Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Il G8 si prepara a parlare di Iran ma non conosce ancora il piano di Obama Muore per le torture in carcere un sostenitore di Moussavi e una studentessa francese viene arrestata per spionaggio
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - La Stampa - Il Giornale Autore: La redazione del Foglio - Ian Buruma - La redazione della Stampa - La redazione del Giornale Titolo: «Il G8 si prepara a parlare di Iran ma non conosce ancora il piano di Obama - L’Occidente sappia distinguere Mousavi è meglio di Ahmadinejad - Arrestata in Iran 'Spia francese' - Iran Muore in carcere per le torture un uomo di Moussavi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/07/2009, a pag. 1-3, l'articolo dal titolo " Il G8 si prepara a parlare di Iran ma non conosce ancora il piano di Obama " .Dal CORRIERE della SERA , a pag. 37, l'articolo di Ian Buruma dal titolo " L’Occidente sappia distinguere Mousavi è meglio di Ahmadinejad " preceduto dal nostro commento. Dalla STAMPA, a pag. 18, la breve dal titolo " Arrestata in Iran "Spia francese” ". Dal GIORNALE, a pag. 16, la breve dal titolo " Iran Muore in carcere per le torture un uomo di Moussavi ". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - " Il G8 si prepara a parlare di Iran ma non conosce ancora il piano di Obama "
Ahmadinejad : " Quali armi nucleari? " Obama : " Visto? Sedersi e parlare con questi ragazzi funziona !"
Roma. Domani sera, a cena, i grandi del mondo ospitati da Silvio Berlusconi al vertice dell’Aquila discuteranno di Iran, ma è improbabile che il G8 vada oltre l’esprimere preoccupazione per ciò che sta succedendo a Teheran. Il premier ha fatto intendere che il summit non adotterà sanzioni economiche nei confronti del regime degli ayatollah atomici. La linea di Barack Obama è ancora quella con cui ha vinto le elezioni: l’offerta di dialogo rivolta all’establishment teocratico iraniano resta valida, anche se sempre meno praticabile dopo la repressione post elettorale a Teheran. Ma i segnali dell’Amministrazione Obama sul dossier iraniano sono contraddittori e non si capisce bene se siano il prodotto di una confusione programmatica o, al contrario, di un equilibrato dosaggio di “bastone e carota”. Obama ha detto di non essersi rassegnato all’idea di un Iran nucleare, e il vicepresidente Joe Biden ha detto che Israele ha il diritto di agire preventivamente contro i siti nucleari iraniani. L’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore, ha spiegato di essere preoccupato che un eventuale attacco israeliano scateni un conflitto più ampio. Il dipartimento del Tesoro ha deciso di applicare sanzioni economiche e finanziarie a un paio di gruppi iraniani che cercano di destabilizzare il governo democratico dell’Iraq.Il presidente americano, ancora prima che scoppiasse la crisi politica interna in Iran, aveva promesso che avrebbe preso provvedimenti più severi se “entro l’anno” il regime islamico non avesse dato qualche segnale positivo. Il New York Times ha parlato di un piano B (sanzioni internazionali) già pronto nel caso in cui l’Iran rifiutasse di aprire un negoziato sul nucleare e, nei giorni scorsi, Obama e il suo vicepresidente, Joe Biden, hanno alzato i toni. Il presidente, prima della partenza per la Russia, ha detto all’Associated Press che non si è rassegnato all’idea di un Iran nucleare, come si diceva a Washington prima delle elezioni iraniane, anzi ha spiegato che i piani della sua Amministrazione vanno nella direzione opposta, anche perché un Iran dotato di bomba scatenerebbe una corsa al nucleare in una regione già molto problematica: “Sarebbe una ricetta per un disastro”, ha detto Obama. Joe Biden si è spinto oltre e gli analisti americani non sanno ancora se abbia lanciato un avvertimento agli iraniani o se sia incappato in una delle sue solite gaffe. Il vicepresidente, infatti, ha detto in televisione che Israele ha il diritto di agire preventivamente per distruggere le centrali nucleari islamiche e non ha escluso che l’America possa concedere all’aviazione israeliana il diritto di sorvolo sullo spazio aereo iracheno, un permesso che George W. Bush un paio di anni fa aveva rifiutato. Secondo il Times di Londra, i servizi segreti del Mossad avrebbero assicurato al premier israeliano Benjamin Netanyahu che i sauditi, altamente preoccupati dall’ipotesi di un Iran nucleare, chiuderebbero un occhio nel caso i jet di Gerusalemme volassero sopra il regno saudita per colpire i siti iraniani. I segnali dell’Amministrazione Obama sul dossier iraniano sono contraddittori e non si capisce bene se siano il prodotto di una confusione programmatica o, al contrario, di un equilibrato dosaggio di “bastone e carota”. Domenica infatti, l’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore dell’apparato militare americano, ha detto di essere molto preoccupato che un eventuale attacco israeliano ai siti nucleari iraniani possa scatenare un conflitto più ampio con conseguenze inattese e “molto destabilizzanti”. Il giorno prima, però, il dipartimento del Tesoro aveva comunicato di aver individuato vari gruppi iraniani che “minacciano la pace e la stabilità del governo iracheno” e che “compiono, dirigono, sostengono o pongono il rischio serio di commettere atti di violenza contro le forze della coalizione”. Qualche mese fa era stato il dipartimento di stato a definire l’Iran come il principale paese sponsor del terrorismo islamico in medioriente e altrove. Il Tesoro, ora, ha esteso a questi gruppi le sanzioni economiche e finanziarie già applicate da anni al regime di Teheran. Il margine di manovra di Obama è ristretto, perché l’America pratica già l’embargo nei confronti delle merci e dei beni iraniani e l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite ha già detto che tecnologicamente l’Iran è pronta a costruirsi la bomba. L’unica via per aumentare la pressione sugli ayatollah è convincere europei, russi e cinesi ad adottare un serio regime di sanzioni internazionali, un’iniziativa che Obama sta cominciando a perseguire. Anche se non ancora al G8 dell’Aquila.
CORRIERE della SERA - Ian Buruma : " L’Occidente sappia distinguere Mousavi è meglio di Ahmadinejad "
Buruma ritiene che Mousavi sia diverso Ahmadinejad. A tal proposito gli consigliamo la lettura dell'articolo di Magdi Allam dal titolo " Ma Mousavi non è un democratico " riportato nella rassegna di IC del 29/06/2009. Moussavi, per quanto riguarda due questioni fondamentali di politica estera (il programma nucleare e i rapporti con Israele) è perfettamente allineato con Ahmadinejad e Khamenei. Inoltre ricordiamo che quando fu presidente dell'Iran negli anni '80, non si oppose alla fatwa lanciata dall'ayatollah Khomeini a Salman Rushdie e si rese complice dell'assassinio di numerosi oppositori politici. Ecco l'articolo:
Ian Buruma
Il sistema politico iraniano era decisamentesui generis ancor prima che la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, decidesse di sopprimere quel poco di legittimità che la «democrazia controllata» del Paese conservava. I cittadini iraniani hanno diritto a eleggere il loro presidente, ma i candidati devono passare al vaglio del Consiglio dei Guardiani, metà dei quali vengono designati dalla Guida suprema, carica non elettiva. Possono scendere in lizza soltanto candidati uomini, con inappuntabili credenziali religiose e fedeli a un regime in cui le decisioni più importanti vengono prese da esponenti del clero non eletti. Mir-Hossein Mousavi, designato dal defunto ayatollah Khomeini stesso alla carica di primo ministro nel 1981, rispecchiava tale profilo. Mousavi si è presentato come un riformista, dichiarando che si sarebbe battuto per una maggiore libertà dell’informazione, la promozione dei diritti delle donne e minori restrizioni alla vita privata degli iraniani. E ha anche accennato a una maggiore flessibilità nei negoziati con gli Stati Uniti. Ciò nonostante, la sconfitta di Mousavi ad opera dell’intransigente Mahmoud Ahmadinejad è stata accolta da più d’un neoconservatore negli Stati Uniti con un senso di sollievo. Un autorevole commentatore, che risponde al nome di Max Boot, ha appreso con «un pizzico di soddisfazione l’esito delle elezioni iraniane», dato che ora sarà più difficile per il presidente Obama contrastare un eventuale attacco israeliano contro gli impianti nucleari iraniani. Visto che l’Iran è il nemico (chi non ricorda l’«asse del male» di George W. Bush?), è meglio avere a che fare con un presidente che parla e si comporta come un pazzo criminale, che con un personaggio dall’aria ragionevole e che promette riforme. Tutto ciò potrebbe apparire come l’apoteosi del cinismo e naturalmente lo è. E ricorda a tutti noi la vicinanza, almeno nello spirito, tra estremisti neocon e ideologi comunisti. Il compromesso è un anatema, secondo il pensiero radicale. Alcuni musulmani della sinistra estrema, ossessionati dalla lotta all’«imperialismo» dell’Occidente e a Israele, hanno accolto di buon grado la sconfitta di Mousavi giacché, nelle parole di un attivista di quel fronte, «la resistenza (antisionista,ndr) non può permettersi una rivoluzione di velluto filoamericana». I comunisti hanno sempre avuto la tendenza a liquidare le differenze tra i candidati alle elezioni nelle democrazie liberali (per non parlare di quelle «controllate»). Questi ultimi rappresentavano soltanto facce diverse dello stesso marcio sistema. In realtà, i social-democratici erano considerati più pericolosi dei conservatori oltranzisti, perché la loro retorica da sinistra moderata serviva soltanto a procrastinare la rivoluzione. Questa scuola di pensiero ha aiutato i nazisti a distruggere la democrazia tedesca negli anni 30 del secolo scorso. Ma la reazione di Boot, e di altri della stessa persuasione, mette in luce un vero e proprio dilemma, che sempre ricorre nei sistemi autoritari che usano qualche parvenza di democrazia per rinsaldare la propria legittimità. Come dovrebbero comportarsi i candidati dell’opposizione, quando sono invitati a prendere parte a elezioni che sanno di non poter vincere o che, quand’anche ne abbiano la possibilità, garantirebbero loro soltanto un’autorità irrilevante? Se accettano, contribuiscono a legittimare un sistema in cui non credono veramente. Se optano per un rifiuto, non potranno mai esercitare alcuna influenza. Non esistono