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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.07.2009 Ingresso della Turchia in Ue: Erdogan pone un aut aut all'Europa
Non dovrebbe essere il contrario? L'Intervista di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 luglio 2009
Pagina: 1
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Turchia stanca di aspettare il sì dell’Europa»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/07/2009, a pag. 1-9, l'intervista di Antonio Ferrari a Recep Erdogan dal titolo " Turchia stanca di aspettare il sì dell’Europa ".

L'arroganza di Erdogan e delle sue pretese ha dell'incredibile.
Il fatto di entrare o meno in Europa non è un fatto puramente geografico, ma anche culturale. La Turchia non condivide molti dei valori delle democrazie occidentali. La libertà di espressione è pressochè inesistente (come gli ricorda Antonio Ferrari, lo scrittore Oran Pamuk è stato processato per aver "offeso l'identità turca"). Le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini.
Inoltre la Turchia si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni.
Ecco l'articolo:

 Recep Erdogan

«Sono 50 anni che siamo in attesa di entrare nell'Unione europea. E ora vorremmo una risposta chiara. Vi sono leader che dicono una cosa e poi si correggono, e magari in altre sedi sosten­gono di non averla detta. È diventato co­mico, e noi siamo stanchi di comiche».
Parla a bassa voce, quasi a voler celare il fastidio, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, che si prepara a partire per L'Aquila, per il G8 e la sua propaggi­ne allargata, con la determinazione di chi vuol far valere le ragioni e le aspira­zioni del suo Paese. «Mi chiedete se ac­cetterei un’associazione privilegiata? No, mai. Chiediamo l'adesione piena e ba­sta! », ha detto nell'intervista esclusiva concessa al nostro giornale. All'incontro era presente il direttore del Corriere del­la Sera Ferruccio de Bortoli.
È sera, e sul volto di Erdogan sono di­segnati i segni di una dura giornata di la­voro. Ci riceve nella sede del partito do­ve, dietro la sua scrivania, troneggia l'im­magine di Mustafa Kemal Atatürk, il grande leader laico che ha cambiato la storia del Paese e di tutta la regione. Un leader indiscusso, che un tempo il futuro presidente del partito islamico moderato della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) non esitava a criticare. Ma ora, con la consapevolezza delle responsabilità, sembra a volte chiederne silenziosamen­te i consigli. Ai lati del dipinto, le bandie­re della Turchia e quella con la lampadi­na del suo partito Akp. Lampadina stam­pata sugli astucci di cioccolatini, che il premier offre ai suoi ospiti.
Signor primo ministro, lei partecipe­rà alla seconda giornata di lavori del G8 e avrà, per decisione della presiden­za italiana, un tavolo tutto europeo, con rappresentanti di Paesi che la so­stengono, come Italia, Gran Bretagna, Spagna e la Svezia (presidente di turno dell'Ue), e Paesi che sono contrari, co­me la Germania, ma soprattutto la Francia. Ci tolga una curiosità: ma per­ché Sarkozy è così duro con voi?
«Difficile comprendere. Vedete, io ho ottimi rapporti personali con tutti i miei colleghi. Anche con il presidente Sarkozy. Quando la Francia aveva la pre­sidenza dell’Ue, il collega Sarkozy nei tête-à-tête mi diceva: 'State tranquilli. Apriremo 30 capitoli, su altri 5 vedremo dopo'. Poi andava in Svezia e faceva di­chiarazioni durissime. Poi, quando ci ri­vedevamo, correggeva».
L'Italia, invece, vi ha sempre sostenu­to con scelte bipartisan, sia con i gover­ni di centrosinistra che con quelli di centrodestra.
«È vero, è così. Il problema è non dif­fondere messaggi conflittuali. Chiedia­mo chiarezza e coerenza. Certo, anche noi abbiamo le nostre colpe. Non abbia­mo saputo spiegare chi siamo e non ab­biamo saputo comunicare quel che stava­mo e stiamo facendo. E così in alcuni lea­der si sono radicate idee sbagliate: che non avevano e non hanno nulla a che fa­re con la nostra realtà».
Ma può spiegarci perché nell'Unione europea molti hanno paura della Tur­chia?
«Ve l'ho appena detto».
Un sondaggio, diffuso ieri dal vostro istituto di ricerca, dice che, nonostante le difficoltà e qualche disaffezione, il 51,9 per cento dei turchi è ancora favo­revole
all'ingresso del vostro Paese nell' Ue, mentre i contrari sono il 29,5 per cento. Pensavamo peggio.
«Dovreste pensare che nel 2005, quan­do abbiamo cominciato i negoziati, il 75 per cento del nostro popolo era favorevo­le. Poi, a forza di no, di forse, di distin­guo, siamo arrivati a questo punto. Baste­rebbe che la cancelliera Merkel e il presi­dente Sarkozy dicessero: 'Bene, se la Tur­chia soddisfa tutte le condizioni richie­ste, saremo pronti ad accoglierla'. Baste­rebbe questo per tornare a percentuali quasi plebiscitarie».
Vi è stato chiesto di modificare l'arti­colo 301 del codice penale, che punisce con il carcere chi offende 'l'identità tur­ca'. Accusa che era stata rivolta al pre­mio Nobel Pamuk.
«E noi l'abbiamo modificato. Dico di più. Abbiamo consultato e studiato i co­dici penali di Italia, Germania e Spagna. Posso dirvi che il nostro articolo 301 è migliore del vostro. Nessuno è finito in carcere».
Ma non sarebbe ora, signor Erdo­gan, di fare i conti con la vostra storia? Pensiamo agli armeni, vittime di quel­lo che molti storici considerano un ge­nocidio.
«Non esiste un solo documento che lo provi. Uno solo. E poi: pensate che 40.000 armeni continuerebbero a vivere in Turchia? Sono gli armeni in altri Paesi che diffondono notizie e interpretazioni non corrispondenti alla realtà».
Lei ha parlato di un passato fascista, in Turchia, che non ha rispettato le mi­noranze.
«Sì, mi riferivo ad errori commessi nel passato contro gli ebrei, i greci, i cri­stiani ».
Negli ultimi tempi sono riaffiorati contrasti con i militari. C'è una propo­sta di legge, alla firma del presidente Gül, che prevede tribunali civili anche per i soldati. La firmerà il capo dello Stato?
«La domanda non è giusta. Non si può parlare di contrasti con le Forze ar­mate. I militari, come la polizia e le forze di sicurezza, fanno parte della nostra so­cietà. Ora, un conto è processare, in un tribunale civile, un soldato che ha com­messo reati civili. Ma nessuno intende processare militari che abbiano commes­so reati connessi con la loro missione».
In Iraq la situazione è migliorata. Non vi sono più le pressioni nel Nord, nel Kurdistan, che tanto vi preoc­cupavano. Con l'Iran avete buoni rapporti. Non temete il suo po­tenziale nucleare?
«Noi siamo assoluta­mente contrari alle armi di distruzione di massa, però ci poniamo una do­manda: è giusto condan­nare soltanto alcuni Paesi che le detengono o stareb­bero attrezzandosi a dotar­sene? Io penso che tutti i Pa­esi dovrebbero essere libera­ti dalle armi di distruzione di massa. Tutti».
È quanto sosteneva il pre­sidente Obama nei suoi scrit­ti
giovanili.
«Appunto. E le notizie che arrivano da Mosca sull'accordo tra Usa e Russia per la riduzione delle testate sono incorag­gianti ».
Lei ha la passione per il calcio. Lo ha anche praticato. Tifa per il Fenerbahçe, ma il suo compagno di partito, il presi­dente della repubblica Abdullah Gül, ti­fa per il Besiktas. E il Besiktas ha vinto il campionato. Mi sembra che, quest' anno, lei condivida le sofferenze sporti­ve di Berlusconi e del suo Milan.
«In Italia Milan, Inter e Juventus sono icone del calcio. Da noi ce ne sono altret­tante. È bello vincere, ma è anche bello riprovarci, se l'anno prima le cose non so­no andate bene».
A proposito del presidente Berlusco­ni. Che idea si è fatto delle vicende pri­vate nelle quali è coinvolto?
«Berlusconi è un collega, un amico, è uno di famiglia. Perciò entrare nelle sue vi­cende private non è né corretto né leale».

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