Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/08/2009, a pag. 14, due articoli di Cecilia Zecchinelli titolati " Iran, l’Europa si ribella al processo-farsa " e " L’incubo di Clotilde. Dalla Sorbona al carcere di Evin " e l'articolo di Alessia Rastelli dal titolo " E due attori chiedono asilo politico a Londra ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 1-12, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " La sfida all'Europa " e l'intervista di Angeles Espinosa a Mehdi Karroubi dal titolo " Ahmadinejad non ci fermerà il suo governo è illegittimo ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'intervista di Glauco Maggi a Justin Logan, direttore associato di studi in politica estera del Cato Institute, dal titolo " E ora l'America con chi parlerà? ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Iran, l’Europa si ribella al processo-farsa "
Clotilde Reiss al processo in Iran
PARIGI — Processo farsa, seconda puntata. O peggio: per Francia e Gran Bretagna, coinvolte direttamente, è un «oltraggio inaccettabile». Nel tribunale di Teheran che già aveva visto il 1˚ agosto una prima udienza con un centinaio di imputati, ieri ne se sono comparsi altrettanti. Nomi iraniani meno noti in Occidente, questa volta: mancavano «star» del calibro di Mohammad Ali Abtahi, hojatollah (gradino meno dell’ayatollah) ed ex vice presidente.
Ma anche ieri c’erano tre persone che spiccavano tra gli imputati in divisa grigiastra o, per le rare donne, in abiti informi e scuri. Clotilde Reiss, la giovane francese lettrice all’università di Isfahan arrestata un mese fa, e due iraniani dipendenti delle ambasciate di Parigi e Londra. Hossein Rassam, in particolare, che lavorava per gli inglesi come capo degli analisti politici, era stato arrestato a fine giugno con cinque colleghi iraniani e due diplomatici britannici. Tutti rilasciati poi su cauzione. I due cittadini di Londra erano stati espulsi, gli altri rimasti in attesa di giudizio, se giudizio si può chiamare, con una crescente indignazione da parte di Londra.
Come otto giorni fa, molti ieri hanno «confessato» i loro crimini. Essenzialmente quello di aver cospirato contro la Repubblica Islamica e di aver «spiato». Ha confessato la Reiss, causando un’ulteriore protesta della Francia che ha chiesto «l’immediato rilascio della giovane e del dipendente dell’ambasciata». Ha (probabilmente) confessato Rassam, alzando il tono delle dichiarazioni del ministro degli Esteri britannico David Miliband che ha definito il processo «un’oltraggiosa violazione dei diritti umani». E contro l’udienza farsa si è scagliata ieri la Svezia, presidente di turno dell’Ue.
«I colpevoli sono stati divisi in tre gruppi – spiegava l’agenzia ufficiale Fars – gli organizzatori della rivolta; gli affiliati ai servizi stranieri; i delinquenti ». Ieri, pare, è toccato soprattutto al secondo gruppo. «Confesso, da due anni sono al servizio dell’intelligence degli Emirati», ha detto Reza Rafeii Foroushani, che scrive per Time .
«Ho progettato attentati con bombe», ha dichiarato Arash Rahmanipour, definito come membro del «Consiglio del regno», fantomatico «gruppo terrorista monarchico». E ancora: «Sono stato addestrato in Iraq dai Mujahedin del Popolo, ho imparato a far esplodere bus e moschee», ha ammesso Nasser Abdul-Hosseini. Con loro, riconoscibili dalle foto, Ahmad Zeid Abadi, Shahabeddin Tabatabai, Mohammad Javad Emam. Tutti nomi noti in Iran come intellettuali, giornalisti, attivisti politici.
