mercoledi` 14 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.07.2009 Cronache eurarabe
La Fifa vieta di pregare sul campo, ma non alla squadra musulmana. Talebano uccide la moglie belga perchè ha chiesto il divorzio

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Michele Brambilla - Luigi Offeddu
Titolo: «Vietato pregare (solo ai cristiani) - Bruxelles, uccisa perché voleva divorziare»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 05/07/2009, a pag. 3, l'articolo di Michele Brambilla dal titolo " Vietato pregare (solo ai cristiani) " e dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Luigi Offeddu dal titolo " Bruxelles, uccisa perché voleva divorziare  ". Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Michele Brambilla : " Vietato pregare (solo ai cristiani) "

Calciatori della squadra egiziana pregano. La Fifa non li ha ammoniti, mentre l'ha fatto con la squadra brasiliana.

La Fifa, cioè il governo mondiale del calcio, ha inviato un «ammonimento» ufficiale alla Federazione brasiliana i cui calciatori, al termine della finale vittoriosa nella recente Confederations Cup in Sudafrica, hanno ringraziato Dio con una preghiera collettiva in mezzo al campo. Una preghiera esplicitamente cristiana, com’ovvio, vista la fede comune in Brasile. La Fifa censura: la religione deve stare alla larga dal calcio.
Non ci sembra una notizia di poco conto. Tuttavia, su giornali e tv ha trovato scarsissimo rilievo. Ci sbaglieremo, ma ieri l’abbiamo vista solo sul Corriere della Sera e su Repubblica. L’articolo del Corriere era ineccepibile. Quello di Repubblica, invece, ci ha fatti sobbalzare sulla seggiola. L’autore, infatti, subito dopo aver descritto il rito messo in scena dai calciatori brasiliani, e dopo aver rimarcato che molti indossavano «magliette alla Kakà (“I belong to Jesus”, appartengo a Gesù)», commenta: «Fosse stata una preghiera islamica, è il caso di dirlo, apriti cielo. Invece la faccenda è passata quasi sotto silenzio, almeno da noi».
Davvero stupefacente lo stravolgimento dei fatti e della realtà. Qui, è il caso di dirlo, è accaduto esattamente il contrario di quel che fa intendere Repubblica. Il cielo si è aperto proprio contro la preghiera cristiana dei brasiliani; mentre nessuno, tantomeno la Fifa, ha detto bah per una manifestazione altrettanto plateale, e anch’essa trasmessa in mondovisione, di pochi giorni prima. E cioè la preghiera islamica dei calciatori egiziani i quali, subito dopo la partita vinta contro l’Italia, hanno pregato in mezzo al campo tutti quanti rivolti alla Mecca, secondo tradizione. Repubblica vuol farci credere che - nonostante l’ammonimento della Fifa - la preghiera cristiana dei brasiliani è passata «sotto silenzio», mentre un’ipotetica preghiera islamica avrebbe fatto gridare allo scandalo. Anche se siamo abituati a faziosità di ogni genere, c'è da restare increduli di fronte a tanta spudoratezza. Ma quel che ci interessa qui non è il rimarcare certe piccole meschinità. Più che l'articoletto di Repubblica, ci pare indicativa di un certo clima la sanzione della Fifa; e il silenzio con cui tale disparità di trattamento - Brasile punito, Egitto no - viene fatta scvolare via.
Premetto, come parere personale, che credo sbagliata - anzi, più che sbagliata: assurda - quasiasi sanzione contro ogni preghiera, sia essa cristiana o islamica o induista o buddhista. Il mondo del calcio tollera, quando non permette, slogan e marchi fra i più dementi e avolte fra i più criminali: brigate, tupamaros, commandos e compagnia delirante sono le scritte più comuni sugli striscioni degli ultras (altro termine non propriamente pacifico); così come svastiche, croci celtiche e ritratti del Che sono una presenza fissa sugli stadi di mezzo mondo. Eppure, mai una volta che la Fifa si sia scomodata per "ammonire" come ha fatto quando ha visto gli inquietanti segni della croce della Seleçao. Che c'è di male se un atleta credente ringrazia il suo Dio per il momento di felicità che sta vivendo? Davvero qualcuno può sentirsi "offeso"?
Non siamo qui, insomma, per invocare una par condicio che "ammonisca" anche gli egiziani. Al contrario, siamo per una liberalizzazione bipartisan. Ma la mannaia a senso unico della Fifa ci conferma, una volta di più, che contrariamente alle bizzarre supposizioni di Repubblica e a tutto il bla bla bla politicamente corretto, la discriminazione non è contro i musulmani ma contro i cristiani. E non stiamo parlando di una discriminazione che viene applicata ( e neppure invocata) dal mondo islamico. E' una discriminazione che scatta in automatico da un mondo occidentale che soffre di patologici sensi di colpa, che è ossessionato dal timore di apparire colonialista, xenofobo, razzista. Joseph Blatter, il presidente della Fifa, è svizzero. La federazione che ha sollecitato la sanzione contro il Brasile è quella danese. Non c'è nessun musulmano o nessun "diverso" in genere, che si è sentito offeso dalla preghiera di Kakà e dei suoi compagni. Siamo noi occidentali che perseveriamo nel crogiolarci della sindrome di Tafazzi. O forse, chissà, che siamo inastiditi non tanto dalla religione in generale, ma da quella cristiana in particolare.

