Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Khamenei chiude la prigione di Kahrizak Ma ci dica quanti sono ancora in carcere, quanti sono morti e quanti torturati
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Cecilia Zecchinelli - La redazione del Corriere della Sera - La redazione del Foglio Titolo: «Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti -»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2009, a pag. 10, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti " e l'articolo dal titolo " Le botte, il sangue e le urla. Sono un cadavere mancato ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Perché al momento cruciale l’Europa va in letargo con Teheran ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Iran, apertura del regime. Rilasciati 140 dimostranti "
Ali Khamenei
Un ex capannone industriale nella periferia sud di Teheran, un inferno in terra che a molti ricorda Guantánamo, più simile in realtà a un Garage Olimpo argentino in versione iraniana. Il campo di detenzione di Kahrizak è stato chiuso ieri per ordine della Guida Suprema Ali Khamenei, mentre 140 prigionieri venivano rilasciati da altre carceri della capitale. Ma Kahrizak non era una prigione normale: era gestito, invece, dai servizi paralleli dei pasdaran che rispondono direttamente proprio alla Guida. Semi sconosciuto fino a poche settimane fa, Kahrizak è divenuto il centro delle peggiori torture contro i dissidenti che dal voto del 12 giugno hanno sfidato il regime. In centinaia vi sono stati rinchiusi e alcuni sono stati uccisi proprio qui, sostiene l’opposizione, che ne ha identificati per ora tre. Uno di loro Mohsen Rouhalamini, 25 anni, era figlio di un importante esponente conservatore, consigliere di Mohsen Rezai, l’unico candidato pro-regime alle ultime presidenziali. «Kahrizak non possedeva gli standard richiesti per assicurare i diritti dei detenuti», ha spiegato ieri Kazem Jalali, della commissione parlamentare incaricata di investigare sulle migliaia di arrestati, di cui 500 resterebbero ufficialmente in prigione. «Il clamore suscitato dalla morte del figlio di Rouhalamini ha portato parlamento e magistratura, pur conservatori, a chiedere un’inchiesta su Kahrizak, dove magistrati, avvocati e perfino la normale polizia non hanno accesso — spiega un dissidente esule in Italia —. La sua chiusura è stata decisa per evitare che qualcuno andasse a vedere cosa succede». «Dicono che Mohsen è morto di meningite, ma com’è che aveva i denti rotti?», ha denunciato lunedì Mir-Hossein Mousavi, il leader dell’opposizione che continua a dichiararsi vincitore del voto di giugno. Un altro leader riformatore, Mahdi Karroubi, pochi giorni fa era arrivato a sostenere che «nemmeno gli israeliani trattano così i prigionieri palestinesi » . Un crescendo di proteste e appelli per scarcerare tutti i dissidenti, o almeno inviarli a un giusto processo. E ora di apparenti aperture del regime. Dopo il rilascio dei 140 detenuti e la chiusura di Kahrizak, ieri è arrivata la richiesta di Mahmoud Ahmadinejad di rilasciare tutti gli arrestati senza incriminazioni gravi entro il 7 agosto, anniversario dell’Imam Nascosto. Forse un segnale all’ala più conservatrice del Parlamento, indignata per il caso Rouhalamini ma soprattutto sempre più ostile al presidente: la recente «disobbedienza» di Ahmadinejad alla Guida Suprema in merito alla nomina di un vice-presidente sta rischiando — si dice a Teheran — di provocare presto un voto di sfiducia contro di lui.
