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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
20.07.2009 L'attacco di Hezbollah a Unifil
I commenti di Fiamma Nirenstein e Lucia Annunziata

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirentein-Lucia Annunziata
Titolo: «I muscoli di Hezbollah fanno paura-Da Beirut a Kabul, nuove crisi in arrivo»

L'attacco a Unifil nel sud del Libano (si veda IC di ieri) viene commentato oggi, 20/07/2009, da Fiamma Niresntein sul GIORNALE  a pag.14,e da Lucia Annunziata sulla STAMPA. a pag.1. Sullo stesso argomento, la cartolina da Eurabia di Ugo Volli in Rassegna oggi su IC.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " I muscoli di Hezbollah fanno paura "

 Fiamma Nirenstein

L’attacco subito nel sud del Libano dalle truppe dell’Unifil mentre tentavano di verificare in che cosa consistesse il deposito d’armi degli hezbollah saltato per aria qualche giorno prima con morti e feriti, è un pessimo segnale per la pace in Medio Oriente. Quel centinaio di abitanti di Kirbat a Silm che alla fine si sono persino messi a sparare contro le forze internazionali sono il segno della solida presenza degli hezbollah al sud del fiume Litani, dove hanno comprato, costruito, arruolato; è un segnale della determinazione della milizia sciita a proteggere le armi e le loro infrastrutture nonostante la risoluzione dell’Onu che ne stabilisce lo smantellamento. La chiave dell’aggressività delle ultime azioni degli hezbollah, che hanno taciuto per lungo tempo e che sembravano determinati a conquistare il potere in Libano tramite un percorso di legittimazione democratica, deve essere letta alla luce dei risultati delle ultime elezioni, anche se è lo scontro con Israele la stella polare intorno a cui costruiscono l’azione e il consenso. Venerdì all’improvviso un gruppo di 15 libanesi, evidentemente espressione degli hezbollah dato che ne portavano le bandiere in corteo, si era introdotto dal Libano dentro il confine israeliano, rompendo ogni regola di rispetto internazionale: l’esercito israeliano ha deciso di non intervenire dato che la gente introdottasi illegalmente non portava armi e aveva con sé alcuni bambini. Né vi è stata reazione militare alla scoperta, nel sud del Libano, di cinquanta razzi puntati verso Israele. Di fronte poi alla grande esplosione di Kirbat, che ha fatto saltare dozzine di katiuscia da 122 millimetri che hanno lasciato numerosi buchi nel tetto, Israele ha sollevato il problema all’Onu ed evidentemente l’Unifil ha agito di conseguenza. Ieri poi il capo degli hezbollah, Hassan Nasrallah, ha citato come motivo di ulteriore contenzioso con Israele la presenza nelle carceri israeliane di un suo adepto, ribadendo che non ci sarà pace finché Israele non lo restituirà. L’allusione è micidiale, se si pensa che la vicenda di Regev e Goldwasser, rapiti per farne merce di scambio con un terrorista infanticida, Samir Kuntar, ha portato alla guerra del 2006. Gli hezbollah insistono, sostenuti in questo dall’esercito libanese che lo dichiara sul suo sito, nell’idea che Israele debba consegnare loro le cosiddette «Shabaa Farms» un terreno sul confine con la Siria e col Libano, che apparterrebbe - sempre che Israele per disinnescare la milizia filo iraniana, non lo consegni, come sembrerebbe, al Libano - al contenzioso con Bashar Assad. Hezbollah dunque soffia sul fuoco: il fatto è che a più di un mese dalle elezioni in cui Hezbollah ha perso a favore del sunnita moderato Sa’ad Hariri, figlio del primo ministro ucciso Rafik Hariri la formazione del governo è ancora oggetto degli sforzi immani del primo ministro incaricato, che non ignora davvero che Hezbollah ha arsenali di armi moderne fornite dall’Iran tramite la Siria. Benché la coalizione di Hariri abbia una maggioranza di 71 seggi contro 57, e formare un governo appaia un compito facile, in realtà Hariri junior si è mosso fin dall’inizio nell’intento di formare un governo di unità nazionale, perché sa che altrimenti il Libano rischia la guerra civile. Questo pacificherebbe la Siria e l’Iran e smorzerebbe l’attività bellica interna e esterna degli hezbollah. Ma l’opposizione avendo perso le elezioni vuole recuperare imponendo i suoi termini: chiede infatti un terzo dei ministri, ovvero 10 su 30, e anche il diritto di veto sulle decisioni importanti. Erano accordi già fatti col precedente governo dopo l’accordo di Doha del maggio 2008 e che misero fine a mesi di violenze. La novità è che l’Egitto ha cercato di spingere la Siria a suggerire agli hezbollah di accettare un accordo, anche sulla scia dello choc subito da Mubarak quando ha scoperto una congiura degli hezbollah sul suo territorio. I cristiani e i sunniti di Hariri tendono a escludere il diritto di veto, ma il druso Walid Jumblatt, antico leader, capo del partito socialista, ha fatto una riunione con Nasrallah per cercare un accordo. Gli sciiti, dice, dopo tutto sono il più vasto gruppo etnico libanese. Mentre gli Usa, la Francia, l’Italia, insieme all’Arabia Saudita ed Egitto cercano di favorire una situazione in cui il potere degli hezbollah sia limitato, la Siria, l’Iran, gli hezbollah in primis non danno segno di voler diminuire le loro aspettative. Questo potrebbe trasformarsi in violenza. Oppure il balenare continuo delle armi del gruppo estremista sciita potrebbe forzare la mano verso il conferimento di larghi poteri a Nasrallah che certo diminuirebbero il valore della vittoria democratica. Se i partiti vittoriosi alle elezioni non potranno resistere alle pressioni degli hezbollah, Iran e Siria avranno vinto una battaglia che certo non aiuterà nessun processo di pace. Insomma, ambedue le prospettive non sono allegre.

La Stampa-Lucia Annunziata: " Da Beirut a Kabul, nuove crisi in arrivo "

 Lucia Annunziata

Leggerei questo episodio nella chiave delle vicende interne al Libano: che Hezbollah stia lavorando da vari mesi a un sistematico riarmo, mi sembra nello stato delle cose».

Così si valuta, nelle alte sfere delle Forze Armate Italiane, lo scontro - il primo in tre anni - che qualche giorno fa ha opposto i Caschi Blu in Libano alla popolazione civile. Fra i militari non sembra ci sia spazio per versioni di comodo: dire infatti che Hezbollah è in riarmo, vuole semplicemente dire che la nostra missione in Libano è entrata in una fase di difficoltà seria.
Forse è il caso di cominciare a richiedersi cosa succede alle nostre missioni. Dall’Afghanistan al Libano. Sono tanti i segnali che gli Italiani corrono il rischio di essere presi in mezzo da guerre mai dichiarate.
La presenza italiana in Libano è forse la più rilevante per il nostro Paese. L’Unifil, con oltre 12 mila uomini, di cui 2100 italiani, è sotto il comando del generale italiano Claudio Graziano, uomo unanimemente stimato. La missione Onu (Unifil) riorganizzata nel 2006, alla fine della guerra fra Hezbollah e Israele, per garantire la smilitarizzazione della fascia fra Libano e Israele, al Nord e al Sud del fiume Litani, ha come compito essenziale il disarmo della zona, dunque delle milizie di Hezbollah.
In questo senso, l’incidente più recente è significativo. Il 14 luglio è esploso accidentalmente un deposito di armi e munizioni proprio di Hezbollah, ospitato in un edificio abbandonato a pochi chilometri dal quartier generale degli italiani. E’ stata aperta una inchiesta su queste armi «irregolari», ma una volta arrivate sul posto le forze Unifil sono state accolte da qualche centinaio di civili, che le ha bloccate a colpi di pietre. Un muro umano che ha circondato i mezzi militari, isolandone uno che per ripiegare ha dovuto persino sparare colpi in aria. Immagine vecchia come lo stesso Medioriente, civili, donne, bambini, armati solo di pietre, contro dei soldati. Una situazione non pericolosa, obiettivamente «umiliante».
Eppure non isolata. Come in Afghanistan, anche in Libano le acque si stanno intorbidendo. Negli ultimi sei mesi ci sono stati diversi momenti di tensione tra i caschi blu e i miliziani sciiti, di cui l’ultimo il mese scorso, quando gli Hezbollah hanno fatto ripiegare una pattuglia dell’Unifil che aveva appena scoperto un camion carico di armi e munizioni. Le tensioni preoccupano Gerusalemme, che, secondo il quotidiano liberal Haaretz, teme che il generale Graziano e l’Onu nascondano deliberatamente informazioni sul rafforzamento militare della milizia sciita, per timore delle reazioni proprio di Israele.
A difesa della missione, in verità, c’è proprio la cautela con cui il Graziano si muove. Ma, come sostiene l’ufficiale prima citato, sono le condizioni libanesi ad essere cambiate. C’è di nuovo una crisi proprio degli sciiti. La sconfitta inattesa della coalizione guidata da Hezbollah alle elezioni del 2007 ha infatti mostrato i limiti della supposta popolarità dell’organizzzazione. Da allora la coalizione si è spaccata. Le altre componenti, gli sciiti di Amal, e i cristiani del generale Aoun cercano ora di rientrare nel gioco politico nazionale. Hezbollah ha risposto alla crisi impegnandosi a ricostruire la propria forza e la propria identità. La tattica è quella di nuovi villaggi dentro cui crescono basi armate - come quello che gli italiani sono andati a controllare - e lo sviluppo di traffico di armi. I luoghi sono proprio il Sud del Litani, il settore più vicino al confine con Israele, e il Nord del Litani, dove passa la strada per la valle del Bekaa, quartier generale storico di Hezbollah.
E’ proprio l’area in cui vive e vigila l’Unifil, e i caschi blu Italiani. Che la missione Onu rischi di essere presa dentro la crisi dei giochi libanesi e dentro una crisi di Hezbollah, è un rischio vero. Tanto più in un momento in cui l’esplosione sociale del grande alleato Iran, espone le milizie a una grande incertezza. Dal Libano all’Afghanistan, dunque, anche contro la volontà degli stati maggiori, le nostre missioni stanno cambiando, perché a cambiare sono le condizioni in cui si svolgono.

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