Fuori dal tribunale i parenti dei detenuti ieri hanno manifestato gridando Allahu Akbar, lo slogan urlato sui tetti di Teheran ogni notte per ricordare che la Rivoluzione Islamica era nata con ben altre promesse. Nel mondo, sempre più rabbia e senso di impotenza. Accanto ai governi, i movimenti per i diritti umani chiedono al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di intervenire. Ma intanto, a Teheran, il processo farsa va avanti.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " L’incubo di Clotilde. Dalla Sorbona al carcere di Evin "
Clotilde Reiss
PARIGI — Era stata una tata iraniana a insegnarle le prime parole di farsi, a far nascere in lei una vera passione per quel Paese. Clotilde Reiss, 24 anni compiuti nel carcere di Evin lo scorso 31 luglio, nella Repubblica Islamica non c’era finita per caso. C’era stata per studio, e da sei mesi lavorava a Isfahan, come lettrice di francese all’università. Non certo per «spiare», come ieri ha sostenuto l’accusa a Teheran accogliendo «il rapporto del dipartimento di Contro-spionaggio che comprova i crimini della cittadina francese». Crimini che consisterebbero nell’«aver partecipato a una manifestazione illegale e inviato foto e mail» (fatti che lei non ha mai negato) nonché nell’«aver inviato un rapporto all’ambasciata francese e averne redatto un altro due anni fa sul nucleare iraniano » (accuse ben più improbabili). Ma Clotilde — volto tirato, soprabito nero, jeans e foulard — ieri in tribunale ha ammesso tutto, s’è pentita, ha chiesto la comprensione della Corte. Unica straniera tra le decine di imputati, una delle pochissime donne.
«Esigiamo la sua liberazione», chiedono dal 1˚ luglio, giorno del suo arresto all’aeroporto di Teheran, i comitati sorti in Francia per sostenere la ragazza che ama (amava?) l’Iran. Se ne contano quattro, ormai, tre dei quali su Facebook , come un altro iraniano con 4 mila iscritti. E i loro siti accolgono appelli esterni sempre più numerosi, da quello degli iraniani dell’Esagono, a quello dei ricercatori universitari. Il governo insiste sulla stessa richiesta, appoggiato dall’Ue e da sempre più voci. Anche se con una sobrietà un po’ tutta francese e un po’ dovuta all’estate — ben lontana dal clamore che Roxana Saberi aveva suscitato in Usa e non solo — la storia di Clotilde qui appassiona e indigna. Anche perché, dicono tutti, lei quel Paese lo amava davvero.
Aveva studiato storia alla Sorbona e farsi all’Inalco, l’Istituto di lingue e civiltà orientali. Poi proseguito gli studi a Lille, scienze politiche, finendo nel 2008 con una tesi sui libri di testo delle elementari della Repubblica Islamica. «Una studentessa brillante come ogni professore vorrebbe trovare, charmante , appassionata, molto dolce e assolutamente lontana dal profilo dell’agente segreto», dice il suo professore di farsi all’Inalco, Leili Anvar. Il direttore della facoltà di Lille, Benoît Lengaigne, conferma: «Determinata, allieva eccellente». Clotilde parte spesso per l’Iran, dove entra in contatto con l’Istituto di ricerca francese, Ifri, noto anche a chi francese non è per essere rimasto il solo centro di ricerca straniero nel Paese, punto di contatto di giovani e intellettuali iraniani e non. E tramite l’Ifri ottiene il lavoro per la cooperazione franco-iraniana.
«Soprattutto, mia figlia non è una militante, non ha un carattere rivendicativo né politico — dice Remi Reiss, il padre —. E’ invece onesta e altruista, chiaramente innocente. I suoi interessi sono l’arte, la cultura. Stava partendo da Teheran per un po’ di vacanza in Libano e Turchia e poi tornare a casa». Parole di papà, si può pensare, confermate però da molti. E dalla stessa email incriminata, che i suoi amici hanno pubblicato: «Tutto va bene, non temete per me, le violenze riguardano solo le manifestazioni — scriveva il 18 giugno —. La situazione è difficile da capire, come lo è sapere se questo porterà del bene all’Iran…». Poi un paio di indirizzi su Internet per vedere foto delle proteste, con spiegazioni semplici («il verde è il colore di Moussavi »…), commenti scontati. «Tutte cose che vedevamo già ovunque», commenta un’amica.
Adesso Clotilde è tornata in prigione. Quando è riuscita a parlare con il suo ambasciatore (tre volte, due delle quali per telefono) ha detto «che è dura ma non è maltrattata». Ma la sua stessa comparsa ieri in tribunale è stata una sorpresa. Nessuno sapeva. E non si capisce nemmeno come e quando questa brutta vicenda finirà. «Lei che amava tanto l’Iran — commenta il professore Anvar — è rimasta incastrata nella Storia di quel Paese».
CORRIERE della SERA - Alessia Rastelli : " E due attori chiedono asilo politico a Londra "

Ashkan Kooshanejad e Negar Shaghaghi
Come nel film. Ashkan Kooshanejad e la sua fidanzata Negar Shaghaghi, gli attori e musicisti iraniani di «Nessuno sa niente sui gatti persiani», sono pronti a una vita all’estero. I due ragazzi, di 24 e 23 anni, resi celebri dalla pellicola premio speciale a Cannes, hanno chiesto asilo politico in Gran Bretagna, dove si trovano da gennaio per promuovere il film. Nella storia, diretta dal regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi, scritta insieme alla compagna Roxana Saberi— la giornalista americana liberata a maggio dopo 100 giorni nella prigione di Evin — Ashkan e Negar sono decisi a lasciare Teheran per poter coltivare la loro passione per la musica. Nella realtà, incontreranno domani i funzionari del ministero degli Esteri britannico per promuovere la richiesta di asilo. A spingerli, la vicenda del batterista del loro gruppo, Ali Ghomashchi, 25 anni, in Gran Bretagna fino a poche settimane fa e subito arrestato non appena tornato a Teheran. Il giovane era rientrato dopo aver saputo che sua sorella era stata picchiata durante le manifestazioni contro il regime ed era finita in ospedale. «Non abbiamo notizie di lui, nemmeno la famiglia ne sa nulla. Non hanno detto dove si trova né di cosa è accusato» denuncia Ashkan sull’ Independent . A giugno, anche il regista Ghobadi era finito in carcere al ritorno da Cannes e aveva lasciato l’Iran dopo il rilascio su cauzione. Gli stessi membri della band, in passato, erano stati picchiati e arrestati per aver tenuto un concerto, le loro famiglie minacciate e il loro studio segreto a Teheran perquisito e distrutto. Come può accadere nel mondo musicale underground di Teheran, lo stesso raccontato nel film.
Anche altri due artisti del gruppo, Pooya Koosha e Kaveh Ayati, 27 e 26 anni, hanno chiesto di poter restare in Gran Bretagna.
La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " Una sfida all'Europa "
Immagini del processo contro i manifestanti
Continuano a Teheran i processi politici contro quanti si oppongono al "colpo di stato elettorale" del 12 giugno. Ne sono vittime cittadini iraniani e stranieri.
A conferma del teorema della fazione vittoriosa di regime, secondo cui gli oppositori sarebbero sobillati dall´esterno. Teoria del complotto confermata ufficialmente dallo stesso Ahmadinejad pochi giorni fa davanti al Parlamento. Portare davanti al temibile Tribunale della Rivoluzione, la francese Clotilde Reiss, ricercatrice all´Ifri, ultimo centro di ricerca straniera presente nel paese, e alcuni impiegati delle ambasciate francese e britannica, con l´accusa di essere parte di un «progetto di una rivoluzione di velluto», significa mettere, di fatto, sotto accusa Parigi e Londra. Indicate come fautrici di un rovesciamento di potere destinato a mettere all´angolo le componenti che fanno capo a Ahmadinejad e Khamenei.
Processi, senza garanzie e condizionati dalla pressione, fisica e psicologica, in cui, in una sorta di "buio a mezzogiorno" in salsa iraniana, gli imputati sono obbligati a confessare le loro colpe se vogliono avere qualche probabilità di vedersi infliggere pene meno dure e, per quanto riguarda gli occidentali, essere prima o poi espulsi. E così è avvenuto. Del resto, le accuse di spionaggio, violenze e attentato alla sicurezza nazionale, comportano condanne che possono andare da cinque anni di reclusione sino alla pena di morte, se essi fossero riconosciuti come mohareb, «nemici di Dio». Di fronte alla violenza della repressione, chi è alla sbarra cerca di limitare i danni, in attesa di tempi migliori.
Repressione che colpisce duramente all´interno per mandare un segnale forte. Agli oppositori nelle piazze. A quanti fanno parte dello storico gruppo dirigente della Repubblica Islamica, a partire da Rafsanjani sino ai suoi alleati Khatami e Moussavi, perché comprendano che tenere ancora aperta questa frattura potrebbe portare conseguenze traumatiche anche per loro.