CORRIERE della SERA - " Le botte, il sangue e le urla. Sono un cadavere mancato "
Kahrizak
Reza Yavari, pseudonimo di uno studente iraniano di 21 anni, uscito ieri dal centro di Kahrizak, ha diffuso su vari blog la sua testimonianza, ritenuta attendibile da vari esperti. Eccone alcuni passi tradotti: «Questa mattina, 28 luglio, io e un paio di altri ci siamo miracolosamente salvati dalla morte nella Guantánamo d’Iran, il campo di Kahrizak. Mi hanno preso l’8 luglio, ero in moto con un amico e filmavo le proteste col telefonino. Mi hanno ficcato in un furgone pieno di gente ferita, picchiato fino a stordirmi, poi con altre decine mi hanno portato a Kahrizak». «Nella stanza c’erano 200 persone, tutti feriti. Pianti e grida ovunque. Non c’era posto per sedersi, i muri erano pieni di sangue. All’improvviso hanno urlato che qualcuno era morto, ma non potevamo muoverci, eravamo pressati gli uni agli altri. Le guardie in borghese sono entrate e hanno rotto tutte le lampadine, ci hanno pestato al buio. Qualcuno è entrato in coma. Il loro capo ha preso un cadavere, lo ha illuminato con una torcia e ci ha detto che avremmo fatto la stessa fine. 'Siete tuttimohareb , satana infedeli', urlava picchiando a sangue un ragazzino. Quel giorno sono morti in quattro ». «Eravamo feriti, chiusi al buio senza toilette, niente. Ogni tanto ci gettavano un sacco di avanzi di cibo, su cui ci lanciavamo. Un giorno ci hanno fatto uscire al sole, ma solo per farci pulire i nostri escrementi dalla stanza. Sono certo che questo campo è peggio di Guantánamo e Abu Ghraib». «Alla fine ci hanno sbattuto fuori, i primi a uscire senza processo, perché non c’era più spazio. Ci hanno minacciato di ucciderci subito se avessimo parlato con qualcuno. Ora la libertà è dolce per me, ma non scordo le migliaia di persone rimaste in carcere, i ragazzi come Milad, che aveva 16 anni, e che quegli animali avrebbero potuto salvare portandoli all’ospedale e che invece hanno lasciato morire».
Il FOGLIO - " Perché al momento cruciale l’Europa va in letargo con Teheran"
Bruxelles. Duecentodieci (su duecentonovanta) parlamentari iraniani firmano una lettera pubblica contro il presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ha licenziato il ministro dell’Intelligence. E’ il segno di un altro strappo interno al potere, incapace di reggere alla tensione post elezioni. L’Amministrazione Obama inasprisce i toni sul programma nucleare dell’Iran e manda un suo team a trattare la questione con Gerusalemme, per congelare qualsiasi opzione (soprattutto una: l’attacco militare preventivo) almeno fino a settembre. E l’Unione europea? Si prende un altro periodo di vacanza iraniana, al momento fatidico. Al pranzo di lavoro dei ministri degli Esteri dei Ventisette lunedì, “sono riemerse le vecchie divisioni”, dice al Foglio un diplomatico europeo. Così, dopo più di un anno di rinvii motivati prima dalla transizione presidenziale americana, poi dalla policy review di Barack Obama e ancora dalle elezioni iraniane, l’Europa continua ancora con il “wait and see” sia sulla legittimità del regime sia sul nucleare. Di fronte alla repressione dell’opposizione, il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell'Ue, Carl Bildt, ha promesso di “esprimere grande inquietudine sui diritti umani direttamente alle autorità nei prossimi giorni”. Ma l’idea di fare disertare agli ambasciatori europei la cerimonia di insediamento del presidente Amhadinejad è stata bocciata. Il 5 agosto “non ci sarà boicottaggio europeo all’inaugurazione”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, perché “con chi non condividiamo, dobbiamo parlare”. Eppure la questione della legittimità del governo della Repubblica islamica è direttamente legata al negoziato sul nucleare. “Non mi attendo una risposta rapida” dell’Iran all’offerta americana e occidentale presentata in aprile, ha detto l’Alto rappresentante Javier Solana: non arriverà “prima che la situazione (politica interna) si stabilizzi”. Nonostante il pessimismo, i Ventisette non hanno voluto affrontare il dibattito sulle sanzioni, rischiando di arrivare impreparati alla scadenza dell’ultimatum dell’Amministrazione Obama. Per molti europei – tra cui Germania e Italia, i due principali partner commerciali dell’Iran – il rafforzamento delle sanzioni “lascia il tempo che trova”, perché andrebbe a vantaggio di chi continua a fare affari con Teheran, come India, Cina e Russia.
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti