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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica - Il Riformista Rassegna Stampa
06.08.2009 Mentre Ahmadinejad giura da presidente continuano gli scontri a Teheran
Arresti, torture, impiccagioni. Ecco la tattica del regime per mettere a tacere l'opposizione

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - La Repubblica - Il Riformista
Autore: Guido Olimpio - Gaia Cesare - Giampaolo Cadalanu - Alaleh Delou
Titolo: «Ahmadinejad giura da presidente. Proteste e scontri a Teheran - Il 'grande gioco' della crisi iraniana Siria in allarme, le manovre saudite - Torturata, stuprata e uccisa a 28 anni È Taraneh la nuova eroina anti-regime - Mio marito in una cella iraniana l»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/08/2009, a pag. 14, due articoli di Guido Olimpio titolati " Ahmadinejad giura da presidente. Proteste e scontri a Teheran  " e " Il 'grande gioco' della crisi iraniana Siria in allarme, le manovre saudite ". Dal GIORNALE, a pag. 13, l'articolo di Gaia Cesare dal titolo " Torturata, stuprata e uccisa a 28 anni. È Taraneh la nuova eroina anti-regime ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 11, l'intervista di Giampaolo Cadalanu a Paola Gourley, moglie di Maziar Bahari, giornalista incarcerato in Iran, dal titolo " Mio marito in una cella iraniana la Farnesina mi aiuti a liberarlo ". Dal RIFORMISTA, a pag. 8, l'intervista di Alessandra Cardinale a Alaleh Davallou, figlia del corrispondente da Teheran di "Le Monde" e nipote del primo presidente del Parlamento iraniano, dal titolo " La Ue che dà lezione di diritti umani per l'Iran non ha fatto un bel nulla ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Ahmadinejad giura da presidente. Proteste e scontri a Teheran  "

Il presidente iraniano Mah­moud Ahmadinejad ha giurato incurante di proteste e faide in­terne. Un atto ufficiale in una cornice di grande instabilità: di­mostrazioni, arresti, impiccagio­ni e misteriosi attentati nella re­gione di Ahwaz. Ma ad Ahmadi­nejad importava solo della sua «corona». Infatti al termine del­la cerimonia, boicottata dagli ex presidenti Khatami e Rafsanjani così come dai riformisti, ha irri­so le diplomazie occidentali — compresa quella italiana — che hanno deciso di non congratu­­larsi: «Beh, dovreste sapere che nessuno in Iran se le aspetta», ha dichiarato con tono di sfida.
Un «me ne frego» che non ris­pecchia però quanto sta avve­nendo nel Paese. Ieri gruppi di dimostranti hanno organizzato una marcia in concomitanza del giuramento e altri hanno insce­nato una protesta nel bazar di Teheran al grido «Allah è gran­de ». La risposta del potere è arri­vata con i manganelli di pasda­ran e basiji. Diverse decine di persone, compreso un collabora­tore del riformista Moussavi, so­no state arrestate. Altre hanno subito pesanti pestaggi. Blocca­te le comunicazioni dei cellulari. E le autorità, per ribadire che non hanno paura di nulla, han­no annunciato l’impiccagione di 24 trafficanti di droga. Esecuzio­ni che portano a 219 i giustiziati in Iran dall’inizio dell’anno.
Una giornata dunque intensa che ha spinto gli americani a ri­calibrare la loro posizione. Il se­gretario di Stato Hillary Clinton si è espresso così: «La persona investita sarà considerata presi­dente, ma noi ammiriamo la re­sistenza dei riformisti» per arri­vare a un cambio. Quindi ha ag­giunto che l’offerta di dialogo, più volte formulata da Obama, è ancora sul tavolo. Una conces­sione non da poco quando il tuo interlocutore bastona chi chiede libertà. Ispirata alla prudenza an­che la precisazione del portavo­ce della Casa Bianca, Robert Gib­bs, al seguito del presidente: «Il popolo iraniano continua a por­si delle domande (sul voto,
ndr ), ma lasciamo che siano lo­ro a giudicare». La linea Usa pro­segue, non senza polemiche in­terne, sul filo della moderazio­ne: non ingerenza, plauso per quanti scendono in piazza, di­sponibilità a cercare una soluzio­ne diplomatica. Tattica pragma­tica per levare munizioni al radi­calismo di Ahmadinejad pronto a sfruttare in chiave interna le tensioni esterne.
A Teheran sono comunque nervosi per quanto è avvenuto il primo agosto ad Ahwaz, nel Sud-ovest del Paese. Un potente ordigno attivato da un timer ha distrutto un ponte della ferro­via: azione rivendicata dalle «Forze Abu Bakr», gruppo, for­se, di ispirazione sunnita. I pa­sdaran, che hanno assunto la guida delle indagini, sono con­vinti che l’obiettivo dell’attenta­to fosse un treno, con un impor­tante carico strategico, diretto a Bandar Khomeini. Il convoglio è però passato con qualche minu­to d’anticipo e la carica ha dan­neggiato le strutture fisse. In tut­ta la zona, teatro in passato di azioni armate, sono state adotta­te severe misure di sicurezza per prevenire nuove iniziative visto che il misterioso gruppo «Abu Bakr» ha presentato l’attacco co­me una risposta alla repressio­ne. I Guardiani temono altri at­tentati e da ieri pomeriggio cir­colano voci su una seconda esplosione nel medesimo setto­re.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Il 'grande gioco' della crisi iraniana Siria in allarme, le manovre saudite "

