Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/07/2009, a pag. 8, l'articolo di Fareed Zakaria dal titolo " La palla è nel campo dell’Iran l’Occidente stia (per ora) a guardare " preceduto dal nostro commento e dalla STAMPA, a pag. 13, l'intervista di David Gregory a Hillary Clinton dal titolo " Hillary all’Iran: la bomba mai ". Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Fareed Zakaria : " La palla è nel campo dell’Iran l’Occidente stia (per ora) a guardare "
L'articolo di Zakaria minimizza la gravità della situazione in Iran.
" Il panico diffuso in America e in Israele dalla minaccia dei mullah dell’apocalisse, che brandiscono bombe atomiche, rischia di offuscare come stanno realmente le cose in Iran, e cioè che i mullah non aspirano affatto alla catastrofe universale e che comunque, nel corso dei decenni, hanno visto diminuire di molto la loro influenza ". Ahmadinejad continua il suo programma nucleare che, secondo Zakaria, non è un pericolo per nessuno perchè i mullah stanno perdendo influenza sul governo. Sul fatto che sia proprio il governo iraniano a desiderare la bomba atomica e sul fatto che Ahmadinejad abbia espresso più volte la sua intenzione di cancellare Israele dalle carte geografiche, non una parola.
La posizione di Zakaria non ci stupisce, vista la sua carriera da direttore di Newsweek, periodico che nega l'esistenza di Eurabia (a tal riguardo invitiamo a leggere l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L'Eurabia è dentro di noi ", pubblicato nella rassegna di IC il 25/07/2009). Ecco l'analisi capovolta di Zakaria:
Che cosa sta accadendo in Iran? In apparenza, il Paese è tornato alla normalità. Le manifestazioni di piazza si sono diradate e i cortei sono stati rapidamente dispersi. Ma sotto la calma, si registra un’intensa attività e si scorge la nascita di un’opposizione politica. La scorsa settimana, Mir Hossein Mousavi, il candidato uscito ufficialmente sconfitto dalle elezioni di giugno, ha annunciato la sua intenzione di creare «un movimento sociale su vasta scala» in opposizione al governo, per reclamare un sistema politico più aperto. Mohammad Khatami, l’ex presidente riformista, ha chiesto un referendum sul governo. Un altro potente ex presidente, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ha criticato il modo in cui il governo ha gestito le elezioni e la «crisi» postelettorale. Tutti e tre esigono la liberazione dei politici e dei giornalisti imprigionati nel corso dell’ultimo mese, tuttora trattenuti senza alcun capo di imputazione. Non si tratta perciò di dissidenti che protestano nel vuoto, bensì di figure politiche di spicco che sono state all’apice del potere per gran parte dell’esistenza della Repubblica islamica.
Più sorprendente è parsa la rivolta dei religiosi. L’Iran ha solo una ventina di grandi ayatollah, il massimo grado del clero sciita. Pochi hanno appoggiato pubblicamente il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Allo stesso tempo, secondo il prezioso sito Teheran Bureau, sei grandi ayatollah hanno criticato apertamente il regime. Gli interventi del clero iraniano sottolineano uno spostamento di potere in Iran, dai vertici religiosi verso quelli militari. Ahmadinejad incarna questo mutamento, in quanto laico ed ex combattente della guerra Iran-Iraq che vanta stretti contatti con le Guardie Rivoluzionarie, il corpo militare parallelo creato dall’ayatollah Khomeini perché non si fidava delle gerarchie militari dello Scià. Durante il suo mandato, Ahmadinejad ha stornato finanziamenti statali dalle fondazioni religiose, gestite dal clero, a favore delle forze armate e delle Guardie Rivoluzionarie. (..) Il panico diffuso in America e in Israele dalla minaccia dei mullah dell’apocalisse, che brandiscono bombe atomiche, rischia di offuscare come stanno realmente le cose in Iran, e cioè che i mullah non aspirano affatto alla catastrofe universale e che comunque, nel corso dei decenni, hanno visto diminuire di molto la loro influenza. Si potrebbe dire che la Repubblica islamica dell’Iran stia perdendo la caratteristica base religiosa del potere per trasformarsi in una delle tante dittature mediorientali, se non fosse per il fatto che oggi essa vede nascere un movimento di opposizione che non accetta più di tacere e di farsi da parte.
Che cosa significa questa turbolenza per Washington e per il resto del mondo che si trova alle prese con l’Iran? Indubbiamente, è impensabile in questo momento avviare negoziati con Teheran. Qualunque contatto con Ahmadinejad rischia di conferire legittimità a un regime che l’ha già persa in patria. La strategia migliore è quella di non fare niente. A questo ha accennato Hillary Clinton, nel rinviare la questione dei negoziati con l’Iran. La palla, comunque, è nel campo di Teheran. In aprile, l’Occidente ha presentato all’Iran un’offerta seria e generosa di trattative. Oggi tocca a Khamenei e ad Ahmadinejad rispondere, visto che si dichiarano pronti a farlo. Alcuni sostengono che questa strategia consente all’Iran di avvicinarsi sempre di più alla bomba atomica. Tuttavia, il modo migliore per sventare la minaccia è ricorrere alla deterrenza e al contenimento, una politica che ha dato buoni risultati con Stalin e Mao e oggi anche con la Corea del Nord, un regime di gran lunga più bizzarro e instabile. Di nuovo, il segretario di Stato Hillary Clinton ha tratteggiato correttamente questa linea politica la settimana scorsa. (All’offerta di un ombrello nucleare, Israele ha criticato gli Stati Uniti, segno delle pessime relazioni che al momento intercorrono tra lo Stato ebraico e Washington). Il tempo non sta dalla parte dell’attuale regime iraniano. Malgrado la confusione, abbiamo ottenuto una risposta chiara a una domanda cruciale. Ci siamo sempre chiesti, esistono i moderati in Iran? Ebbene, si direbbe proprio di sì, e sono milioni.
La STAMPA - Hillary Clinton : " Hillary all’Iran: la bomba mai "
Hillary Clinton
Segretario di Stato Clinton, la sua dichiarazione dei giorni scorsi sull’«ombrello difensivo» da costruire con gli alleati del Golfo Persico in funzione anti-Teheran ha sorpreso molti.
«Vogliamo che l’Iran rifletta su un punto importante: se gli Stati Uniti aprono un ombrello difensivo sulla regione, difficilmente l’Iran sarà più forte o più sicuro, perché non potrà minacciare o dominare come pensa di poter fare una volta costruita la bomba atomica. I loro sforzi sono inutili».
Lei sta dicendo ai Paesi arabi che un attacco a loro è come un attacco agli Stati Uniti, dai quali partirebbe un’immediata ritorsione?
«E’ chiaro che stiamo cercando di contrastare i calcoli del regime iraniano. Il nostro messaggio a chi prende le decisioni in Iran è questo: se pensate di ottenere l’arma atomica per intimidire e proiettare la vostra potenza non ve lo lasceremo fare. Riteniamo inaccettabile che Teheran abbia l’atomica e non lo permetteremo, a qualunque costo».
Entriamo nei dettagli. Allude a un ombrello nucleare?
«Non intendo entrare nei dettagli, perché questi arriverebbero in un secondo tempo, ammesso che ce ne sia bisogno. La nostra speranza è che l’Iran capisca che è nel suo interesse assecondare la comunità internazionale, che dice in maniera molto chiara che diritti e responsabilità vanno di pari passo. Tutti hanno il diritto a un uso pacifico del nucleare, non alla bomba atomica».
Lei ritiene illegittimo il nuovo governo iraniano?
«Ogni valutazione sulla legittimità del regime iraniano spetta al popolo iraniano. Le sue grida di libertà mi hanno commosso. Gente con una cultura e una storia così grandi merita di meglio di quello che ha adesso».
Una delle grandi sfide è impedire a Israele di agire per primo. Se gli israeliani penseranno di trovarsi in una situazione di vita o di morte, colpiranno l’Iran per rendere inoffensivi i suoi siti nucleari. E il vicepresidente Usa Biden ha detto che non è possibile imporre a un altro Stato sovrano quello che può o non può fare.
«Il vicepresidente ha sottolineato un dato di fatto: Israele è uno Stato sovrano e non ascolterà altri se si sentirà in pericolo di vita. Noi però continuiamo a credere negli sforzi diplomatici e contemporaneamente, con le nostre azioni, diciamo a Israele: “Gli Stati Uniti sono con voi, e con il vostro diritto alla sicurezza”».
L’Iran è un regime illegittimo?
«Tocca agli iraniani scegliere, noi non entriamo nelle dinamiche interne alla società. Credo però che un popolo con una cultura e una storia come la loro si meriti di più di quello che ha adesso».
Passiamo all’Afghanistan. Per il presidente Obama, è una guerra per necessità o è diventata una guerra per scelta?
«Ritengo che il Presidente sia stato molto chiaro - in campagna elettorale come alla Casa Bianca - nel dire che la linea politica seguita in Afghanistan non ha funzionato. Sappiamo che la minaccia agli Stati Uniti non è stata smantellata, chi ha complottato contro di noi e ha portato a termine gli attacchi dell’11 settembre non è ancora stato portato davanti alla giustizia, né ucciso o catturato. Così l’obiettivo del presidente è smantellare, distruggere e alla fine sconfiggere Al Qaeda».
Intende dire che è tutto concentrato sulla lotta ai taleban? Vorrei che rispondesse all’editorialista Thomas Friedman, che ha scritto: «Siamo andati in Afghanistan per distruggere Al Qaeda e adesso ci troviamo invischiati in una lunga guerra con i taleban. E’ questo un buon uso della forza americana?».
«Abbiamo avuto una radicale revisione strategica, perché Al Qaeda sta utilizzando i suoi alleati estremisti, compresi i taleban, per estendere il suo raggio d’azione nel mondo. Così, per sradicare e distruggere questa rete del terrore, dobbiamo sfidare coloro che offrono ad Al Qaeda un porto sicuro. Come sapete, il confine tra Afghanistan e Pakistan è permeabile, continuamente attraversato da una parte all’altra. La nostra nuova strategia, appoggiata da un alto numero di Paesi - alcuni dei quali sono in disaccordo con noi su molti altri temi - è concentrata sul nostro obiettivo primario. Dall’Iraq abbiamo imparato una durissima lezione: perché l’intervento militare sia efficace, occorre migliorare la capacità della comunità locale di difendersi da sola. Questa è la nuova strategia. Ma è appena cominciata».
Lei pensa che i taleban sentano la vostra pressione?
«Sì, e credo che questa sia nell’interesse nazionale americano. Abbiamo l’esercito più straordinario del mondo, con vertici perfettamente allineati con i nostri obiettivi. Spero che vedremo presto i benefici della loro azione e del loro sacrificio in vite umane».
Passiamo all’Iraq. Siete soddisfatti del bilancio di questi primi sei mesi di nuova amministrazione alla Casa Bianca?
«Abbiamo cominciato a mettere in pratica il nostro impegno a ritirarci e così adesso, quando incontriamo il primo ministro Maliki e il suo governo, parliamo di istruzione e di agricoltura».
Parliamo di un’altra regione difficile, la Russia. E della frase pronunciata dal presidente Obama: «Dobbiamo fare un “reset” dei nostri rapporti con Mosca».
«Sì, questo ha detto il Presidente poco dopo il suo ingresso alla Casa Bianca. Sappiamo che non è un compito facile. Richiede tempo e fiducia. Noi vogliamo una Russia forte, pacifica e prospera. Stiamo lavorando insieme per ridurre i reciproci arsenali atomici, assicurarci che il materiale fissile non cada nelle mani sbagliate, combattere la minaccia dell’estremismo violento. Ma diciamo anche chiaramente a Mosca che rifiutiamo la sua politica di ricostruire una sfera di influenza nell’Europa dell’Est. I Paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica hanno il diritto di scegliersi gli alleati che vogliono, Nato compresa. I russi sanno che noi mettiamo in discussione alcune loro politiche, così come loro mettono in discussione alcune delle nostre».
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