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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
29.07.2009 Khamenei chiude la prigione di Kahrizak
Ma ci dica quanti sono ancora in carcere, quanti sono morti e quanti torturati

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Cecilia Zecchinelli - La redazione del Corriere della Sera - La redazione del Foglio
Titolo: «Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti -»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2009, a pag. 10, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti " e l'articolo dal titolo " Le botte, il sangue e le urla. Sono un cadavere mancato ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Perché al momento cruciale l’Europa va in letargo con Teheran ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti  "

 Ali Khame­nei

Un ex capannone industriale nella periferia sud di Teheran, un inferno in terra che a molti ri­corda Guantánamo, più simile in realtà a un Garage Olimpo ar­gentino in versione iraniana. Il campo di detenzione di Kahri­zak è stato chiuso ieri per ordine della Guida Suprema Ali Khame­nei, mentre 140 prigionieri veni­vano rilasciati da altre carceri della capitale. Ma Kahrizak non era una prigione normale: era ge­stito, invece, dai servizi paralleli dei pasdaran che rispondono di­rettamente proprio alla Guida. Semi sconosciuto fino a poche settimane fa, Kahrizak è divenu­to il centro delle peggiori torture contro i dissidenti che dal voto del 12 giugno hanno sfidato il re­gime. In centinaia vi sono stati rinchiusi e alcuni sono stati ucci­si proprio qui, sostiene l’opposi­zione, che ne ha identificati per ora tre. Uno di loro Mohsen Rouhalamini, 25 anni, era figlio di un importante esponente con­servatore, consigliere di Mohsen Rezai, l’unico candidato pro-regi­me alle ultime presidenziali.
«Kahrizak non possedeva gli standard richiesti per assicurare i diritti dei detenuti», ha spiega­to ieri Kazem Jalali, della com­missione parlamentare incarica­ta di investigare sulle migliaia di arrestati, di cui 500 resterebbero ufficialmente in prigione. «Il cla­more
suscitato dalla morte del fi­glio di Rouhalamini ha portato parlamento e magistratura, pur conservatori, a chiedere un’in­chiesta su Kahrizak, dove magi­­strati, avvocati e perfino la nor­male polizia non hanno accesso — spiega un dissidente esule in Italia —. La sua chiusura è stata decisa per evitare che qualcuno andasse a vedere cosa succede». «Dicono che Mohsen è morto di meningite, ma com’è che aveva i denti rotti?», ha denunciato lune­dì Mir-Hossein Mousavi, il lea­der dell’opposizione che conti­nua a dichiararsi vincitore del vo­to di giugno. Un altro leader ri­formatore, Mahdi Karroubi, po­chi giorni fa era arrivato a soste­nere che «nemmeno gli israelia­ni trattano così i prigionieri pale­stinesi » . Un crescendo di proteste e ap­pelli per scarcerare tutti i dissi­denti, o almeno inviarli a un giu­sto processo. E ora di apparenti aperture del regime. Dopo il rila­scio dei 140 detenuti e la chiusu­ra di Kahrizak, ieri è arrivata la richiesta di Mahmoud Ahmadi­nejad di rilasciare tutti gli arre­stati senza incriminazioni gravi entro il 7 agosto, anniversario dell’Imam Nascosto. Forse un se­gnale all’ala più conservatrice del Parlamento, indignata per il caso Rouhalamini ma soprattut­to sempre più ostile al presiden­te: la recente «disobbedienza» di Ahmadinejad alla Guida Supre­ma in merito alla nomina di un vice-presidente sta rischiando — si dice a Teheran — di provo­care presto un voto di sfiducia contro di lui.

