Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/07/2009, a pag. 14, la cronaca di Aldo Baquis dal titolo " L’Iran risponda a settembre " e dal MANIFESTO, a pag.9, l'articolo di Michelangelo Cocco dal titolo " Gates non convince. Barak: attaccare? Non lo escludiamo ". Per una cronaca corretta, invitiamo a leggere l'articolo del FOGLIO dal titolo " Obama manda un team in Israele per prendere tempo sull'Iran", pubblicata nella sezione " Informazione che informa " nella rassegna di oggi. Ecco gli articoli di Aldo Baquis e Michelangelo Cocco preceduti dal nostro commento:
La STAMPA - Aldo Baquis : " L’Iran risponda a settembre "
La foto in alto a destra è quella scelta per l'articolo. La didascalia : " Coloni israeliani preparano un insediamento a Tulkarm, in Cisgiordania ". Due persone, una delle quali guarda l'orizzonte di spalle, starebbero preparando un insediamento...l'immagine sembra costruita ad hoc per l'articolo di Baquis che nelle prime righe accusa Israele di colonizzare la Cisgiordania scrivendo: " L’assistenza militare qualitativa del suo Paese allo Stato ebraico resta comunque confermata, ha aggiunto Gates, malgrado le divergenze di opinioni sulla colonizzazione ebraica in Cisgiordania ". Il governo Netanyahu si è impegnato a smantellare gli insediamenti illegali (come hanno fatto anche i governi precedenti). Non c'è nessuna colonizzazione ebraica in Cisgiordania. Baquis forse si riferisce ai piani per la costruzione di nuovi edifici nelle città già esistenti, richiesta normale, dal momento che si tratta di città israeliane e che, con la crescita naturale della popolazione, aumenta anche la necessità di costruire nuove abitazioni. Ecco l'articolo:
In una visita-lampo di sei ore, il segretario alla difesa Robert Gates ha detto ieri ai dirigenti israeliani che per far fronte alla minaccia nucleare iraniana è necessario garantire alla diplomazia degli Stati Uniti ancora alcuni mesi di tempo. L’assistenza militare qualitativa del suo Paese allo Stato ebraico resta comunque confermata, ha aggiunto Gates, malgrado le divergenze di opinioni sulla colonizzazione ebraica in Cisgiordania.
Una settimana, per Israele, all'insegna della pressione diplomatica statunitense espressa oltre che da Gates anche da George Mitchell (emissario di Obama per il Medio Oriente), e da James Jones (Consigliere per la sicurezza nazionale). E ieri, nel cuore di Gerusalemme, il movimento dei coloni ha inscenato una prima manifestazione anti-Obama con lo slogan: «No al diktat degli Usa», ossia «no» al congelamento degli insediamenti.
A Gates il ministro della difesa Ehud Barak ha detto sulla questione iraniana «Israele non esclude alcuna opzione», ma ha subito aggiunto che il suo Paese «non è cieco di fronte alla ripercussioni regionali ed altrove delle sue attività». Nelle settimane scorse Israele è sembrato inoltrare messaggi di crescente impazienza verso l'Iran quando un suo sottomarino Dolphin e due corvette lanciamissili Saar hanno attraversato il canale di Suez dal Mediterraneo al mar Rosso, (con il beneplacito dell'Egitto), accompagnati da vistosi titoli sulla stampa.
Barak ha ribadito il profondo scetticismo di Israele per l'apertura diplomatica di Obama verso Teheran e ha proposto che fin d'ora siano messe a punto sanzioni severe. Gates ha replicato che comunque il Presidente non pazienterà all'infinito: si aspetta dall'Iran un risposta «per questo autunno, con la Assemblea generale delle Nazioni Unite».
Più tardi, nel corso della visita ad Amman, Gates ha detto che Washington spingerà per nuove sanzioni contro l’Iran se i colloqui diplomatici si concludessero con un nulla. «Se le trattative non andranno a buon fine gli Stati Uniti sono pronti a fare pressione per nuove significative sanzioni e perchè la comunità internazionale assuma un atteggiamento più duro», ha detto Gates, durante la conferenza stampa seguita all’incontro con re Abdallah di Giordania. Il segretario della Difesa ha tuttavia sottolineato che la Casa Bianca spera ancora che «l’Iran risponda alla mano tesa dal presidente (Usa, Barack Obama) in maniera positiva e costruttiva».
In Israele, Perez ha discusso con il capo dello stato Shimon Peres La questione palestinese e le prospettive di rilanciare negoziati di pace con la Siria. Peres ha insistito su tasti ottimistici: nelle posizioni del premier Benyamin Netanyahu (che ora parla di uno «stato palestinese smilitarizzato al fianco di un Israele riconosciuto come stato ebraico») c'è stata una evoluzione molto positiva, ha notato. L’economia della Cisgiordania decolla e la Siria - ha assicurato Peres - troverà di sicuro in Israele un partner di pace se non porrà precondizioni. Reduce da Damasco e dal Cairo, Mitchell ha spronato i dirigenti israeliani a verificare come possano essere appagate le richieste palestinesi per il congelamento delle colonie. Israele sperava di ricevere almeno in cambio primi gesti di normalizzazione da parte dei Paesi arabi: invece, ha constatato Mitchell, i tempi sono ancora prematuri.
Il MANIFESTO - Michelangelo Cocco : " Gates non convince. Barak: attaccare? Non lo escludiamo "
Cocco definisce la questione del nucleare iraniano "contenzioso". Il termine è del tutto fuori luogo, l'obiettivo di Cocco è quello di minimizzare i rischi dell'Iran nucleare tanto che arriva a scrivere : " L’esecutivo israeliano di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha dichiarato più volte che un Iran atomico costituirebbe per lo Stato ebraico «una minaccia esistenziale» ". La minaccia iraniana per Israele e il mondo occidentale è reale, ma visto l'utilizzo che Cocco fa delle virgolette, è evidente che a suo avviso si tratta di esagerazioni. Che importa se Ahmadinejad ha dichiarato più volte di voler distruggere Israele?
Cocco si ostina a parlare del "governo di Tel Aviv". Non è ben chiaro a che cosa si riferisca, dato che esso non esiste. La capitale di Israele, infatti, è Gerusalemme. Consigliamo all'inesperto Cocco la lettura di un buon manuale di geografia (oltre che di uno di storia). Ecco l'articolo:
Nucleare iraniano: " Davvero, è per usi pacifici e domestici ". Difficile da credere...
La missione di Robert Gates a Gerusalemme consisteva nel convincere il governo israeliano della necessità di dare tempo alla diplomazia per risolvere il contenzioso sul nucleare iraniano. Il ministro della difesa dello Stato ebraico però, in conferenza stampa, ieri ha risposto - per tre volte - all’inviato di Obama che «noi riteniamo che nessuna opzione debba essere scartata». «Questa è la nostra politica - ha proseguito Ehud Barak -. Raccomandiamo agli altri di assumere la nostra posizione, ma non possiamo imporla a nessuno». E il capo del Pentagono, come a sottolineare le differenze: «Il piano di marcia tracciato dal presidente sembra ancora percorribile e non fa aumentare significativamente i rischi per nessuno». Barack Obama, ha ricordato Gates (nella foto ap), spera che l’Iran si dichiari disposto a fermare l’arricchimento dell’uranio prima della riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre prossimo. In caso di risposta negativa il piano statunitense prevede l’imposizione di ulteriori sanzioni internazionali contro la Repubblica islamica. Ma Tehran non ha intenzione di rinunciare al suo programma atomico, che dichiara a fini esclusivamente civili. E proprio ieri il nuovo capo dell’ente atomico iraniano, Ali-Akbar Salehi, ha annunciato (secondo quanto riferito dall’agenzia semiufficiale Mehr) che la centrale nucleare di Bushehr inizierà a funzionare entro la fine di settembre. L’esecutivo israeliano di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu ha dichiarato più volte che un Iran atomico costituirebbe per lo Stato ebraico «una minaccia esistenziale». E il recente passaggio nel Mar Rosso, attraverso il Canale di Suez (con l’approvazione del governo egiziano) di sottomarini e corvette israeliane è stato interpretato da analisti ed espertimilitari come una minaccia a Tehran, dal momento che i caccia con la stella di David, partendo da navi sul Mar Rosso, potrebbero colpire Tehran sorvolando gli spazi aerei soltanto di Arabia Saudita (con Riyadh ci sarebbe già un accordo segreto) e Iraq (dove a comandare sono gli americani). A Washington si teme che l’alleato israeliano possa essere tentato di attaccare senza aspettare che l’engagement di Obama abbia fatto il suo corso. Tanto che l’altro ieri il segretario di Stato Hillary Clinton ha dichiarato che spera che lo Stato ebraico capisca il valore dei tentativi diplomatici statunitensi. E dopo l’incontro l’altro ieri con l’inviato di Obama per il conflitto israelopalestinese, George Mitchell, fonti israeliane fanno sapere (come del resto già accaduto più volte nelle scorse settimane) che le divergenze tra Washington - che ne ha chiesto il congelamento - e Tel Aviv sulle colonie ebraiche nei Territori palestinesi occupati si starebbero appianando. Secondo quanto riferito dal quotidiano Ha’aretz, gli americani sarebbero pronti ad accettare il completamento di una serie di progetti già avviati tra cui 700 edifici (2.480 appartamenti), un certo numero di strade e varchi nel muro dell’apartheid. Ieri l’esercito di Tel Aviv ha reso noto che i coloni in Cisgiordania (esclusi quelli di Gerusalemme est) hanno superato quota 300mila.
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