La sfida in Iran sta rimodellando la scac­chiera regionale, con molte pedine impe­gnate in un «Grande gioco» per evitare contraccolpi o crearne di nuovi. Una parti­ta dove si incrociano informazioni vere e propaganda, una scena dove gli attori cambiano di continuo i ruoli.
I siriani e i Fratelli —
È lo sviluppo che non ti aspetti. Damasco è preoccupa­ta dell’estendersi dell’influenza sciita in Si­ria. Predicatori, spesso con l’aiuto di ele­menti Hezbollah, raccolgono fedeli, fan­no proselitismo nelle moschee, allargano la presenza nelle scuole religiose, anima­no associazioni caritatevoli. Una spinta che ha riavvicinato, sia pure di poco, il po­tere e i Fratelli musulmani, una volta fero­ci antagonisti degli Assad.
Dopo ripetuti contatti, il governo ha de­ciso di reagire accrescendo i controlli nei «seminari» sciiti, monitorando gli imam radicali, riducendo gli spostamenti di per­sonaggi ritenuti pericolosi. Inoltre sono stati posti limiti ai pellegrinaggi e alle visi­te di carattere religioso ad importanti san­tuari sciiti. In alcuni casi la polizia ha pro­ceduto ad espulsioni.
Un cambio di registro che ha suscitato il plauso sommesso dei Fratelli musulma­ni siriani e dell’Arabia Saudita, faro per i sunniti: in un messaggio al ramo egiziano la dirigenza islamista si è attribuita il me­rito della svolta. Il presidente Bashar As­sad, è il succo del discorso, ci ha ascolta­to. Ma ciò non è bastato a far dimenticare i massacri del passato, quando migliaia di integralisti sono stati liquidati dal regi­me. I Fratelli non si fidano ancora e han­no declinato gli inviti a tornare a casa. Al­tra diffidenza è suscitata dalle priorità di Damasco. Bashar non tollera disordine nel suo cortile, però non intende creare frizioni con Iran ed Hezbollah, punti di ri­ferimento per gli sciiti nell’area.
L’Arabia infelice — A Riad guardano soddisfatti alla lotta di potere in Iran e ma­novrano per accrescere le difficoltà dei mullah. Provano a dividere Damasco da Teheran, appoggiano le minoranze arabe, aiutano i sunniti (specie in Libano) in chiave anti-sciita. Ma non mancano i guai all’interno del Regno, dove i dignitari in kefiah si scambiano colpi bassi con mano­vre e intrighi. L’ultimo riguarda il princi­pe Bandar, l’interlocutore privilegiato de­gli americani e grande amico dei presiden­ti Usa. L’esule Saad Al Faqih ha rivelato che sarebbe agli arresti domiciliari per aver organizzato «un complotto con 200 agenti». Impossibile verificare la fondatez­za della notizia, ma la «voce» è comunque un segnale e non è un caso che i media iraniani l’abbiano subito rilanciata.
Qatar inquieto —
Il vento del Golfo ha portato un’altra indiscrezione «calda»: lo sceicco Hamid Bin Khalifa Al Tani avreb­be sventato un golpe organizzato da un gruppo di militari. Trenta alti ufficiali so­no stati arrestati mentre il capo di stato maggiore è stato silurato. I congiurati — secondo alcuni siti arabi — avevano l’ap­poggio di membri della famiglia «reale». Le tensioni interne sono state precedute da un contenzioso diplomatico — non col­legato — con l’Arabia Saudita. Riad è fu­riosa per la copertura che la tv satellitare Al Jazeera , basata in Qatar, ha dedicato al­la protesta popolare in Iran. Fonti saudite sostengono che l’emittente ha fatto da sponda al regime mettendo in cattiva luce i contestatori o nascondendo le notizie sgradite agli ayatollah. Una scelta frutto di un accordo tra il regime di Teheran e i vertici della tv.
I Mujaheddin —
Bagdad, assecondando i desideri dell’Iran, vuole eliminare una volta per tutte la presenza dei Mujaheddin Khalq, gruppo iraniano in esilio da decenni in Iraq. Così le forze speciali hanno dato l’assalto al campo Ashraf, operazione segnata da arresti, de­portazioni e vittime.
Gli Usa hanno prima lasciato fare, ma nelle ultime ore si sono mossi facendo pressioni sul governo iracheno perché si fermi. Washington ha sul tema un approc­cio «binario»: ha inserito i Mujaheddin nella lista dei gruppi terroristici, ma al tempo stesso ha consentito alla formazio­ne di diffondere dossier «sensibili» sul­­l’Iran, in particolare sui programmi bellici non convenzionali. Gli oppositori potreb­bero tornare utili in futuro.

Il GIORNALE - Gaia Cesare : " Torturata, stuprata e uccisa a 28 anni. È Taraneh la nuova eroina anti-regime "

 Taraneh  Neda

Dicono che i Guardiani della Rivoluzione l’abbiano notata subito tra la folla. Sotto al velo occhi verdi - truccati - e tacchi alti, vezzi dei suoi 28 anni, a tradire la voglia di spensieratezza e il sogno di libertà. Taraneh era scesa in piazza per dire no ai brogli, per protestare contro il voto falsato del candidato-presidente Mahmoud Ahmadinejad. Lì l’hanno notata i basiji. E lì i suoi amici l’hanno vista per l’ultima volta. L’ultima volta prima che Taraneh diventasse la nuova martire iraniana.
L’hanno ribattezzata la nuova Neda. Anche lei donna, anche lei simbolo della ribellione, anche lei vittima della repressione. Da quel giorno - era il 28 giugno - dal momento in cui ha deciso di sfidare il regime, di lei non si è saputo più nulla. Fino a quando il suo corpo è stato trovato carbonizzato in una zona sperduta tra Karaj e Qazvin. Prima di quella fine agghiacciante il carcere, le torture e gli stupri ripetuti dei miliziani.
Ha parcheggiato la sua auto a pochi passi dalla moschea di Ghoba, Taraneh. Quel 28 giugno ha affrontato i gas lacrimogeni insieme con cinquemila manifestanti pacifici nel giorno della commemorazione dell’ayatollah Mohammad, l’occasione per poter scendere in strada e contestare l’improbabile rielezione di Ahmadinejad. L’hanno arrestata quella sera e non c’è voluto molto perché i suoi aguzzini fossero conquistati dal suo sguardo e dalla sua bellezza. Che però hanno acuito il loro disprezzo per il suo coraggio. Taraneh è stata rinchiusa nel carcere di Evin dai paramilitari basiji e mai consegnata alla polizia. Lì - hanno raccontato alcuni testimoni citati dal quotidiano spagnolo Abc - «è stata torturata e violentata selvaggiamente e in gruppo per vari giorni». Una vecchia abitudine di cui il regime si serve anche per umiliare gli oppositori maschi.
Tre settimane dopo la sua scomparsa, a casa di Taraneh arriva una chiamata. Una voce anonima avverte: la ragazza si trova in ospedale, all’Imam Khomeini di Karaj, a nord della capitale. I genitori si precipitano. Ma il loro viaggio è un buco nell’acqua. Carico di sospetti e omissioni. Il nome di Taraneh non figura nel registro delle persone ricoverate. Solo un’infermiera conferma che una giovane donna in coma, la cui descrizione somiglia molto a quella di Taraneh, è stata trasportata qualche giorno prima in ospedale dai basiji. «Ferite all’ano e problemi all’utero», ha raccontato un altro testimone. Ma passano meno di due ore e gli stessi basiji la portano via.
Il sospetto peggiore prende corpo: Taraneh è stata violentata dai Guardiani della rivoluzione e il suo corpo bruciato per non lasciare alcuna traccia delle violenze. Eppure la famiglia tace. Nessun funerale pubblico, ha dichiarato. Il dramma di Taraneh va tenuto fra quelle quattro mura. Ma i blogger che hanno rilanciato la storia di questa giovane eroina iraniana hanno pochi dubbi: gli uomini della sicurezza di regime sono intervenuti per chiudere la bocca ai familiari, rubando loro anche la libertà di spendere in pubblico le ultime lacrime per la loro bimba.
Taraneh se ne va così, come tanti altri suoi coetanei in lotta per la libertà. Se ne va come Neda, ma senza lasciare al mondo l’immagine immortale dei suoi ultimi momenti. Se ne va e lascia al mondo solo quella foto, i suoi occhi determinati e il suo bel viso. E c’è chi la considera persino più fortunata di quei giovani che hanno subìto le violenze dei miliziani ma non ha perso la vita. Gli stupri sono diventati un’arma del regime: «Uccidendo i manifestanti il governo li trasforma in martiri - spiega il blogger iraniano Potkin Azarmehr -. Violentandoli e lasciandoli vivere ne fa degli emarginati respinti dalla società».

La REPUBBLICA - Giampaolo Cadalanu : " Mio marito in una cella iraniana la Farnesina mi aiuti a liberarlo "

Maziar Bahari

Maziar Bahari presto diventerà padre, ma non sa se l´erede sarà maschio o femmina. Non lo sa, perché dal 21 giugno è rinchiuso in un carcere di Teheran, con l´accusa di aver "minacciato la sicurezza nazionale" della Repubblica islamica facendo il suo mestiere, cioè raccontando i fatti iraniani ai lettori di Newsweek o agli spettatori dei suoi documentari. Ma di che sesso sarà il nascituro non lo sa nemmeno la madre Paola Gourley, avvocato italo-inglese e moglie di Maziar, che da Londra si batte in ogni modo possibile per far scarcerare il marito. Paola ha avuto dai medici l´ecografia del bambino, atteso per novembre, l´ha conservata nell´album di famiglia, ma non ha voluto che i medici le dicessero che cosa l´immagine rivela.
«Non so se Maziar desideri un maschietto o una bambina. Questo bimbo è stato concepito subito dopo la morte di sua sorella Marjane, in Iran, e forse… non lo so. Ma ho tanta paura che il bimbo arrivi prima della liberazione di suo padre», dice la Gourley. E aggiunge: «Pensare che poco prima di essere arrestato aveva proprio raccontato la storia di una donna incinta che aveva fatto l´ecografia a Teheran. Non vedeva l´ora di avere in mano quella del suo bambino…».
La causa di Bahari, iraniano-canadese collaboratore del settimanale americano oltre che della Bbc e regista di documentari, ha suscitato una mobilitazione senza precedenti, con pagine su Facebook e petizioni online che hanno raccolto decine di firme anche in Italia. Ma l´attenzione è cresciuta soprattutto dopo che il giornalista è stato costretto a "confessare" le sue colpe in uno dei numerosi processi-farsa organizzati dal regime degli ayatollah. La "confessione", resa pubblica in tv, era in realtà la conferma che sì, Maziar aveva fatto il suo lavoro: aveva raccontato le elezioni, aveva ripreso le proteste seguite alla contestata vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, aveva documentato con la telecamera anche i disordini e le violenze dei basiji. Se alla tv iraniana Bahari riconosceva l´errore e si appellava alla benevolenza della "guida suprema" Khamenei, al contrario i colleghi di Newsweek si sono subito schierati a garantire la sua obiettività. «Conosco Maziar da più di un decennio. Il suo modo di fare giornalismo è corretto, serio, equilibrato. Semmai avevamo da discutere quando difendeva certe scelte di Teheran, per esempio in tema di nucleare. Maziar è un patriota, orgoglioso di essere iraniano», racconta Christopher Dickey, corrispondente del settimanale dal Medio Oriente.
Oltre alla solidarietà dei colleghi, lo "show processuale" ha suscitato l´indignazione della moglie Paola. «E´ una cosa inaccettabile. Quella che chiamano confessione è stata ottenuta violando ogni legge internazionale». E ora Paola Gourley, che per metà è genovese, ha deciso di rivolgersi a Repubblica per un appello alla Farnesina, sapendo che l´Italia ha con l´Iran rapporti migliori di altri paesi occidentali: «Vorrei che il governo italiano, magari assieme agli altri paesi dell´Unione europea, usasse la sua influenza per ottenere la liberazione di Maziar. Vorrei che fosse chiaro: non ha fatto nulla di male».

Il RIFORMISTA - Alessandra Cardinale : " La Ue che dà lezione di diritti umani per l'Iran non ha fatto un bel nulla "

 Alaleh Davallou : " L'Unione Europea che passa la vita a darci lezione sui diritti umani, in questo specifico caso, non ha fatto nulla e gli strumenti a disposizione ce li ha "

Il papà corrispondente da Teheran per Le Monde, il nonno primo Presidente del Parlamento iraniano, poi arriva l'esilio, l'Università a New York, la vita in Francia, Spagna e India, i ricordi del vecchio palazzo di famiglia trasformato in museo del vetro e le tombe di famiglia profanate dal regime khomeinista, fino al secondo giuramento di Ahmadinejad, un giorno che Alaleh Davallou, 50 anni, pittrice iraniana e da due mesi blogger, definisce con Il Riformista «una farsa, una demoniaca e lugubre rappresentazione teatrale». Ma alla fine racconta di una piccola speranza che nonostante tutto si è accesa.
Quali sono stati i suoi primi pensieri quando hai visto Ahmadinejad giurare come Presidente della Repubblica islamica iraniana?
Una demoniaca e lugubre rappresenatazione teatrale. Come hanno osato? È stata una scena ridicola e ancor più ridicolo il bacio tra Khamenei e Ahmadinejad. Ma le dirò, il silenzio dell'Ayatollah è stato il momento più interessante.
Perchè? Non ha parlato già abbastanza?
Khamenei avrebbe dovuto esprimere verbalmente il suo appoggio a Ahmadinejad, congratularsi con lui durante la cerimonia del giuramento ma non l'ha fatto. Questo indica quanto il "presunto" Presidente iraniano sia isolato politicamente. Ahmadinejad è rimasto il burattino di Khamenei, nulla di nuovo, dunque. Anche i cittadini nelle strade di Teheran l'hanno detto in queste settimane, urlando a squarciagola "Morte al dittatore", il dittatore è sempre e solo lui, l'Ayatollah Khamenei, uno degli uomini più ricchi in Iran e senza dubbio il più potente.
Suo padre è stato uno dei pioneri del giornalismo iraniano, storico corripondente per il Medio Oriente di Le Monde e tuo nonno tra i fondatori della Prima costituzione iraniana, la Mashrootieh. Com'è stato vivere sotto controllo 24 ore su 24?
Pensa che ora il mio telefono non sia controllato? Le assicuro che lo è. Come lo sono anche le mie pagine di Facebook e Twitter. Mio padre ha vissuto anni agli arresti domiciliari perchè faceva bene il suo lavoro, non è mai stato in galera, ma viveva e con lui anche noi della famiglia, sotto stretto controllo. A casa nostra, il telefono era sotto controllo, ce ne accorgevamo perchè ogni volta che alzavi la cornetta si sentiva uno strano rumore. Quello che sento spesso anche da qui, in Francia e che ho sentito quando mi ha risposto al telefono cinque minuti fa. Ma senta, non mi interessa nulla, sin dall'inizio sui blog sto usando il mio nome vero, nessun nick name, infatti ricevo spesso insulti, ma non importa. Per quasi due mesi ho smesso di dipingere, ho passato anche fino a 20 ore al giorno davanti al computer a scrivere e tradurre, con l'obiettivo di diffondere il più possibile il messaggio degli iraniani al mondo.
E il mondo, la comunità internazionale, come ha risposto a questi messaggi?
L'Italia benissimo. Vedere il David a Firenze illuminato di verde è stato molto commovente. Ma bisogna anche distinguere tra i governi e i cittadini. L'Unione Europea che passa la vita a darci lezione sui diritti umani, in questo specifico caso, non ha fatto nulla e gli strumenti a disposizione ce li ha. Mentre molte città con il placet dei sindaci sono riuscite ad organizzare proteste molto significative per gli iraniani di Iran e per quelli fuori.
Una Ong ha scoperto che il 30 luglio scorso sono state impiccate almeno 27 persone. Le torture continuano...
Le torture, purtroppo, ci sono sempre state. Da 30 anni vengono impiccate le persone. A volte anche dei bambini, una cosa ignominiosa.
Come vanno letti questi comportamenti, sono una sfida all'Occidente?
Al governo iraniano non importa nulla dell'Occidente. Il perchè, ancora una volta, ci viene spiegato dagli iraniani che stanno protestando nelle piazze. "Morte alla Russia", "Morte alla Cina", urlano le persone. Cina e Russia sono completamente silenti e amici con l'Iran di Khamenei e ora, la forza economica non è nelle mani di Obama o dell'Europa ma appunto nelle loro.
L'intervista era finita. Dopo un paio di ore Alaleh richiama. Vuole rispondere alla domanda sulla differenza tra gli esiliati e gli iraniani in Iran che aveva precedentemente glissato. È emozionata.
Noi che siamo andati via dall'Iran siamo spesso stati considerati fortunati da coloro che sono rimasti. Ci hanno dato poco peso e importanza, forse non ci consideravano veri iraniani. Ma ora, per la prima volta, sento che noi e loro siamo un corpo unico, omogeneo e unito che combatte per lo stesso obiettivo: la libertà e il cambiamento nel nostro Paese.

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