CORRIERE della SERA - " Le botte, il sangue e le urla. Sono un cadavere mancato "

 Kahrizak

Reza Yavari, pseudonimo di uno studente iraniano di 21 anni, uscito ieri dal centro di Kahrizak, ha diffu­so su vari blog la sua testimonianza, ritenuta attendibile da vari esperti. Eccone alcuni passi tradotti: «Questa mattina, 28 luglio, io e un paio di altri ci siamo miracolosa­mente salvati dalla morte nella Guantánamo d’Iran, il campo di Kahrizak. Mi hanno preso l’8 luglio, ero in moto con un amico e filmavo le proteste col telefonino. Mi hanno ficcato in un furgone pieno di gente ferita, picchiato fino a stordirmi, poi con altre decine mi hanno portato a Kahrizak».
«Nella stanza c’erano 200 perso­ne, tutti feriti. Pianti e grida ovun­que. Non c’era posto per sedersi, i muri erano pieni di sangue. All’im­provviso hanno urlato che qualcuno era morto, ma non potevamo muo­verci, eravamo pressati gli uni agli al­tri. Le guardie in borghese sono en­trate e hanno rotto tutte le lampadi­ne, ci hanno pestato al buio. Qualcu­no è entrato in coma. Il loro capo ha preso un cadavere, lo ha illuminato con una torcia e ci ha detto che avremmo fatto la stessa fine. 'Siete tutti mohareb , satana infedeli', urla­va picchiando a sangue un ragazzi­no. Quel giorno sono morti in quat­tro ».
«Eravamo feriti, chiusi al buio sen­za toilette, niente. Ogni tanto ci get­tavano un sacco di avanzi di cibo, su cui ci lanciavamo. Un giorno ci han­no fatto uscire al sole, ma solo per farci pulire i nostri escrementi dalla stanza. Sono certo che questo cam­po è peggio di Guantánamo e Abu Ghraib».
«Alla fine ci hanno sbattuto fuori, i primi a uscire senza processo, per­ché non c’era più spazio. Ci hanno minacciato di ucciderci subito se avessimo parlato con qualcuno. Ora la libertà è dolce per me, ma non scordo le migliaia di persone rima­ste in carcere, i ragazzi come Milad, che aveva 16 anni, e che quegli ani­mali avrebbero potuto salvare por­tandoli all’ospedale e che invece han­no lasciato morire».

Il FOGLIO - "  Perché al momento cruciale l’Europa va in letargo con Teheran"

Bruxelles. Duecentodieci (su duecentonovanta) parlamentari iraniani firmano una lettera pubblica contro il presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ha licenziato il ministro dell’Intelligence. E’ il segno di un altro strappo interno al potere, incapace di reggere alla tensione post elezioni. L’Amministrazione Obama inasprisce i toni sul programma nucleare dell’Iran e manda un suo team a trattare la questione con Gerusalemme, per congelare qualsiasi opzione (soprattutto una: l’attacco militare preventivo) almeno fino a settembre. E l’Unione europea? Si prende un altro periodo di vacanza iraniana, al momento fatidico. Al pranzo di lavoro dei ministri degli Esteri dei Ventisette lunedì, “sono riemerse le vecchie divisioni”, dice al Foglio un diplomatico europeo. Così, dopo più di un anno di rinvii motivati prima dalla transizione presidenziale americana, poi dalla policy review di Barack Obama e ancora dalle elezioni iraniane, l’Europa continua ancora con il “wait and see” sia sulla legittimità del regime sia sul nucleare. Di fronte alla repressione dell’opposizione, il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell'Ue, Carl Bildt, ha promesso di “esprimere grande inquietudine sui diritti umani direttamente alle autorità nei prossimi giorni”. Ma l’idea di fare disertare agli ambasciatori europei la cerimonia di insediamento del presidente Amhadinejad è stata bocciata. Il 5 agosto “non ci sarà boicottaggio europeo all’inaugurazione”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, perché “con chi non condividiamo, dobbiamo parlare”. Eppure la questione della legittimità del governo della Repubblica islamica è direttamente legata al negoziato sul nucleare. “Non mi attendo una risposta rapida” dell’Iran all’offerta americana e occidentale presentata in aprile, ha detto l’Alto rappresentante Javier Solana: non arriverà “prima che la situazione (politica interna) si stabilizzi”. Nonostante il pessimismo, i Ventisette non hanno voluto affrontare il dibattito sulle sanzioni, rischiando di arrivare impreparati alla scadenza dell’ultimatum dell’Amministrazione Obama. Per molti europei – tra cui Germania e Italia, i due principali partner commerciali dell’Iran – il rafforzamento delle sanzioni “lascia il tempo che trova”, perché andrebbe a vantaggio di chi continua a fare affari con Teheran, come India, Cina e Russia.

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