Cronache e commenti del dopo venerdì della preghiera a Teheran. Mentre la polizia bastona i manifesanti e sono centinaia gli scomparsi, quasi certamente uccisi. Dal FOGLIO, CORRIERE della SERA, la STAMPA:

Rafsanjani, a sinistra. A destra con Ahmadinejad, avversario, ma la banda è la stessa.
Il Foglio-" La preghiera di Rafsanjani rinvigorisce la piazza ma indica la via istituzionale "
Roma. Ali Hakbar Ashemi Rafsanjani ha attaccato frontalmente il regime iraniano con un duro discorso e – cosa sorprendente ma indicativa – il regime gli ha concesso il palco e ruolo ufficiali per farlo. Centinaia di migliaia di persone hanno assistito alla “preghiera del venerdì” di Teheran, tenuta da Rafsanjani, là dove tradizionalmente vengono tracciate le linee politiche del regime, e subito dopo hanno dato vita a un grande corteo, attaccato da polizia e bassiji, con decine di feriti e di arresti. Soprattutto c’era Mir Hossein Moussavi, che il popolo verde tenta di considerare ancora il proprio leader, e che non compariva in pubblico ormai da settimane. E c’era anche Mehdi Karroubi, ex candidato alle presidenziali tipido sostenitore della protesta, per un brevissimo lasso di tempo, che è stato assalito da alcuni manifestanti. Due i passi salienti della orazione di Rafsanjani: “L’Iran attraversa una crisi, che può essere risolta con l’elezione di un presidente voluto dal popolo; ma per governare è necessario il consenso popolare, senza di esso il governo non ha legittimità, invece ora in molti hanno dubbi in merito alle elezioni”. In secondo luogo, Rafsanjani ha criticato il Consiglio dei Guardiani, accusandolo di “non aver usato nel modo migliore possibile il tempo a disposizione per esaminare le denuncie dei brogli” e ha chiesto la scarcerazione dei manifestanti. Soltanto alla fine del discorso si è compreso perché è stato concesso a Rafsanjani di parlare dal podio più autorevole. Da anziano boiardo, l’ex presidente si è guardato bene dall’invitare alla protesta popolare, ma ha indicato un percorso solo interno al regime per ricomporre la lacerazione provocata dalla rielezione di Ahmadinejad, proponendo che sia il Consiglio degli Esperti (da lui guidato) a trovare la soluzione alla crisi: “E’ necessario uscire da questa situazione soltanto attraverso le vie legali; non penso che nessuna fazione voglia che si finisca così, abbiamo perso tutti e abbiamo bisogno di più unità di sempre”. E’ un chiaro tentativo di costringere e imbrigliare la pressione del movimento nei meandri degli intrighi di Palazzo – tipico stile di Rafsanjani – il cui esito si comprenderà da qui a poche settimane.
Corriere della Sera- Viviana Mazza: " Rafsanjani sfida il regime: Iran in crisi "
L’Iran è «in crisi». «In molti hanno dubbi in merito alle elezioni ». L’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani ha duramente criticato ieri le autorità iraniane e, pur senza nominarlo, l’ayatollah Ali Khamenei, il leader politico e religioso in Iran. Ha parlato alla preghiera del venerdì all’Università di Teheran: la stessa piattaforma usata da Khamenei il 19 giugno per ordinare al popolo di accettare la vittoria elettorale di Ahmadinejad e avvertire che le proteste non sarebbero state tollerate. Non è arrivato a definire le elezioni una truffa e a chiederne l’annullamento, come hanno fatto i leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, ma ha gettato un’ombra sulla legittimità del voto dichiarando che il Consiglio dei Guardiani, responsabile di monitorarle e poi di un riconteggio, «non ha usato nel miglior modo possibile » l’opportunità. Non ha nominato Ahmadinejad, ma non lo ha riconosciuto come presidente. Ha criticato le autorità per aver ignorato le richieste dei cittadini: «Alcuni vogliono escludere il popolo».
Il discorso era attesissimo. Molti si chiedevano quanto sarebbe stato critico Rafsanjani, ex presidente moderato, che è da tempo rivale di Ahmadinejad e che ha sostenuto dall’inizio Mousavi, ma è anche un pilastro della leadership e attento a preservare il proprio potere. Ma lo scontro con Ahmadinejad e lo stesso Khamenei, secondo gli esperti, è diventato estremo: la figlia di Rafsanjani e 4 parenti erano stati persino arrestati perché pro-Mousavi. C’erano migliaia di oppositori di Ahmadinejad. Bandane e foulard verdi in testa, tappetini per la preghiera verdi, gridavano «azadi» (libertà). C’era Mousavi, la sua prima volta al sermone del venerdì dopo il voto del 12 giugno. E quando i paramilitari basiji piazzati in prima fila interrompevano Rafsanjani urlando «Morte all’America», il campo pro-Mousavi rispondeva: «Morte alla Russia», «Morte alla Cina». Ma la polizia ha cominciato a lanciare lacrimogeni e picchiare con i manganelli già quando cercavano di entrare nella sala. Il religioso riformista Karroubi è stato aggredito dai basiji, il suo turbante è volato per terra. Un’avvocatessa impegnata per i diritti umani, Shadi Sadr, è stata picchiata e caricata in un’auto, è sparita. Sarebbero decine gli arresti.
«Repubblica non è una parola astratta — diceva intanto Rafsanjani — e se non ci basiamo sul parere del popolo non saremo mai islamici». Con le lacrime agli occhi, ha spiegato che il Profeta Maometto «rispettava i diritti» del popolo, che l’ayatollah Khomeini «non voleva il terrore e l’uso delle armi »: «Diceva che si deve ascoltare la gente.... E’ il popolo che elegge l’Assemblea degli esperti che a sua volta elegge la Guida... il popolo deve scegliere il presidente». Ha indicato chiaramente che la disputa sul voto è interna al regime e il clero è diviso. Ha chiesto il rilascio dei manifestanti arrestati, la libertà per i media. Un’ora e mezza. Frasi di sfida, addolcite da appelli all’unità perché «siamo una famiglia». Un’indubbia critica a Khamenei, anche se senza la sua approvazione, nota lo scrittore Hooman Majd, Rafsanjani non avrebbe potuto guidare la preghiera. Decine di migliaia di persone hanno manifestato nelle strade del centro: la polizia le ha disperse mentre Rafsanjani chiedeva un’«atmosfera di libertà».
Corriere della Sera.Viviana Mazza: " Usando la forza la Guida suprema ha perduto ogni legittimità", intervista a Mehdi Khalaji.
Ali Khamenei, la massima autorità in Iran, è stato oggetto di critiche e di scherno senza precedenti. Da settimane, sul web girano vignette su di lui, lo chiamano Khamenei-jad. Ieri è arrivato l’attacco di Rafsanjani. Cosa è successo?
«Khamenei ha perso la sua legittimità politica e religiosa», replica Mehdi Khalaji, teologo sciita che ha studiato per 14 anni a Qom, prima di lasciare l’Iran per la Sorbona, e ora è ricercatore al Washington Institute for Near East Policy.
«L’ayatollah Montazeri ha detto che il leader non è qualificato perché ha commesso gravi peccati usando la forza contro gli innocenti. Non solo i laici ma anche molti che lo seguivano credendolo un buon imam hanno perso fiducia in lui perché ha rivelato di appoggiare Ahmadinejad, si è identificato con lui».
Questa «identificazione » contraddice il concetto di Velayat e-Faqih, «il governo del giureconsulto » (che dà alla Guida suprema il ruolo di interprete della volontà divina)?
«Sì, perché il potere del giurista si basa sull’idea che sia giusto e imparziale. Se si schiera con un candidato, perde legittimità. La Costituzione dice che la Guida suprema deve essere un ayatollah, capire il suo tempo, avere abilità gestionali e soprattutto essere giusto».
Rafsanjani lo ha criticato anche in nome dell’Islam.
«Come avviene nella pratica centenaria dei sermoni religiosi, ha iniziato a parlare della situazione attuale attraverso le storie del passato. Ha detto che il Profeta Maometto era buono con la gente e che l’Imam Ali, il primo imam sciita, non prese il potere finché il popolo non lo volle. Tutto per dire che Khamenei ha perso legittimità usando la forza contro il popolo. E’ una sfida seria».
Sembra anche che la gente non abbia più paura.
«E’ una caratteristica unica del dopo-elezioni. Il governo ha usato il massimo della forza e la gente pensa: che possono fare di peggio?».
C’è da aspettarsi un maggiore ruolo dei religiosi in futuro?
«No. Questo è il primo movimento politico e sociale in Iran in cui non hanno un ruolo forte. Diversamente dal ’79 i religiosi seguono il popolo, non viceversa. Rafsanjani vorrebbe sostituire Khamenei con una Guida collegiale ma non può contare sulle istituzioni: sono tutte nominate direttamente o indirettamente da Khamenei. E punta sul popolo».
Corriere della Sera- " Sohrab, nuovo eroe della piazza "
TEHERAN — «Sohrab non è morto, è il governo che è morto». Slogan in memoria di Sohrab Arabi alle manifestazioni di ieri. Il ragazzo di 19 anni è stato ucciso il 15 giugno ad una manifestazione. La madre lo cercava da settimane. Solo sabato le autorità hanno ammesso la morte: un proiettile al cuore. Ed è diventato un nuovo simbolo delle proteste contro il voto.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Così si candida a fare il leader della protesta" intervista con Juan Cole.
L'intervistato ci spiega chiaramente come anche i gruppi cosidetti riformisti sono in realtà figli di Khomeini, esattamente come Ahmadinejad. E' la rivoluzione del '79 che ha distrutto ogni possibilità per l'Iran di avanzare sulla strada della democrazia. Le parole, delle quali è ricco l'Occidente, non abbatterà mai la teocrazia. Sono altre le misure necessarie. Ecco l'intervista di Maurizio Molinari:
Ali Hashemi Rafsanjani rappresenta la borghesia rivoluzionaria che si sente minacciata dal presidente Mahmud Ahmadinejah, considerandolo un nemico di classe». Così l’islamista dell’Università del Michigan Juan Cole, autore del libro «Engaging the Muslim World» molto apprezzato da Barak Obama, spiega la scelta dell’ex presidente iraniano di contestare pubblicamente il risultato delle ultime elezioni durante la preghiera del venerdì.
Chi compone la borghesia rivoluzionaria?
«Si tratta della classe economica iraniana che si è arricchita di più dopo la rivoluzione del 1979. La caduta dello Scià portò alla scomparsa anche dei ricchi che lo circondavano. A sostituirli fu una nuova classe, commerciale e imprenditoriale, della quale fanno parte i bazaris, che muovono il bazaar di Teheran».
Perché si riconoscono in Rafsanjani?
«Rafsanjani è uno di loro. Appartiene ad un ristretto gruppo di leader khomeinisti che dopo la rivoluzione si è arricchito con lo sviluppo di commerci e il controllo di industrie manifatturiere, ed è diventato espressione degli interessi di questa classe. Il cui avversario oggi è Mahmud Ahmadinejad».
Quali sono i motivi del conflitto?
«Sono numerosi e nascono dalla percezione diffusa dei brogli elettorali ma forse l’aspetto più evidente dell’insofferenza di bazaris è economico. Ahmadinejad con le sue scelte punta a indebolire la borghesia rivoluzionaria spostando le risorse a favore di un altro settore della popolazione: i conglomerati economici che rispondono ai Guardiani della Rivoluzione da cui proviene e il ceto medio-basso della popolazione».
Può farci un esempio di questi contrasti...
«La decisione di Ahmadinejad di sfruttare gli ingenti proventi del greggio per pompare denaro a favore del ceto medo-basso ha fatto impennare l’inflazione, che ora tocca il 30 per cento, e i bazaris non amano l’inflazione perché erode i loro profitti economici. E’ solo uno dei tanti esempi. Bisogna tener presente che Rafsanjani rappresenta un’idea moderna di capitale economico mentre Ahmadinejad è un populista che punta a sfruttare le risorse nazionali per rafforzare il sostegno politico di cui gode nei ceti più poveri dell’Iran. Sotto questo aspetto Ahmadinejad è un nemico di classe per il mondo produttivo nel quale si riconosce Rafsanjani».
Quali scenari si aprono ora?
«Rafsanjani sfida non solo Ahmadinejad ma anche il Leader Supremo, Alì Khamenei. Per questo nel discorso ha contestato il Consiglio dei Guardiani della rivoluzione. La scelta di far conoscere pubblicamente il proprio disappunto per come sono andate le elezioni, schierandosi dalla parte delle famiglie che hanno subito delle vittime a causa della repressione, fa emergere una spaccatura nella Repubblica Islamica che appare destinata a durare nel tempo. Le conseguenze possibili sono molte: dall’aumento dei contrasti interni all’indebolimento di Ahmadinejad fino all’affermarsi di Rafsanjani come vero volto della protesta di piazza, destinato ad avere un ruolo forse ancora più importante di Mir Hossein Mousavi, il candidato riformista che non accetta ancora la sconfitta elettorale».
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