canoni assoluti per il comportamento da adottare in circostanze eccezionali come queste, per cui la popolazione deve giudicare ogni elezione valutandone i pro e contro. E dato che l’85 per cento degli elettori iraniani ha pensato che valesse la pena di partecipare alle ultime consultazioni, la loro decisione va rispettata. Nonostante le possibilità di scelta fossero limitate, molti di essi erano abbastanza fiduciosi che il candidato riformista non soltanto sarebbe risultato vincitore, ma avrebbe anche reso la loro vita un po’ migliore. È anche per questo che, nel 1997, il 70% della popolazione votò per Mohammed Khatami, il presidente riformatore. Anche Khatami aveva le idee giuste sulla libertà di stampa, i diritti individuali e le riforme democratiche. Ma i vertici del clero, depositari del potere supremo, le hanno sostanzialmente imbavagliate. E il fatto che l’amministrazione Bush abbia dato Khatami per spacciato, probabilmente, non è stato d’aiuto. Come oggi fanno alcuni neocon, i consiglieri per la politica estera di Bush non vedevano alcuna differenza tra intransigenti e riformisti. E questo ha ulteriormente compromesso l’autorità di Khatami. Mousavi incarnava, agli occhi di molti iraniani, una seconda chance. Purtroppo, anche la Guida suprema Ali Khamenei era di quest’avviso e ha fatto in modo che il presidente Ahmadinejad restasse al potere. È stato un duro schiaffo a tutti gli iraniani che hanno a cuore la dignità della politica democratica. Ma ciò non significa che abbiano sbagliato, o peccato d’ingenuità, nel fare un tentativo. La campagna di Mousavi e i suoi strascichi hanno mostrato molto chiaramente che quanti proclamavano di non ravvisare alcuna differenza tra i candidati, fatta eccezione per lo stile e il modo di presentarsi, si sbagliavano. Anche se le elezioni sono state truccate, infatti, le voci dell’opposizione all’autoritarismo del clero si sono fatte sentire. E la calma dignità delle proteste che ne sono seguite ha inciso sulla reputazione dell’Iran nel mondo più di qualsiasi posa bellicosa del presidente populista. Potrebbe anche emergere, tuttavia, una conseguenza più rilevante. Le elezioni, i brogli e il pugno di ferro sulle proteste che ne sono seguite, hanno smascherato e con ogni probabilità acuito, le profonde spaccature all’interno del regime. È questa la ragione più convincente per cui, nella maggior parte dei casi, è meglio partecipare alle contese elettorali, anche in circostanze che non promettono niente di buono. È in tal modo, infatti, che si svelano le crepe nell’apparato del potere dispotico. Ahmadinejad ha vinto le elezioni, ma il regime ne è uscito ancora debole. Ostinarsi nella convinzione che riformisti e intransigenti siano soltanto le due maschere di uno stesso nemico, e compiacersi della vittoria di questi ultimi, è non soltanto una dimostrazione di cinismo, ma anche l’ennesimo insulto a un popolo che ha già subito troppe umiliazioni.
La STAMPA - " Arrestata in Iran "Spia francese” "
Sarkozy
PARIGI Una studentessa universitaria francese è stata arrestata il primo luglio all’aeroporto di Teheran con l’accusa di spionaggio. Stava lasciando l’Iran dopo un soggiorno di cinque mesi. Ne ha dato notizia ieri il Ministero degli Esteri di Parigi, in un comunicato in cui chiede al governo di Teheran «di liberare immediatamente la nostra compatriota e autorizzarla a lasciare l’Iran per la Francia» perché «il capo di imputazione di spionaggio, avanzato dalle autorità iraniane, non resiste all’esame». Intanto il Quai d’Orsay ha convocato per oggi l’ambasciatore iraniano a Parigi.
Il GIORNALE - " Iran Muore in carcere per le torture un uomo di Moussavi "
Hamid Maddah
Un membro dello staff elettorale di Mir Hossein Mussavi sarebbe morto in carcere sabato scorso a causa delle ferite riportate durante interrogatori sotto tortura. Lo scrive un blog iraniano gestito da Josh Shahryar. Il blog - in cui si riassumono i principali eventi del fine settimana - afferma che Hamid Maddah, definito come membro chiave della campagna elettorale dell’ex candidato moderato nella città di Mashhad, era stato arrestato nella moschea Gowharshad. Secondo il blogger, il certificato di morte parla di emorragia cerebrale.
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