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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
09.07.2009 G8: Condanna la 'violenza post elettorale' e ricerca una 'soluzione diplomatica' alla questione nucleare in Iran
Tutto qui?

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Maurizio Caprara - Filippo Andreatta - La redazione della Stampa
Titolo: «Iran, no a violenze e negazionismo - Senza più legittimità Teheran cerca un nemico esterno - Teheran rilascia cento manifestanti»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/07/2009, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Iran, no a violenze e negazionismo " e, a pag. 42, l'articolo di Filippo Andreatta dal titolo " Senza più legittimità popolare Teheran cerca un nemico esterno ". Dalla STAMPA, a pag. 17, l'articolo dal titolo " Teheran rilascia cento manifestanti ". Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Iran, no a violenze e negazionismo "

 G8

L’AQUILA — «Violenza post-elettorale». È con questa espressione asettica, ieri, che il G8 ha definito le cariche ordina­te in Iran dal regime di Mah­moud Ahmadinejad ai miliziani basiji affinché spezzassero le os­sa a studenti indignati per le irre­golarità nelle elezioni del 12 giu­gno. Malgrado gli sherpa ci aves­sero lavorato da settimane, al­l’Aquila la dichiarazione sulla po­litica internazionale è stata la più travagliata. Tra i capi di Sta­to e di governo dei Paesi più svi­luppati del mondo con l’aggiun­ta della Russia, Barack Obama e altri hanno fronteggiato pressio­ni britanniche e francesi a favore di un inasprimento delle sanzio­ni. Poi gli Otto hanno sancito: «Restiamo impegnati a trovare una soluzione diplomatica alla questione del programma nucle­are dell’Iran». I timori geopoliti­ci hanno prevalso sull’indigna­zione (occidentale, non russa) per la repressione.
In una dichiarazione che fa proprio l’obiettivo obamiano di «un mondo senza armi atomi­che », il paragrafo su Teheran è derivato da un gioco di equilibri mentre la Casa Bianca faceva sa­pere che il presidente Usa vorreb­be organizzare per marzo 2010, a Washington, un vertice sulla si­curezza nucleare con un numero di Paesi tra i 25 e i 30. «Conti­nuiamo a essere seriamente pre­occupati dagli eventi in Iran. Ri­badiamo il nostro totale rispetto per la sovranità dell'Iran. Al tem­po stesso, deploriamo la violen­za post-elettorale», è stato scrit­to nella versione finale della di­chiarazione del G8. Pur valutan­do come «inaccettabili» le «de­tenzioni ingiustificate dei giorna­listi » e «gli arresti di stranieri», il documento è ricorso a un ap­pello singolare per un Paese nel
quale la legge ha un valore relativo: «Risolvere la situazione attraverso un dialogo democrati­co sulla base dello Stato di dirit­to ». Che la Repubblica islamica non avrebbe ricevuto drastiche messe in guardia era intuibile. La Russia è contraria a una linea dura verso Teheran. Obama è orientato a non ritirare ancora l’offerta di dialogo già rivolta al­lo Stato degli ayatollah per indur­lo a non dotarsi di bomba atomi­ca. «È molto importante per la Comunità internazionale parlare con Paesi come l’Iran e la Corea del Nord per incoraggiarli a com­piere passi che non portino alla prolife­razione nucleare», ha detto il presidente Usa. All’Aqui­la i test atomici di Pyongyang so­no stati condannati come «peri­colo per la pace».
«Per ora non ci sono le condi­zioni », aveva risposto Franco Frattini a chi gli domandava se dal G8 sarebbero state concorda­te azioni più decise contro l’Iran. «Troveremo la parola giusta, che sia di condanna o deplorazio­ne », aveva aggiunto. Considera­to che non si definiva illegittima la presidenza di Ahmadinejad, su richiesta della Francia per bi­lanciare il messaggio è stata ri­servata la condanna a un aspetto sul quale è arduo risparmiarsela: i membri del G8 «condannano le dichiarazioni» di Ahmadinejad «che negano l’Olocausto». Una novità da parte del G8, ma i suoi membri lo avevano già detto.

CORRIERE della SERA - Filippo Andreatta : " Senza più legittimità popolare Teheran cerca un nemico esterno "

Sino a poco tempo fa, l’Iran era un’atipica ma autentica mi­stura di teocrazia e democrazia. Non a caso, se la guida suprema del Paese è stata da sempre, con Khomeini prima e Khamenei dopo, il garante dell’ortodos­sia islamica, il capo del governo è stato quasi sempre un leader moderato, co­me Rafsanjani o Khatami dal 1989 al 2005. L’Iran ha potuto così sopravvivere alla lunga guerra contro Saddam Hus­sein negli anni 80 e innescare un limita­to periodo di riforme con il sostegno della popolazione. La contestata riele­zione di Ahmadinejad ha invece aperto una contraddizione tra le due fonti di legittimità del Paese.
Nonostante solo alcuni politici fosse­ro autorizzati a correre contro di lui, il ricorso a brogli sistematici per ottenere la rielezione ha dimostrato come Ahma­dinejad abbia preferito l’appoggio della guida suprema, che ha abbandonato la propria formale neutralità per coprire le scorrettezze del voto, a una legittima­zione popolare. L’uso spregiudicato del­la forza per spegnere le popolari e spon­tanee proteste può quindi essere equi­parato ad un vero e proprio cambiamen­to di regime. Sebbene, almeno sinora, la repressione abbia avuto successo, il «nuovo» regime ha bisogno di una legit­timazione non più fornita dagli elemen­ti democratici del regime passato. Una frequente risposta di leadership in defi­cit di legittimità è l’identificazione di un nemico esterno che permetta di uti­lizzare la carta del patriottismo. Nel ca­so iraniano si tratta di pretesti, in quan­to è da molto tempo che l’Iran, con la debolezza dei suoi vicini in Iraq e Afgha­nistan e l’offensiva moderata di Obama, non è sicuro come invece è oggi. Ciò no­nostante, non bisogna sorprendersi se alle provocazioni nucleari dello scorso mandato, Ahmadinejad abbia aggiunto ora gli incidenti diplomatici come quel­lo della Gran Bretagna.
L’accusa di alto tradimento con una potenza straniera, per i principali oppo­sitori giunge quindi come un fatto estre­mamente preoccupante, ma non del tut­to imprevedibile. Con ogni probabilità, le scelte radicali di Ahmadinejad e Kha­menei condannano per il futuro all’in­stabilità non solo la politica interna ira­niana, ma anche quella estera.

La STAMPA - " Teheran rilascia cento manifestanti "

 Sostenitori di Moussavi

Cento manifestanti arrestati durante le proteste contro i risultati delle presidenziali del 12 giugno scorso in Iran verranno rilasciati tra oggi e domani. Lo afferma il capo della polizia iraniana, Ismaeil Ahmadi-Moqaddam, sul sito dell’emittente Irib, precisando che sono già stati scarcerati oltre 600 dei mille arrestati dopo le elezioni. Nei giorni scorsi il leader dell’opposizione Mir-Hossein Mousavi aveva ripetutamente chiesto alle autorità giudiziarie e di polizia l’immediato rilascio di tutti i prigionieri politici, tra i quali ci sono dissidenti, giornalisti, studenti ed ex deputati del parlamento. Intanto esperti di diritti umani delle Nazioni unite hanno chiesto il permesso di visitare l’Iran e valutare le condizioni dopo i disordini seguiti delle scorse settimane «La base legale per gli arresti rimane non chiara - hanno scritto in un comunicato i sei esperti, che riferiscono al Consiglio dell’Onu per i diritti umani -. Chiediamo al governo iraniano di rispettare i suoi obblighi secondo la legge internazionale e lo incoraggiamo a onorare il suo invito agli esperti Onu a svolgere visite ufficiali nel paese».

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