CORRIERE della SERA - Luigi Offeddu : " Bruxelles, uccisa perché voleva divorziare  "

 Donne col burqa. Senza volto. Senza diritti.

BRUXELLES — Da lontano, al telefono, si sente un bambi­no piccolo che piange, o stril­la per gioco, da qualche parte nella stanza alle spalle di Kadi­dja Lalembaidje: «È Maxime, il mio nipotino, il figlioletto di Claudia. Ha 8 mesi. Otto me­si, capito? Mia figlia avrebbe voluto crescerlo secondo i suoi valori: considerare sem­pre gli altri degli essere umani come noi, cercare di compren­dere le loro ragioni. Ma è capi­tata con quello là, il talebano, l’ha sposato, gli ha dato un fi­glio. Lui la pic­chiava, ha cerca­to 3 volte di strangolarla per­ché non voleva che uscisse, che si vestisse nor­malmente. Le di­ceva: attenta, le donne devono essere sottomes­se all’uomo. Cita­va sempre il Co­rano. E quando lei ha chiesto il divorzio, lui le ha risposto: ri­cordalo, in Paki­stan il matrimo­nio è per la vita o per la morte.
Così è stato, l’ha uccisa. Lui e i suoi due fratelli, in tre l’hanno uccisa. Come già avevano ucciso la moglie di un quarto fratello in Paki­stan, buttandola nel fiume. Anche lei nel fiume, come mia figlia. E proprio per quello era­no poi fuggiti in Europa. Ma che ne sapevamo, noi?». Alla fine, il pianto soffoca la voce: «Ora ci hanno detto che quel quarto fratello si è suicidato. Ecco che famiglia aveva incon­trato Claudia, ecco che desti­no ha avuto».
Claudia era scomparsa il 14 giugno, la sua foto era finita sul sito del
Chi l’ha visto? bel­ga. L’altro ieri, nel fiume Escaut che va dalla Francia al Belgio, trovano una valigia chiusa: dentro, un corpo semi­nudo, mani e piedi legati, il vi­so sfigurato.
È lei, c’è il tremendo sospet­to di uno stupro per sfregio. Il marito ora è in cella, come il secondo fratello. Il terzo è in
fuga.
Questa è una storia che non giunge da un remoto villag­gio, ma da Bruxelles, capitale d’Europa. Dal quartiere di Schaerbeek, abitato da una va­sta e pacifica comunità di im­migrati. Come Claudia Lalem­baidje,
32 anni, vissuta fino ai 15 nel nativo Ciad, poi emigra­ta con la madre e le sorelle (il padre, colpito dalle sofferenze della guerra, vive ancora nel Ciad). Dopo aver fatto studi te­atrali e aver preso un diploma da infermiera, Claudia aveva lavorato alla Croce Rossa.
«Ora, diventata madre, ave­va un sogno: aprire un asilo per bambini. Ecco, questo era lei, una persona luminosa»: parla Daniele Cardella, funzio­nario italiano del Parlamento europeo ed ex-fidanzato della giovane, con la quale ha con­vissuto per 3 anni e mezzo. «Prima Claudia aveva aiutato a crescere i figli piccoli delle sorelle, e poi aveva pensato a sé. Noi ci eravamo lasciati, co­me capita, ma eravamo rima­sti amici, e sua mamma si con­fidava spesso con la mia. Così abbiamo saputo di quel pachi­stano. Per esempio, di quando nacque Maxime e lui annun­ciò: a 5 anni dovrà avere in pu­gno il Corano». «Quel pachi­stano » è Alì, alias Hammad Ra­za Syed, immigrato clandesti­no in Belgio con i fratelli. Voci di quartiere: nomi falsi, traffi­ci di passaporti, forse qualco­sa di più. Lui sposa Claudia nel luglio 2008: ma subito si scopre che, più che alla mo­glie, è interessato al permesso di soggiorno, da ottenere at­traverso le nozze.
Non è però tanto facile, e poi Claudia continua a lavora­re, non rinuncia alla sua perso­nalità. Così ecco le botte, e il resto: «La vedevamo sempre più sciupata e preoccupata», racconta ancora Daniele. Fin­ché, una sera, Claudia annun­cia al marito che ha chiesto il divorzio («È scandalo», urla Hammad) e che avrà lei la cu­stodia del bambino. Poco do­po, alla porta di casa compaio­no i due cognati: «Perché in Pakistan ci si sposa per la vita o per la morte».

Per inviare la propria opinione a Giornale e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


segreteria@ilgiornale.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT