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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
08.07.2009 Se Israele deciderà di attaccare l'Iran, l’Egitto non lo ostacolerà
Continuano le proteste dei sostenitori di Moussavi e di Sarkozy, che richiede la scarcerazione della studentessa francese

Testata:Il Foglio - La Stampa - La Repubblica
Autore: La redazione del Foglio - Aldo Rizzo - Giampiero Martinotti
Titolo: «L'altalena iraniana - Black out di massa contro Ahmadinejad - Il Giappone a guardia del nucleare - Docente fermata, Sarkozy attacca l´Iran»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/07/2009, in prima pagina, l'articolo dal titolo " L'altalena iraniana " e la notizia dal titolo " Black out di massa contro Ahmadinejad ".  Dalla STAMPA, a pag. 37, l'articolo di Aldo Rizzo dal titolo " Il Giappone a guardia del nucleare  ". Dalla REPUBBLICA, a pag. 20, l'articolo di Giampiero Martinotti dal titolo " Docente fermata, Sarkozy attacca l´Iran  ". Ecco gli articoli:

Il FOGLIO - "  L'altalena iraniana"

 Hosni Mubarack. Se Israele deciderà di attaccare, l’Egitto non soltanto non lo ostacolerà, ma lo favorirà in modo aperto

Barack Obama da Mosca ha sostanzialmente confermato la posizione della sua Amministrazione: nessun “via libera” a Israele nel caso attacchi gli impianti nucleari iraniani, ma contemporaneamente pieno riconoscimento del diritto di Israele di attuare l’attacco. E’ una posizione non lineare, che conferma le critiche sulla “complicità” americana nei confronti di Israele lanciate martedì dall’iraniano Ali Larijani. Alla domanda della Cnn se sia vero che gli Stati Uniti potrebbero dare il loro via libera a un attacco israeliano all’Iran, Obama ha risposto: “Assolutamente no. E’ molto importante, e credo che non potrei essere più chiaro di così”. Ma poi ha aggiunto: “Il vicepresidente Biden l’ha detto in modo categorico: noi non possiamo dettare ad altri paesi la condotta da tenere in materia di sicurezza. Non possiamo dire a un’altra nazione ciò che può fare o non può fare, quando essa decide, se lo decide, quale sia una minaccia per la sua esistenza”. Dunque, se Israele attaccherà l’Iran, Obama si è impegnato a rispettare – e quindi a non condannare – questa opzione con enormi conseguenze, perché l’Iran reagirà militarmente e gli Stati Uniti con questa ambigua posizione obamiana di “non aderire e non sabotare” si troveranno comunque a fianco di Israele. La cui sicurezza peraltro, secondo la dottrina sempre vigente a Washington, coincide con “la sicurezza nazionale americana”. Ovviamente, questa posizione non facilita l’apertura di un dialogo con Teheran, ma evidenzia la posizione ondivaga del presidente. Nel discorso del Cairo del 4 giugno, Obama si era rivolto alla dirigenza iraniana riconoscendola apertamente e indubitabilmente quale interlocutrice affidabile. Nel contempo, molti suoi consiglieri dicevano apertamente che era possibile convivere con un Iran anche dotato di atomica, impostando una logica di deterrenza. La strategia obamiana, a partire dalla sua analisi dell’affidabilità della dirigenza iraniana, è stata però sconfessata dal comportamento di Khamenei e di Ahmadinejad durante e dopo le elezioni, con l’apertura di una crisi che prefigura un lungo e sanguinoso periodo di instabilità e una reiterata aggressività verso l’esterno (di cui per ora fanno le spese la Gran Bretagna e l’Europa). Ecco allora lo spostamento di Obama su una posizione “alla Bush”, con l’unica variante di una – poco credibile – estraneità americana sulla decisione israeliana. Una posizione altalenante, che risente delle dure critiche dei paesi arabi alleati degli Stati Uniti che – riservatamente – avevano attaccato le posizioni di chi, tra i consiglieri più stretti di Obama, era incline a obbligarli a sopportare la minaccia di una deterrenza atomica con Teheran. Paesi arabi che peraltro compiono ormai scelte clamorose per favorire Israele quale loro difensore contro le minacce atomiche di Teheran. Riad e Gerusalemme hanno smentito ieri la notizia del Sunday Times circa la concessione del sorvolo dello spazio aereo saudita per l’eventuale missione israeliana che bombarderebbe Bushehr e gli altri siti nucleari iraniani. Ma l’Egitto ha invece permesso che un sottomarino israeliano passasse, ben in vista, il Canale di Suez dal Mediterraneo verso il mar Rosso per partecipare a manovre nel Golfo di Eilat. E’ uno dei tre sottomarini della classe Dolphin a disposizione di Israele, armato con missili da crociera, perfetti per bombardare i siti iraniani. In caso di guerra, quella che attraversa lo Stretto di Suez sarebbe naturalmente la rotta più breve. Ma di solito è una rotta evitata, per non esporre il sottomarino alla curiosità dei controllori egiziani. Il rais egiziano Mubarak ha dunque mandato un messaggio chiaro e forte a Teheran (e a Washington): se Israele deciderà di attaccare, l’Egitto non soltanto non lo ostacolerà, ma lo favorirà in modo aperto. Salvo poi, magari, condannare l’azione per salvarsi la faccia di fronte alla umma musulmana.

Il FOGLIO - "  Black out di massa contro Ahmadinejad"

 Sostenitori di Moussavi

Black out di massa contro Ahmadinejad. Ieri sera il movimento di protesta iraniano contro il regime ha tentato di fare collassare le centrali elettriche di Teheran e “oscurare” il discorso televisivo del presidente, rieletto con sospetti fortissimi di brogli. “Gli elettrodomestici, accesi tutti in simultanea, fanno sì che le centrali elettriche non riescano a fornire l’energia necessaria”, hanno spiegato in anticipo i dissidenti: per almeno un quarto d’ora “alcune zone della città rimangono al buio”. Mir Hossein Moussavi, Mehdi Karroubi e Mohammed Khatami chiedono la fine delle violenze contro i manifestanti e la scarcerazione di quelli arrestati.

La STAMPA - Aldo Rizzo : " Il Giappone a guardia del nucleare "

 Yukiya Amano, il nuovo responsabile dell’Aiea

E’ un po’ come nelle elezioni americane. Il presidente eletto ci mette più di due mesi a diventare effettivo, ma, dal giorno dell’elezione, è lui il leader a cui tutti guardano. Nel caso dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’egiziano Mohammed ElBaradei, che ne è alla guida da ben dodici anni, lascerà il suo incarico solo a novembre, ma è il neoeletto, il giapponese Yukiya Amano, al centro dell’attenzione generale. Un fiume di congratulazioni, soprattutto da parte occidentale, ma non solo. Del resto, ha vinto di stretta misura, e dopo mesi d’incertezza, sul sudafricano Abdul Samad Minty, nelle decisive votazioni del «board», ma poi è stato acclamato senza riserve nuovo Direttore da tutti i soci dell’Agenzia, che è un’emanazione dell’Onu, con sede a Vienna.
Dunque è giapponese il nuovo «Nuclear Watchdog», il cane da guardia nucleare, come viene definito in gergo il responsabile dell’Aiea, l’ente che ha il compito, davvero cruciale, di controllare sia il diritto di ogni Stato di disporre di energia atomica, sia il suo dovere di rispettare gli accordi di «non proliferazione», cioè di non passare dall’uso civile a quello militare dell’atomo. E, che sia giapponese, ha un’ineludibile valenza simbolica. Nessun Paese come il Giappone ha nel sangue l’avversione all’arma nucleare, per l’ovvia ragione di essere il solo che ne ha sperimentato direttamente i terrificanti effetti, con i bombardamenti americani di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. E tuttavia lo stesso Giappone, perfino il Giappone, potrebbe sentirsi «costretto» da un’alterazione radicale degli equilibri strategici a fabbricarsi la Bomba, per la quale ha tutta la tecnologia necessaria e, a quanto risulta, anche una sufficiente quantità di plutonio. E dunque il simbolo è doppio. E’ anche, se non soprattutto, il simbolo del grande dilemma che sovrasta più di ogni altro il mondo del XXI secolo, quello tra una pace ragionevolmente concordata e una corsa all’autodistruzione.
Chi potrebbe alterare radicalmente gli equilibri strategici in Asia, e non solo, è la Corea del Nord, se dovesse decidere, senza una forte e reale opposizione del suo grande alleato cinese, di diventare davvero una potenza nucleare e missilistica. E questo è un discorso che si applica anche al Medio Oriente, con l’Iran al posto della Corea comunista. Se la Bomba degli ayatollah segue fino in fondo il suo corso, sarà pressoché inevitabile il riarmo atomico di Paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto e così via, in un quadro «regionale» che vede nucleare già Israele e dunque terribilmente impressionante.
Il predecessore di Yukiya Amano, ElBaradei, non è privo di meriti, nella gestione, diciamo così, di tali problemi. In vario senso: per aver cercato invano di far capire a Bush che l’Iraq non aveva armi di distruzione di massa (ciò che contribuì all’assegnazione, a lui e all’Agenzia, di un Nobel per la pace, intrinsecamente polemico verso gli Usa), ma anche per avere sollevato la questione iraniana, svelando i gioche ambigui di Teheran. Ma poi non è stato privo di ondeggiamenti e, in genere, di atteggiamenti un po’ troppo «politici». Amano ha fama di essere un tecnico imparziale, vicino alla visione strategica (né bellicista né pacifista) di Obama, potenzialmente capace di rilanciare il ruolo dell’Aiea nel suo significato originario. Gli servirà essere giapponese, memore di Hiroshima e Nagasaki, ma anche consapevole dei pericoli attuali. Gli servirà anche, e non poco, l’esempio di moderazione delle superpotenze in carica, Stati Uniti e Russia, se le intese di Mosca, alla vigilia del G8, avranno un seguito serio.