Scelta che, coinvolgendo cittadini europei o personale di ambasciate Ue, parla anche all´esterno. A Francia e Gran Bretagna in particolare, paesi che sono coinvolti nel negoziato nucleare e giudicati dagli attuali vincenti a Teheran più ostili degli Stati Uniti di Obama. Una reazione delle fazioni antioccidentali, che rispondono colpo su colpo alle carte filoccidentali giocate in queste settimane dalle fazioni messe ai margini dal 12 giugno.
Tensioni che avranno inevitabilmente riverbero sulle relazioni con Teheran: la stessa presidenza di turno svedese, ha dichiarato che il processo alla studentessa francese e ai due impiegati dell´ambasciata di Francia e di Gran Bretagna, è un atto contro l´intera Unione e che ne saranno tratte «le dovute conseguenze». Nelle prossime ore si capirà se l´Iran sta usando Londra e Parigi come "capri sostitutivi" o se lo scontro si allargherà anche agli Stati Uniti. Gli iraniani hanno nelle loro mani tre americani arrestati al confine con l´Iraq, formalmente per «ingresso illegale» nel Paese. Se venissero processati per spionaggio le tensioni si allargherebbero all´America di Obama, ancora decisa a andare a vedere le carte di Teheran sul nucleare nonostante gli avvenimenti dell´estate calda iraniana.
La REPUBBLICA - Angeles Espinosa : " Ahmadinejad non ci fermerà il suo governo è illegittimo "
Mehdi Karroubi
TEHERAN - Nonostante la repressione, i morti, gli arresti e i processi, Mehdi Karroubi mantiene la sua sfida al governo di Ahmadinejad. «Continueremo a protestare», dice nella sua casa a nord di Teheran. Le elezioni presidenziali di giugno, che definisce «una frode», gli avevano riservato l´umiliazione dell´ultimo posto e Karroubi ha appoggiato fin dall´inizio le proteste di Moussavi, arrivato ufficialmente secondo. Ora non nasconde la sua amarezza per la mancanza di unità con cui le opposizioni si sono presentate alle elezioni, ma guarda avanti e dice: «Né Moussavi né io ci siamo ritirati».
Questa crisi rivela solo un disaccordo tra le élite rivoluzionarie o c´è qualcos´altro?
«Si può interpretare in due maniere. Noi ci consideriamo parte del sistema. Può darsi che quelli che stanno fuori dal sistema, i gruppi d´opposizione più radicali, abbiano un´altra interpretazione. I nostri contrasti si limitano alle elezioni. Noi sappiamo che, dei quattro candidati che si presentavano, l´unico ad avere il potere e la disponibilità del bilancio nazionale era Ahmadinejad, e crediamo che ne abbia approfittato per vincere. D´altra parte, l´organo di controllo (il Consiglio dei Guardiani, ndr) si è inclinato in suo favore invece di controllarne lo svolgimento. Il nostro disaccordo si limita alle elezioni. Non mettiamo in discussione il sistema».
Il senso di ingiustizia che la gente dimostra per strada ormai va oltre i brogli elettorali...
«Se le autorità si fossero comportate in un altro modo nelle svolgimento delle elezioni, non sarebbero mai sorti questi problemi, perché la maggioranza assoluta di quelli che protestano lo fa solo per questo motivo. Gli iraniani vogliono una soluzione e la stabilità quanto prima. La realtà è che la maggioranza non accetta i metodi, il linguaggio e il modo di governare di Ahmadinejad. Se si risolve il problema principale, si risolve anche il resto».
La repressione è stata violentissima. Lei ha una cifra reale dei morti e degli arrestati?
«Ci sono diverse versioni. Alcune parlano di 2.000 e perfino 3.000 arrestati. Altre, di 1000. Le informazioni non sono affidabili. Nemmeno rispetto a quelli che hanno perso la vita. Presto avremo più dati».
Uno degli arrestati più importanti, l´ex vicepresidente Abtahi, ha appoggiato la sua candidatura alla presidenza. Che cosa ha provato quando lo ha visto in tv, con l´uniforme dei detenuti, ritrattare le sue critiche al risultato elettorale?
«Sono in prigione da 50 giorni. Ignoro in quali condizioni abbiano vissuto per dire quelle cose. Non credo in quel tipo di confessioni e l´ho già detto sul mio giornale».
Che farete, lei e Moussavi, da adesso in poi?
