per questo motivo. L’ordine di far luce sugli “errori commessi da qualcuno”, e di punirli, era ve­nuto dalla Guida Suprema Ali Kha­menei, sempre più in difficoltà.
Nessuna o pochissima luce è sta­to invece deciso di fare sulle centi­naia di arrestati dal 12 giugno. Do­po
la seconda puntata del proces­so- farsa andata in scena sabato non si è più saputo niente degli imputa­ti costretti a confessare assurdi cri­mini e mandanti. Silenzio sulla sor­te di Clotilde Reiss e dei due dipen­denti delle ambasciate di Londra e Parigi. In Francia, dove i media par­lano diffusamente della giovane che rischia cinque anni di carcere per una email, la mobilitazione è di­screta, fatta in sostanza di appelli su Internet. Decine di migliaia di fir­me, unite alla decisione di «non in­tromettersi e lasciar lavorare la di­plomazia ». Sabato il ministero de­gli Esteri aveva chiesto con forza, in­sieme a Londra e all’Ue, l’immedia­ta scarcerazione dei prigionieri.
E infine il caso dei tre turisti americani, spariti nel nulla il 1˚ agosto, dopo aver sconfinato dal­­l’Iraq in una zona di montagna. Due uomini e una donna con zaini e scarponi, inghiottiti anche loro – questa è oggi l’unica certezza – dal­le affollate carceri di Ahmadi­nejad.

La STAMPA - Francesca Paci : " Il regime certo crollerà, ma non tanto presto. Chi ha vinto? La Russia "

 Ali Ansari

Ahmadinejad è stato riconfermato presidente, ma il vero vincitore della partita è la Russia». Per capire gli sviluppi possibili della protesta di Teheran, Ali Ansari, uno dei massimi esperti d'Iran, consiglia di guardare a Mosca. Sono giorni concitati per il fondatore dell'Institute for Iranian Studies che fa la spola tra il Foreign Office britannico, alle prese con la sfida frontale degli ayatollah, e i colleghi del think tank Chatham House con cui ha prodotto il rapporto sulle incongruenze delle elezioni del 12 giugno analizzate provincia per provincia. «La fine del regime è cominciata», dice. Eppure l'epilogo non sarà breve: «Nell'immediato la situazione s'inasprirà, oggi un conflitto è più probabile».
Le autorità iraniane alzano il livello dello scontro e mandano alla sbarra giornalisti considerati nemici, avversari politici, i dipendenti dell'ambasciata britannica accusati d'aver fomentato la protesta. Cosa contano di ottenere?
«Il governo iraniano deve mostrarsi sicuro, dare l'impressione che la situazione sia sotto controllo e lo scollamento tra leadership e popolo sia una fantasia occidentale. Ma per quanto tenti di liquidare i rivoltosi come una minoranza pilotata dall'estero ha capito che sarà impossibile controllare il processo innescato dalle proteste. Sotto traccia s'è messo in moto qualcosa che non si fermerà se non si trova una soluzione».
Prevede un aumento della violenza?
«Chi manifesta in strada a Teheran ha paura, ovviamente. Ma il governo ne ha ancora di più, è in difficoltà, agisce in modo paranoico. Per uscire dall'impasse, la Guida Suprema Khamenei fa appello all'unità nazionale, tenta di far passare il messaggio che bisogna serrare le fila di fronte all'offensiva straniera contro la sovranità iraniana. La rabbia della gente però è a livelli eccezionali, c'è il potenziale per una grande rivolta».
Vincerà l'establishment?
«Ci vorrà tempo, forse ce ne vorrà molto, ma la fine del regime è cominciata. I politici più acuti del governo l'hanno capito. Avrebbero dovuto agire diversamente all'inizio, assumere che nessuno dei candidati riformisti contestava la Repubblica islamica e assimilare le riforme proposte. In fondo Ahmadinejad è estremamente impopolare anche nelle alte sfere. Invece la protesta ha scioccato tutti, dopo i primi giorni non restava che la scomunica. Ci sarà una resa dei conti all'interno del clero, ma al momento, tranne il Cremlino, non ci sono vincitori».
Perché Mosca?
«La Russia esce benissimo dalla crisi iraniana, mira a mantenere lo status quo. Il caos conviene forse anche a Israele che vuole dimostrare l'inaffidabilità di Teheran, ma il Cremlino ha forti interessi di potere nella regione e sfida l'asse euro-americano. Dietro ogni anatema antioccidentale di Ahmadinejad c'è la Russia. Il presidente Obama può archiviare qualsiasi ipotesi di dialogo con l'attuale Iran. La corsa al nucleare subirà un'accelerata e la tensione nella regione crescerà: in queste condizioni un conflitto è più probabile».
Come spiega l'offensiva degli ayatollah contro la Gran Bretagna?
«C'è il tentativo di compattare il paese contro l'antico nemico».
L'Iran rurale continua a sostenere Ahmadinejad. Non è così?
«Assolutamente no. E' una leggenda. Quanti sono gli abitanti dei villaggi rurali? Il 30 per cento della popolazione e tra loro non tutti hanno votato per Ahmadinejad. Da anni le campagne si spopolano: le elezioni ormai si vincono nelle città. Il declino della popolarità del presidente si spiega con Antonio Gramsci, molto letto in Iran. C'è una crisi d'egemonia culturale che mina l'autorità e la legittimità islamica. Se ne esce solo, e temporaneamente, dirottando l'attenzione altrove».

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