La REPUBBLICA - Giampiero Martinotti : " Docente fermata, Sarkozy attacca l´Iran  "

 Clotilde Reiss, ventitreenne francese incarcerata ad Evin perchè sospettata di "spionaggio" per la Francia.

PARIGI - «Lo dico nel modo più chiaro e più semplice: esigiamo la liberazione della nostra connazionale. Queste accuse di spionaggio sono assolutamente fantasiose. Non voglio dubitare un solo istante che sarà liberata in tempi brevissimi. Non è un modo di fare». Nicolas Sarkozy alza la voce, chiede al regime iraniano di lasciar tornare Oltralpe Clotilde Reiss, l´universitaria di 23 anni arrestata il primo luglio con l´accusa di spionaggio. Durante una conferenza stampa tenuta insieme al presidente brasiliano Lula, il capo dello Stato francese ha nuovamente preso di mira Teheran: «Noi condanniamo le violenze, se il presidente Ahmadinejad è così tranquillo sui risultati, ci si chiede il perché di una tale repressione. Gli iraniani vogliono essere sovrani a casa loro, li capiamo, ma le immagini che abbiamo visto, la violenza sui manifestanti, sono inaccettabili».
Teheran non ha risposto alle richieste francesi. I portavoce del regime hanno rifiutato qualsiasi commento ai giornalisti e non hanno nemmeno confermato l´arresto. Il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha invece ribadito che la donna è stata fermata all´aeroporto di Teheran poco prima di imbarcarsi su un volo a destinazione di Beirut. L´accusa di spionaggio è stata costruita di sana pianta: la Reiss avrebbe mandato via mail a un amico di Teheran le foto, realizzate con il telefonino, delle manifestazioni svoltesi a Isfahan, la città in cui era lettrice.
La donna si è laureata all´Istituto di studi politici a Lilla l´anno scorso con una tesi sull´Iran. Parla bene il farsi e si è occupata del sistema educativo iraniano. E´ partita in Iran nel febbraio scorso grazie alla borsa di studio offerta da un istituto di ricerca: «Se l´era sbrogliata da sola per ottenere un posto di lettrice all´università e poter così restare qualche mese laggiù», ha detto il direttore della facoltà di Lilla, Pierre Mathiot.
Secondo una compagna di università, la Reiss è una vera appassionata dell´Iran, in cui ha fatto già diversi viaggi. Anche il padre ha chiesto ieri alle autorità iraniane di liberarla: «Mia figlia non fa politica. I motivi del suo arresto sono infondati e assurdi».
Con il suo intervento, Sarkozy si è confermato come il paladino di una linea più intransigente nei confronti di Teheran. La Francia era stata il primo paese ad avanzare dubbi sulla regolarità delle elezioni presidenziali, a parlare di frodi massicce e a denunciare la repressione delle manifestazioni. L´altro ieri, al termine del vertice franco-britannico, Sarkozy e Gordon Brown avevano mostrato la loro reciproca solidarietà nell´affrontare le provocazioni del regime iraniano.

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