«Continueremo a protestare. Non collaboreremo mai con questo governo».
Lei è stato un confidente dello scomparso ayatollah Khomeini e poi anche del suo successore, l´ayatollah Khamenei. Ha parlato con lui dopo le elezioni?
«No. Non abbiamo avuto incontri, ma gli ho scritto diverse lettere».
Le ha risposto?
«No. Ho scritto anche a Rafsanjani e ad altri. Tutto ciò che ho fatto è finalizzato a trovare una via d´uscita alla crisi. Fin dall´inizio, ciò che chiediamo è l´annullamento delle elezioni».
L´Occidente e gli Usa si trovano di fronte a un dilemma. Se tentano un avvicinamento all´Iran, legittimano Ahmadinejad. Se non lo fanno, rimangono senza canali di comunicazione con un paese chiave nella regione. Cosa è più conveniente per gli iraniani?
«La cosa più conveniente per gli iraniani sono dei negoziati. Mantenere vivi i nostri problemi con gli Stati Uniti non è utile a nessuna delle parti. Questo paese non appartiene a me, né alla Guida, né al signor Ahmadinejad. Dobbiamo cercare gli interessi nazionali. E noi continueremo con le nostre proteste. Come dice un detto iraniano, il mondo non finisce oggi.
La STAMPA - Glauco Maggi : " E ora l'America con chi parlerà? "
Justin Logan
In Iran, le manifestazioni di piazza e l’ostilità crescente sia della gente sia degli oppositori politici di Ahmadinejad complicheranno la vita ad Obama, che deve fermare i piani nucleari di un leader indebolito ma, per ora, inevitabile. I problemi per l’amministrazione, però, vengono più da Washington che non da Teheran. Il commento è di Justin Logan, direttore associato di studi in politica estera del Cato Institute, il pensatoio libertario, che sorprendentemente attacca i neoconservatori fautori della linea dura, del «non dialogo» con Ahmadinejad.
Processi farsa e caccia ai dissidenti. L’Iran ha un presidente appena riconfermato di un regime che ha perso credibilità all’interno e all’esterno, al punto che il segretario di Stato Hillary Clinton ha detto di «ammirare i continui sforzi dei riformatori per cambiare il Paese». Sarà più facile o più difficile per Obama mettersi al tavolo con Ahmadinejad?
«Penso che quanto è successo stia rendendo in qualche misura più arduo per l’amministrazione impostare delle trattative. Sembra che Obama voglia ancora perseguire una politica di impegno, ma la repressione contro chi protesta rende più difficile, per motivi di politica interna americana, confrontarsi con un leader autoritario come Ahmadinejad».
L’America deve solo sperare in un cambiamento di regime?
«Ahmadinejad deve fronteggiare in effetti nuovi problemi interni a causa della elezione fraudolenta. E’ sottoposto a nuove pressioni politiche, e non solo dal candidato battuto Mousavi, ma anche da personalità influenti quale Rafsanjani e dai burocrati che si sono schierati con loro. Io credo che al governo americano piacerebbe, idealmente, che avvenisse un pacifico cambio di regime e che si potesse fare un accordo sulla questione nucleare».
Idealmente, lei dice. Ma in pratica che cosa avverrà?
«Non c’è assolutamente modo di prevedere se ci sarà un cambio di governo, e quale risultato ne potrebbe venire, per cui il governo americano dovrà discutere con qualsiasi regime sia al potere. Il problema dell’armamento nucleare di Teheran è di gran lunga più importante della questione della politica interna iraniana».
Quindi, in questa partita, i libertari-conservatori del Cato Institute sono schierati con il presidente liberal?
«Sì, siamo d’accordo con la volontà di Obama a trattare. Ai neoconservatori americani piace accusare il governo di “legittimizzare” i regimi autoritari discutendo con loro. Ma ciò è un non senso. Impegnarsi in normali negoziazioni sulle bombe nucleari con l’Iran non dà più “legittimazione” di quella che le trattative con i sovietici davano all’Urss. Credo che nessuno possa fare confusione su ciò che l’America pensa dello stile di governo in Iran. Siamo in disaccordo su questo punto con i critici di Obama. Ecco perché noi americani abbiamo un governo di democrazia liberale piuttosto che una teocrazia sciita».
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera, Repubblica e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti