Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 05/07/2009, a pag. 3, l'articolo di Michele Brambilla dal titolo " Vietato pregare (solo ai cristiani) " e dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Luigi Offeddu dal titolo " Bruxelles, uccisa perché voleva divorziare ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Michele Brambilla : " Vietato pregare (solo ai cristiani) "
Calciatori della squadra egiziana pregano. La Fifa non li ha ammoniti, mentre l'ha fatto con la squadra brasiliana.
La Fifa, cioè il governo mondiale del calcio, ha inviato un «ammonimento» ufficiale alla Federazione brasiliana i cui calciatori, al termine della finale vittoriosa nella recente Confederations Cup in Sudafrica, hanno ringraziato Dio con una preghiera collettiva in mezzo al campo. Una preghiera esplicitamente cristiana, com’ovvio, vista la fede comune in Brasile. La Fifa censura: la religione deve stare alla larga dal calcio.
Non ci sembra una notizia di poco conto. Tuttavia, su giornali e tv ha trovato scarsissimo rilievo. Ci sbaglieremo, ma ieri l’abbiamo vista solo sul Corriere della Sera e su Repubblica. L’articolo del Corriere era ineccepibile. Quello di Repubblica, invece, ci ha fatti sobbalzare sulla seggiola. L’autore, infatti, subito dopo aver descritto il rito messo in scena dai calciatori brasiliani, e dopo aver rimarcato che molti indossavano «magliette alla Kakà (“I belong to Jesus”, appartengo a Gesù)», commenta: «Fosse stata una preghiera islamica, è il caso di dirlo, apriti cielo. Invece la faccenda è passata quasi sotto silenzio, almeno da noi».
Davvero stupefacente lo stravolgimento dei fatti e della realtà. Qui, è il caso di dirlo, è accaduto esattamente il contrario di quel che fa intendere Repubblica. Il cielo si è aperto proprio contro la preghiera cristiana dei brasiliani; mentre nessuno, tantomeno la Fifa, ha detto bah per una manifestazione altrettanto plateale, e anch’essa trasmessa in mondovisione, di pochi giorni prima. E cioè la preghiera islamica dei calciatori egiziani i quali, subito dopo la partita vinta contro l’Italia, hanno pregato in mezzo al campo tutti quanti rivolti alla Mecca, secondo tradizione. Repubblica vuol farci credere che - nonostante l’ammonimento della Fifa - la preghiera cristiana dei brasiliani è passata «sotto silenzio», mentre un’ipotetica preghiera islamica avrebbe fatto gridare allo scandalo. Anche se siamo abituati a faziosità di ogni genere, c'è da restare increduli di fronte a tanta spudoratezza. Ma quel che ci interessa qui non è il rimarcare certe piccole meschinità. Più che l'articoletto di Repubblica, ci pare indicativa di un certo clima la sanzione della Fifa; e il silenzio con cui tale disparità di trattamento - Brasile punito, Egitto no - viene fatta scvolare via.
Premetto, come parere personale, che credo sbagliata - anzi, più che sbagliata: assurda - quasiasi sanzione contro ogni preghiera, sia essa cristiana o islamica o induista o buddhista. Il mondo del calcio tollera, quando non permette, slogan e marchi fra i più dementi e avolte fra i più criminali: brigate, tupamaros, commandos e compagnia delirante sono le scritte più comuni sugli striscioni degli ultras (altro termine non propriamente pacifico); così come svastiche, croci celtiche e ritratti del Che sono una presenza fissa sugli stadi di mezzo mondo. Eppure, mai una volta che la Fifa si sia scomodata per "ammonire" come ha fatto quando ha visto gli inquietanti segni della croce della Seleçao. Che c'è di male se un atleta credente ringrazia il suo Dio per il momento di felicità che sta vivendo? Davvero qualcuno può sentirsi "offeso"?
Non siamo qui, insomma, per invocare una par condicio che "ammonisca" anche gli egiziani. Al contrario, siamo per una liberalizzazione bipartisan. Ma la mannaia a senso unico della Fifa ci conferma, una volta di più, che contrariamente alle bizzarre supposizioni di Repubblica e a tutto il bla bla bla politicamente corretto, la discriminazione non è contro i musulmani ma contro i cristiani. E non stiamo parlando di una discriminazione che viene applicata ( e neppure invocata) dal mondo islamico. E' una discriminazione che scatta in automatico da un mondo occidentale che soffre di patologici sensi di colpa, che è ossessionato dal timore di apparire colonialista, xenofobo, razzista. Joseph Blatter, il presidente della Fifa, è svizzero. La federazione che ha sollecitato la sanzione contro il Brasile è quella danese. Non c'è nessun musulmano o nessun "diverso" in genere, che si è sentito offeso dalla preghiera di Kakà e dei suoi compagni. Siamo noi occidentali che perseveriamo nel crogiolarci della sindrome di Tafazzi. O forse, chissà, che siamo inastiditi non tanto dalla religione in generale, ma da quella cristiana in particolare.
CORRIERE della SERA - Luigi Offeddu : " Bruxelles, uccisa perché voleva divorziare "
Donne col burqa. Senza volto. Senza diritti.
BRUXELLES — Da lontano, al telefono, si sente un bambino piccolo che piange, o strilla per gioco, da qualche parte nella stanza alle spalle di Kadidja Lalembaidje: «È Maxime, il mio nipotino, il figlioletto di Claudia. Ha 8 mesi. Otto mesi, capito? Mia figlia avrebbe voluto crescerlo secondo i suoi valori: considerare sempre gli altri degli essere umani come noi, cercare di comprendere le loro ragioni. Ma è capitata con quello là, il talebano, l’ha sposato, gli ha dato un figlio. Lui la picchiava, ha cercato 3 volte di strangolarla perché non voleva che uscisse, che si vestisse normalmente. Le diceva: attenta, le donne devono essere sottomesse all’uomo. Citava sempre il Corano. E quando lei ha chiesto il divorzio, lui le ha risposto: ricordalo, in Pakistan il matrimonio è per la vita o per la morte.
Così è stato, l’ha uccisa. Lui e i suoi due fratelli, in tre l’hanno uccisa. Come già avevano ucciso la moglie di un quarto fratello in Pakistan, buttandola nel fiume. Anche lei nel fiume, come mia figlia. E proprio per quello erano poi fuggiti in Europa. Ma che ne sapevamo, noi?». Alla fine, il pianto soffoca la voce: «Ora ci hanno detto che quel quarto fratello si è suicidato. Ecco che famiglia aveva incontrato Claudia, ecco che destino ha avuto».
Claudia era scomparsa il 14 giugno, la sua foto era finita sul sito del Chi l’ha visto? belga. L’altro ieri, nel fiume Escaut che va dalla Francia al Belgio, trovano una valigia chiusa: dentro, un corpo seminudo, mani e piedi legati, il viso sfigurato.
È lei, c’è il tremendo sospetto di uno stupro per sfregio. Il marito ora è in cella, come il secondo fratello. Il terzo è in fuga.
Questa è una storia che non giunge da un remoto villaggio, ma da Bruxelles, capitale d’Europa. Dal quartiere di Schaerbeek, abitato da una vasta e pacifica comunità di immigrati. Come Claudia Lalembaidje, 32 anni, vissuta fino ai 15 nel nativo Ciad, poi emigrata con la madre e le sorelle (il padre, colpito dalle sofferenze della guerra, vive ancora nel Ciad). Dopo aver fatto studi teatrali e aver preso un diploma da infermiera, Claudia aveva lavorato alla Croce Rossa.
«Ora, diventata madre, aveva un sogno: aprire un asilo per bambini. Ecco, questo era lei, una persona luminosa»: parla Daniele Cardella, funzionario italiano del Parlamento europeo ed ex-fidanzato della giovane, con la quale ha convissuto per 3 anni e mezzo. «Prima Claudia aveva aiutato a crescere i figli piccoli delle sorelle, e poi aveva pensato a sé. Noi ci eravamo lasciati, come capita, ma eravamo rimasti amici, e sua mamma si confidava spesso con la mia. Così abbiamo saputo di quel pachistano. Per esempio, di quando nacque Maxime e lui annunciò: a 5 anni dovrà avere in pugno il Corano». «Quel pachistano » è Alì, alias Hammad Raza Syed, immigrato clandestino in Belgio con i fratelli. Voci di quartiere: nomi falsi, traffici di passaporti, forse qualcosa di più. Lui sposa Claudia nel luglio 2008: ma subito si scopre che, più che alla moglie, è interessato al permesso di soggiorno, da ottenere attraverso le nozze.
Non è però tanto facile, e poi Claudia continua a lavorare, non rinuncia alla sua personalità. Così ecco le botte, e il resto: «La vedevamo sempre più sciupata e preoccupata», racconta ancora Daniele. Finché, una sera, Claudia annuncia al marito che ha chiesto il divorzio («È scandalo», urla Hammad) e che avrà lei la custodia del bambino. Poco dopo, alla porta di casa compaiono i due cognati: «Perché in Pakistan ci si sposa per la vita o per la morte».
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